Chi è il Gran Controllore?

Economisti e giuristi vanno ponendo una serie di complicati ma, tutto sommato, sottili e interessanti problemi teorici e istituzionali su Telecom.it. A quale livello si deve affrontare l’onere della scelta su TIM. Se sia o meno opportuna, e fino a qual punto, la separazione tra reti e servizi. Se il problema di fondo da affrontare sia quello dell’assenza in Italia di un disegno di policy making. Se la golden share possa o meno ostacolare la circolazione dei capitali all’interno del mercato comune. Se sia stato corretto o meno non informare il Presidente del Consiglio del progetti in corso in Telecom o se una tale informazione sui progetti volti a ridurre l’indebitamento di una delle maggiori imprese italiane potesse configurare il reato di insider trading. Se il suggerimento di Angelo Rovati, consigliere economico del Presidente del Consiglio, mirasse o no a consentire a qualcuno di rimborsare i propri debiti con denari pubblici invece che con pesanti perdite dei cosiddetti “azionisti di minoranza”. Se non si debba ripensare il ruolo che in Italia ha assunto la Cassa depositi e prestiti.

Potrei continuare, anche perché ho letto molti di questi articoli con diletto scientifico ed ho apprezzato lo spazio che ad essi hanno dedicato alcuni – non tutti – grandi quotidiani.

Confesso tuttavia che, in questa fase, l’interrogativo che più di ogni altro mi appassiona è un altro.

Chi aveva trasformato la più grande azienda italiana di telecomunicazioni in una grande centrale di controllo sulle telecomunicazioni fisse e mobili in Italia e a chi faceva capo questa gigantesca macchina di spionaggio che entrava nei nostri uffici, case, borse, letti?

Anche qui ho letto, ora con interesse ora con pazienza, diligenti ricostruzioni di validi giornalisti ( ad alcuni dei quali dobbiamo lo scoppio del gigantesco bubbone) e, grosso modo, sono riuscito a rendermi conto della dimensioni del problema che oggi pesa sull’Italia intera e sulla sua libertà. Ho fatto la conoscenza di persone che mi erano totalmente ignote e che erano alla testa di organismi, in legame tra loro, capaci di violare ogni privacy, di ascoltare ogni conversazione, di impadronirsi di carte riservate, di scambiarsi schede e telefoni cellulari in un miscuglio di “security” private e servizi segreti pubblici ora dipendenti dal Viminale ora dal Ministero della Difesa. Il tutto, almeno per quel che si è letto a settembre, sotto la copertura della Telecom e della casa madre Pirelli. Ma da nessuna di queste ricostruzioni si è riusciti a capire, fino al momento in cui scrivo, a chi realmente faceva capo tutto questo. Chi era insomma il Grande Controllore che con i soldi che si sarebbero dovuti investire in Telecom ( o in Pirelli, è lo stesso) raccoglieva preziose documentazioni, rubricava, registrava, decideva.

Non sto ponendo un problema di polizia o giudiziario. Fra tre quattro anni è probabile che conosceremo (o in ogni caso l’opinione pubblica saprà) quali e quanti sono i reati che sono stati consumati. Anche se già sappiamo da alcuni arrestati che l’opera di distruzione del materiale riservato raccolto è iniziata da tempo (la distruzione di documenti è iniziata nel 2004 e i roghi che hanno impedito alle forze dell’ordine di trovare alcunché nelle sedi di Telecom e di Pirelli sono stati molti) è indubbio che alcune prove emergeranno, che alcune confessioni ci saranno e che qualcuno andrà per qualche anno in prigione.

Ma può bastare questo a tranquillizzare il Paese?

Non è un caso che qualcuno abbia rievocato la P2 e tutte le varie vicende che hanno turbato la vita della democrazia repubblicana italiana. Hanno avuto origine in Italia? hanno avuto origine fuori dai nostri confini ? Sono passati anni. Sono stati percorsi tutti gradini delle varie giurisdizioni. Ma la verità non è mai emersa nella sua completezza e con il passar del tempo hanno finito per prevalere indifferenza o rassegnazione. Ciò che occorre assolutamente evitare – e un tale risultato richiede che ci sia una effettiva mobilitazione democratica – è che ancora una volta quello che sembra profilarsi come un grande nuovo attentato alla convivenza e concorrenza civile nel nostro paese finisca per diventare il reato di una delle tante cupole che si arrogano il diritto di comandare in questa o quella regione e , in taluni casi, sull’intero territorio del nostro Paese.

Francamente non ci tranquillizza affatto che al di là dei nomi che sono emersi e che fanno titolo sui giornali – nomi sconosciuti ai più – ci siano nomi che non vengono fatti o che vengono accennati solo di rimbalzo i quali appartengono alla élite di quella che Etica ed Economia ha chiamato “la classe dei dirigenti”. Se non c’entrano nulla e se la loro buona fede è stata usurpata lo dicano subito e chiaramente e sconfessino chi afferma di avere agito per conto dei vertici della Pirelli e della Telecom. Siamo così signori da essere pronti a credere loro, in particolare se ci aiuteranno a capire da chi loro stessi sono stati usati e chi servivano.

Silvano Banti

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