Chi è stato davvero “lasciato indietro”? Le differenze di genere nell’integrazione dei giovani scarsamente istruiti nel mercato del lavoro

Camilla Borgna e Emanuela Struffolino esaminano vari studi che mostrano la persistenza di un sostanziale divario di genere nelle transizioni scuola-lavoro e nella partecipazione attiva al mercato del lavoro dei giovani con basso livello di istruzione in Italia. Le autrici sostengono che, nonostante le preoccupazioni espresse nei dibattiti pubblici per i ragazzi con scarso successo, almeno nel caso italiano sono le giovani donne con bassa qualifica a correre i rischi maggiori di essere "lasciate indietro" nel mercato del lavoro.

In un periodo storico caratterizzato da aspettative crescenti sul livello di istruzione, i giovani che non raggiungono almeno un titolo di studio secondario corrono il rischio di essere “lasciati indietro” e di incorrere nell’esclusione sociale. Aver sperimentato una transizione rapida nel mercato del lavoro è, infatti, un importante indicatore del cosiddetto “attaccamento” all’occupazione sul lungo periodo e delle opportunità presenti e future di integrazione sociale.

L’Italia, insieme a Portogallo e Spagna, è tra i paesi dell’UE con i più alti tassi di early-school-leavers – definiti come giovani che non si sono iscritti o non hanno completato la scuola secondaria superiore – i quali costituivano nel 2017 il 14% dei NEET (not in education, employment, or training). La quota di early-school-leavers è rilevante ma in tendenziale declino; infatti, la percentuale di giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni che non possiedono alcun titolo secondario superiore è scesa dal 38% negli anni ’90 al 19% alla fine degli anni 2000 e, come si è detto, al 14% nel 2017 (Eurostat, Early leavers from education and training 2019).

Il calo dell’abbandono scolastico ha interessato ragazzi e ragazze ma vi sono rilevanti e persistenti differenze di genere a vantaggio di queste ultime. Le cause non sono, tuttavia, ancora chiare. Da un lato, i ragazzi sono più vulnerabili a causa dei cosiddetti fattori push, che li spingono fuori dal sistema scolastico (ad esempio le scarse prestazioni scolastiche, problemi disciplinari o problemi relazionali con gli insegnanti o con i coetanei). D’altro canto, un aspetto spesso trascurato nel dibattito pubblico è il fatto che l’abbandono riflette anche i fattori pull, cioè di attrazione nel mercato del lavoro. Questo è particolarmente vero per i ragazzi: le differenze di genere nell’abbandono sono più marcate proprio laddove gli uomini godono di opportunità lavorative relativamente migliori (si veda Borgna e Struffolino, Pushed or pulled? Girls and boys facing early school leaving in Italy. Social Science Research 61, 2017). L’abbandono sembra quindi, almeno in parte, guidato dall’aspettativa di una transizione scuola-lavoro rapida. Di converso, in contesti dove è più difficile il loro inserimento lavorativo, l’attaccamento al sistema scolastico (e il conseguente minore tasso di abbandono) potrebbe essere una strategia difensiva da parte delle ragazze.

In effetti, tra le (giovani) donne italiane i livelli d´inattività e disoccupazione sono tra i più alti dell’UE-28, anche nelle prime fasi della carriera lavorativa. In un articolo pubblicato di recente (Struffolino e Borgna, Who is really “left behind”? Half a century of gender differences in the school-to-work transitions of low-educated youth. Journal of Youth Studies, 2020), abbiamo confrontato i tempi della transizione scuola-lavoro degli early-school-leavers tra il 1969 e il 2009 comparando quattro coorti di nascita: 1954–1963, 1964-1973, 1974-1983 e 1984-1993. Lungo questo arco di tempo, il mercato del lavoro italiano ha subito importanti trasformazioni dal lato dell’offerta (in particolare l’espansione dell’istruzione e l’aumento della partecipazione femminile) ed è stato oggetto di riforme che dopo i primi anni ’90 lo hanno reso più deregolamentato.

Usando dati ISTAT (Indagine sulle Famiglie e i Soggetti Sociali) abbiamo ricostruito le traiettorie educative e occupazionali di ciascun intervistato dalla nascita all’anno l’intervista (2009). I nostri risultati mostrano che i giovani nati tra il 1954 e il 1983 che hanno abbandonato la scuola prima di ottenere un titolo secondario superiore (di qualunque tipo) hanno avuto esperienze piuttosto simili. Questo vale per i giovani uomini e le giovani donne, anche se per queste ultime la transizione al primo lavoro “significativo” (ovvero di almeno sei mesi di durata) è più lenta rispetto a quella dei giovani uomini e diventa sempre meno probabile quanti più anni trascorrono dal momento dell’abbandono. Al contrario, per la coorte più giovane (1984-1993), la transizione al mercato del lavoro dopo aver lasciato il sistema di istruzione è stata significativamente più lenta, in particolare per i maschi. Nonostante il vantaggio dei giovani uomini rispetto alle giovani donne sia leggermente diminuito nella coorte più giovane, il gap rimane sostanziale e aumenta lungo il corso della vita.

Per comprendere questi risultati, è utile considerare le dinamiche di genere in un gruppo che può essere considerato il “controfattuale” più adatto: i diplomati che non si sono iscritti all’università e che, dunque, erano presumibilmente disposti ad entrare nel mercato del lavoro subito dopo aver lasciato la scuola. All’interno di questo gruppo, le donne delle coorti recenti mostrano tempi e probabilità di transizione coincidenti con quelle degli uomini. Sebbene il confronto tra early-school-leavers e diplomati sia puramente descrittivo, i risultati confermano la centralità della prospettiva di genere nell’analizzare le opportunità lavorative, in particolare per i giovani scarsamente qualificati.

La penalizzazione sul mercato del lavoro delle giovani early-school-leavers si è aggravata durante la Grande Recessione. Per indagare direttamente le dinamiche di genere tra i giovani scarsamente qualificati che si sono avvicinati al mercato del lavoro durante la crisi, abbiamo usato dati ISFOL-PLUS (Borgna e Struffolino 2019, Tempi difficili. Le condizioni occupazionali degli early school leavers in Italia prima e dopo la crisi. Sociologia del Lavoro, Vol.155, pp. 179-199). In questo caso abbiamo considerato la posizione occupazionale dei giovani che avevano tra i 25 ei 29 anni nel 2005 e nel 2014.

Sia nel 2005 sia nel 2014, i giovani che hanno abbandonato precocemente la scuola hanno una probabilità minore di essere occupati rispetto chi è in possesso di un diploma secondario ma non si iscrive all’università. Questo divario può indicare, da un lato, che gli early-school-leavers hanno, già in partenza, delle caratteristiche che li penalizzano sul mercato del lavoro. Le nostre analisi controllano per una serie di indicatori di background familiare e per il voto all’esame di terza media, ma non, ad esempio, per competenze cognitive e motivazionali. D’altro canto, il divario può riflettere il valore che i datori di lavoro attribuiscono al titolo di studio in sè. Sebbene lo svantaggio relativo per gli early-school-leavers esista prima e dopo la crisi del 2008, il quantum di questo svantaggio è cambiato nel tempo: nel 2005, la probabilità degli early-school-leavers trovare lavoro è 9 punti percentuali inferiore rispetto ai diplomati, mentre nel 2014 la differenza sale a ben 17 punti percentuali. Due possono essere le cause dell’ampliamento di questo divario nel tempo. In primo luogo, vi è l’espansione scolastica, che ha portato il gruppo degli early-school-leavers a diventare più “negativamente selezionato”, cioè progressivamente meno qualificato in termini di competenze e caratteristiche richieste dal mercato del lavoro. Una seconda spiegazione riguarda i processi macroeconomici: con lo scoppio della crisi del 2008, la concorrenza tra i giovani in cerca di lavoro è aumentata, a causa del crescente squilibrio tra domanda e offerta. Questa dinamica (che si è verificata in molti altri paesi europei) ha generato, in Italia, un’accelerazione del “declassamento” della struttura occupazionale. Infatti, la riduzione dei posti di lavoro non ha influenzato le occupazioni scarsamente qualificate, considerate nel loro insieme: tuttavia, è probabile che la riduzione delle opportunità di lavoro di medio livello abbia innescato un processo di “spiazzamento” dei diplomati verso posti di lavoro meno qualificati, riducendo così le opportunità di lavoro dei giovani early-school-leavers.

Spostando l’attenzione verso le differenze di genere in relazione a questo processo, i nostri risultati mostrano che, sia prima che dopo la crisi, lo svantaggio nella probabilità di essere occupati associato all’abbandono scolastico è significativamente più basso per gli uomini che per le donne. In realtà, nel 2005, gli early-school-leavers maschi avevano una probabilità di occupazione addirittura simile ai diplomati. Al contrario, nello stesso periodo, solo il 50% delle giovani early-school-leavers donne lavorava; un dato, questo, che è inferiore di oltre 30 punti percentuali rispetto ai giovani uomini con lo stesso livello di istruzione nonché di circa 20 punti percentuali rispetto alle donne diplomate. Nel 2014, la situazione delle early-school-leavers donne è notevolmente peggiorata, poiché la loro probabilità di occupazione era inferiore al 30% – mentre nello stesso anno gli early-school-leavers uomini avevano una probabilità di occupazione simile a quello delle donne con un diploma. Il titolo di studio ottenuto dalle giovani diplomate non era quindi sufficiente ad abbattere le barriere di ingresso nel mercato del lavoro.

Ma quando parliamo di “mancata occupazione”, di cosa parliamo veramente? Per gli uomini early-school-leavers non essere occupati implica una più alta probabilità di dichiararsi disoccupati, mentre per le donne la ragione prevalente è l’inattività. In altre parole, rispetto alle giovani che avevano i 25 e i 29 anni nel 2005 e che pur mostravano già alti tassi di inattività, per le early-school-leavers che avevano la stessa età nel 2014 si osserva un preoccupante aumento della probabilità di non cercare lavoro attivamente. Inoltre, come è facile immaginare, i più alti tassi di disoccupazione per gli uomini ma soprattutto di inattività per le donne early-school-leavers riguardano coloro che risiedono nelle regioni meridionali. Per le donne che hanno abbandonato prematuramente il sistema scolastico, possiamo parlare a ragione di uno svantaggio moltiplicativo nel mercato del lavoro veicolato dall’interazione tra la scarsa qualificazione e la residenza geografica.

La persistenza di un sostanziale divario di genere nelle transizioni scuola-lavoro e in generale nella partecipazione attiva al mercato del lavoro dei giovani con basso livello di istruzione in Italia ha diverse implicazioni per le disuguaglianze nelle fasi successive dei corsi di vita delle donne. I nostri risultati suggeriscono che l’abbandono precoce del sistema scolastico può compromettere l’inclusione sociale che passa attraverso l’occupazione e può innescare processi di svantaggio cumulativo. Nonostante la grande preoccupazione espressa nei confronti dei ragazzi con scarso successo nei dibattiti pubblici, i nostri dati indicano che, almeno nel caso italiano, sono le giovani donne con bassa qualifica a correre i rischi più elevati di essere “lasciate indietro”.

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