Chi comprerà auto da una fabbrica del 1905?

Chi comprerà auto da una fabbrica culturalmente ferma al 1905? Questa la domanda che va posta alla presidenza della Fiat. La fabbrica che si e’ nutrita e ha nutrito i suoi azionisti con le commesse militari e il sangue di due guerre mondiali, con il carbone del piano Marshall sottratto ad altre imprese e con non piccole quote del debito pubblico italiano e che per iniziativa del suo consigliere delegato, pupillo della famiglia Agnelli, ha cancellato due secoli di storia e, tra gli applausi del Governo ha riportato i rapporti di lavoro al livello del 1905, l’anno della corrazzata Potemkin e della carne infestata dai vermi data per pasto all’equipaggio – o questa o la condanna a morte per ammutinamento” –  ma anche l’anno della rivoluzione borghese contro lo zar. L’innovazione è stata abbandonata alla Fiato, o meglio, l’innovazione tecnologica è stata sostituita da un ritorno alla definizione dei movimenti che l’operaio deve fare per far più presto a girare un cacciavite e spremere fuori, fino in fondo, la sua forza lavoro. Questo è il biglietto da visita della fabbrica. Peggiore di quello di una fabbrica del Kagikistan.  Ci voleva un governo come quello che abbiamo per dare l’approvazione e addirittura l’applauso ad una violazione di ogni principio di diritto, grave come quella che è stata compiuta a Pomigliano. Utilizzando la crisi economica per trasformare un’azienda moderna in un califfato. Si sta discutendo su quali indicatori di benessere puntare per sostituire l’indicatore legato al PIL con indicatori più rappresentativi del benessere. E’ bene che si discuta e si cerchi.  Ma una cosa è certa: non c’è benessere in una società che non riconosce l’eguaglianza dei diritti e delle persone umane.

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