“Come cambia l’America”

“Come cambia l’America”, di Mattia Diletti, Martino Mazzonis e Mattia Toaldo, edizioni dell’Asino,2009, euro 12,00

Raramente avevo trovato un istant book così solido, piacevole da leggere, stimolante. Diletti, Mazzonis e Toaldo, due ricercatori universitari e un giornalista – Martino Mazzonis – che ha seguito in diretta dagli Stati Uniti il lungo trapasso da Bush a Barack Obama – non solo ci presentano un’analisi convincente di come stanno cambiando negli Stati Uniti di Obama la politica e la società americana, ma anche del perché e del come questo mutamento è avvenuto e avviene. Certamente all’origine di esso ci sono la crisi economica che stiamo tutti dolorosamente vivendo e “il più grande disastro di strategia militare della storia americana” (troppi ignorano nelle loro riflessioni questo secondo elemento), ma crisi e disastri possono avere sbocchi politici diversi, e se la ricerca di una soluzione è stata affidata dagli elettori ad Obama è perché qualcuno li ha convinti e mobilitati attorno al principio che “ la prima economia del mondo e il primo arsenale del pianeta non determinano da soli la supremazia” e che questa va cercata per altre vie e su altri più nobili terreni. Ho usato non a caso il termine “mobilitati” perché uno degli aspetti più interessanti del libro è la attenta descrizione di come Obama abbia non solo saputo” ricostruire un’altra idea di America” – il che è già molto importante a fronte di un’Europa e di un’Italia che continuano a distruggere e sminuzzare ogni idea e ideale – ma anche di come abbia saputo aggregare e organizzare attorno a tale idea, attorno al tema centrale della crisi dell’egemonia americana e del suo superamento, un nuovo “blocco sociale” formato dall’incontro della classe media e medio-bassa, dei giovani, delle donne, dei young professionals e delle minoranze con il vecchio blocco democratico “formato dagli elementi urbani delle due coste, dai neri, e dai lavoratori bianchi sindacalizzati”.

Organizzazione e mobilitazione erano cominciati già per le elezioni primarie e per il loro finanziamento che certamente era stato in parte realizzato attraverso le tradizionali cene, feste, conferenze ma che era stato contrassegnato da una pioggia di denaro attraverso le piccole donazioni. Da qui si era partiti per organizzare capi rete (bundlers) organizzati in un comitato finanziario nazionale che “veniva consultato settimanalmente sui temi decisivi della campagna”. Non ha giocato dunque solo il fascino di Obama anche se esso è stato usato per fare incontrare, accorpare, fare parlare, ascoltare, mobilitare una quantità mai vista di volontari tra i quali molti giovani. Internet ha moltiplicato per milioni di indirizzi, di blog, di chat il messaggio di Obama e ha riportato a Obama, ben consapevole di voler essere, e poi di essere, il capo di una America cosmopolita, i commenti, le osservazioni, le critiche.

Abbiamo ricordato questa parte del saggio perché da essa potrebbero venire utili indicazioni e suggerimenti per fronteggiare in Italia il processo di frantumazione e autoreferenzialità che qualcuno, non solo a destra, porta avanti. Ma c’è anche un’altra parte che merita grande attenzione: quella che spiega perché l’America, oggi, non mostri più particolare intereresse per l’Europa. “ L’Europa, per gli americani, è molto meno importante di 40 anni fa” e ciò nel momento in cui si parla di multilateralismo. Forse perché gli USA sono più interessati a chi fornisce loro credito, grandi mercati in ascesa e prodotti a basso costo? O anche perché l’Europa è ferma al reaganismo, al populismo di destra e reagisce alla crisi non accrescendo controlli e irrigidendo regole ma continuando sulla fallimentare via della deregulation? E’ urgente far arrivare all’America una immagine diversa. Il successo della Fiat è importante, ma da solo non basta.

L.B.

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