Città culturali e creative: un cruscotto per monitorarle

Annalisa Cicerchia illustra nei suoi aspetti essenziali il Cultural and Creative Cities Monitor, diffuso il mese scorso dal Joint Research Centre della Commissione Europea, che disegna, attraverso 29 indicatori, il ritratto della città europea ideale per dinamismo e vivacità culturale e creativa. Il Monitor, proposto dall’European Framework for Action on Cultural Heritage, coinvolge 190 città europee, 18 delle quali italiane, ed è pensato per agevolare le decisioni circa gli investimenti politici e finanziari nella cultura e nella creatività delle città.

La città europea creativa e culturale ideale è una miscela di sette città. Dovrebbe avere i servizi e le infrastrutture culturali di Weimar, la partecipazione e l’attrattività culturale di Firenze, le occupazioni creative e le professioni della conoscenza, il capitale umano e la qualità educativa, e i collegamenti locali e internazionali di Parigi, l’intensità delle proprietà intellettuale e dell’innovazione di Eindhoven, le nuove forme di lavoro nei settori creativi di Budapest, l’apertura, la tolleranza e il clima di fiducia di Glasgow e la qualità della governance di Aarhus.

E’ quanto sostiene il Cultural and Creative Cities Monitor, del quale, poche settimane fa, è stato diffuso dal Joint Research Centre della Commissione Europea il Rapporto 2019 (il secondo, dopo quello del 2017).

Il Monitor è una delle 65 azioni proposte dall’European Framework for Action on Cultural Heritage e coinvolge 190 città di 30 paesi europei (EU-28, più Norvegia e Svizzera). La scelta delle città avviene in base all’impegno che esse dimostrano nella promozione della cultura e della creatività, per cui la stessa inclusione nel panel esaminato è di per se’ riconoscimento di un buon livello di vivacità culturale.

Anche allo scopo di giustificare gli investimenti politici e finanziari nel settore della cultura e della creatività delle città, il Monitor, per coglierne le qualità, sottopone le città al vaglio di ventinove indicatori. Queste misure sono articolate per dominii e dimensioni, e sono il frutto di un processo accurato di scelta che, cosa non frequente e perciò tanto più meritoria, viene illustrato passo per passo e che si caratterizza oltre che per lo sforzo di non trascurare nessun elemento essenziale, anche per l’attenzione a non appesantire il cruscotto valutativo di troppe variabili. Su tutto, poi, pesa il vincolo di selezionare misure che possano essere popolate di dati comparabili, con ontologie compatibili e disponibili alla scala comunale per ognuna delle 190 città considerate.

Il sistema Monitor si articola su tre dominii considerati essenziali per valutare la qualità culturale e creativa di una città:

  1. la vivacità (o vibrancy) culturale, misurata dalle sue infrastrutture culturali e dall’intensità della partecipazione alla cultura dei cittadini; questa componente pesa per il 40% sull’indice sintetico finale;
  2. l’economia creativa, cioè il contributo che il settore culturale e creativo dà all’economia cittadina in termini di occupazione, creazione di posti di lavoro e innovazione; anche questa componente pesa per il 40%;
  3. l’ambiente capacitante (enabling), con un peso del 20%, che si riferisce ai beni materiali e immateriali che aiutano le città ad attirare talenti creativi e stimolano l’impegno culturale.

La vivacità culturale si manifesta, da una parte, nella ricchezza dell’offerta: luoghi della cultura, monumenti, musei e gallerie d’arte, cinema e teatri, sale da concerto e da musica; dall’altra, nella partecipazione e nell’intensità della capacità attrattiva, che si misura attraverso la domanda (pernottamenti turistici, ingressi ai musei e ai cinema) e alla soddisfazione per le strutture culturali.

L’economia creativa si articola, a sua volta, in tre dimensioni: l’occupazione creativa e le professioni della conoscenza; la proprietà intellettuale e l’innovazione; la creazione di nuove occupazioni culturali e creative. La prima dimensione viene misurata attraverso il numero di occupati nelle arti, nella cultura e nello spettacolo, nei media e nella comunicazione, e in altri settori creativi; la seconda attraverso il numero di richieste di brevetto e di disegni e modelli comunitari; la terza attraverso gli occupati nelle imprese d’arte, cultura e spettacolo, di media e comunicazione e degli altri settori creativi di nuova costituzione.

La presenza e la pervasività di un ambiente capacitante è definita attraverso le dimensioni del capitale umano e dell’educazione, dell’apertura, della tolleranza e della fiducia, delle connessioni locali e internazionali e della qualità della governance.

Particolarmente apprezzabile è il tentativo di tracciare una mappa delle disuguaglianze territoriali alla scala sub-urbana, espresse come diverse opportunità di accesso alle dotazioni e all’offerta culturale (collegamenti di trasporto pubblico e tempi di percorrenza).

Come accade per molti dei sistemi di indicatori innovativi di fenomeni sociali complessi, la coerenza delle misure è verificata con grande attenzione, per così dire, lungo la verticale, cioè all’interno di un dominio, passando per le sue dimensioni, fino agli indicatori: le interazioni fra dominii diversi, invece, sono in genere più difficili da analizzare e comportano problemi di ponderazione particolarmente complicati. Ciò vuol dire, ad esempio, che si potrebbe raggiungere il vertice della classifica per la dinamicità delle nuove forme di lavoro nei settori creativi anche se la performance nel grado di apertura, tolleranza e fiducia fosse pessima. Ma ci sarà occasione per ovviare in futuro a questo limite.

Meritano di essere prese in considerazione la scelta delle fonti e la definizione degli indicatori. Il Monitor, che vanta una non comune trasparenza totale nella descrizione della sua costruzione e del suo funzionamento, fa uso di fonti non solo ufficiali e convenzionali, ma anche sperimentali, e, dovendo utilizzare informazioni calibrate alla scala cittadina, a volte ricorre a dati non recentissimi, perché sono i soli disponibili.

Per la rilevazione delle dotazioni culturali (la prima dimensione della vivacità culturale, quella dedicata all’offerta), le fonti, per esempio, sono Tripadvisor e OpernStreetMap, con dati 2019. L’intensità della domanda e della partecipazione, invece, sono ricavate da fonti Eurostat (Urban Audit 2011 e 2017) e dall’Eurobarometro del 2015 sulla qualità della vita nelle città. L’Urban Audit di Eurostat (vari anni: 2011 e 2016) è la fonte usata per gli indicatori di economia creativa sull’occupazione; l’OCSE – registro dei brevetti (2013-2015) e le statistiche regionali Eurostat (2014-2016) – per tutti gli altri indicatori di questo dominio.

Forse è più discutibile, nel terzo dominio, il fatto che la dimensione “Qualità della governance” sia affidata a un solo indicatore, mentre la delicata dimensione “Apertura, tolleranza e fiducia” è costruita su un equilibrio molto apprezzabile tra misure oggettive e soggettive.

Per l’Italia, il Monitor ha preso in esame 18 città: Roma, Milano, Torino, Genova, Brescia, Trento, Trieste, Venezia, Bologna, Parma, Ravenna, Pesaro, Firenze, Perugia, Napoli, Cagliari, Lecce e Matera. E’ facile osservare che il Sud e le Isole sono scarsamente rappresentate (l’inclusione di Matera è sostenuta dal suo consistente impegno come Capitale Europea della Cultura), e la Sicilia manca del tutto. Già questa è una indicazione significativa. In base all’indice sintetico finale, con il quale si costruiscono graduatorie distinte per dimensione demografica, Milano primeggia su Roma nella categoria delle città con oltre un milione di abitanti, Torino supera Genova, che sta davanti a Napoli tra le città con un numero di abitanti compreso tra mezzo milione a un milione. Per la classe di dimensione demografica tra 250.000 e 500.000, il podio è occupato da Firenze, seguita da Venezia e Bologna; tra le città medie e piccole l’ordine di arrivo vede al primo posto Trento, seguito, a una certa distanza, da Trieste, Perugia, Cagliari, Parma, Pesaro, Brescia, Matera, Lecce e infine Ravenna.

Prese nel loro insieme, le città italiane raggiungono valutazioni elevate nelle dotazioni culturali e nelle occupazioni culturali e creative, mentre, a eccezione di Milano e Roma, perdono colpi rispetto all’indicatore sulla nascita di nuove imprese culturali e creative. L’apertura, la tolleranza e la fiducia sono basse o molto basse, tranne che a Milano e Napoli e la qualità della governance è scarsa quasi dovunque, con l’eccezione dei centri dell’Emilia-Romagna e della città di Trento.

Una visione più dettagliata mostra qualche sprazzo di positività in più. Firenze, Venezia e Bologna si assicurano le prime tre posizioni per la cultural vibrancy fra le 40 città tra 250.000 e 500.000 abitanti, e Firenze e Venezia – probabilmente trainate dagli indicatori sui movimenti turistici – si situano in testa per partecipazione culturale e attrattività. Per l’occupazione creativa e le professioni della conoscenza, Milano è prima fra le città con più di un milione di abitanti, e Bologna, Brescia e Cagliari si piazzano rispettivamente quarta, sesta e settima della classifica delle città del loro gruppo. Per innovazione e proprietà intellettuale, Perugia e Parma sono al dodicesimo e tredicesimo posto su 79 città fra 50.000 e 250.000 abitanti.

Valentina Montalto e i suoi colleghi, autori del progetto (che, oltre al Rapporto, comprende anche una serie di strumenti digitali interattivi e open e crowdsourced data molto promettenti), descrivono il Monitor come uno strumento pensato per quei decisori politici locali o nazionali che volessero intraprendere la strada delle politiche evidence-based, o almeno evidence-informed. Il Rapporto sulle città culturali e creative può aiutarli tecnicamente a individuare i punti di forza culturale delle proprie città, a fondare su basi quantitative solide e attendibili la valutazione dell’impatto della loro azione politica, a trarre ispirazione e ad apprendere, se lo vorranno, dall’esperienza di altre città. Oltre ai decisori politici, altri, per esempio nella comunità scientifica, possono apprezzare il Monitor per il suo contributo a rendere più chiare, misurabili ed esplicite le dimensioni sociali ed economiche della cultura e della creatività e a suggerire nuovi approcci allo studio del loro ruolo nelle città attraverso i dati già disponibili e quelli che potranno essere raccolti per rispondere a nuove, ed auspicabili, domande di ricerca.

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