Caro Lucio

Lucio non avevo capito quanto tu fossi disperato. Mi avevi ospitato ed aiutato in un periodo difficile e un mese fa mi avevi parlato del dolore profondo e del vuoto in cui vivevi da quando era morta la tua compagna. Avevo cercato di provocarti sui problemi che la crisi ha messo a nudo e, come altre volte, di aprire con te una competizione sulle questioni da approfondire o scoprire. Altre volte eri stato al gioco e avevi cercato di attirare altri nelle ricerca attorno ai problemi che esplodevano attorno a noi o che venivano messi allo scoperto dalle prime discussioni. Avevi rifiutato ogni sede di incontro che non fosse la tua casa o, comunque quella che avevi scelto come rifugio cui stare aggrappato. Il mio era anche un tentativo per farti capire che avevo bisogno di te, delle tue provocazioni intellettuali, della tua critica a volte spietata a ipotesi su cui avanzare. Mi sembrava che tu non rifiutassi di impegnarti e di metterti in gioco pur con quel pessimismo che era la tua nota distintiva fin da quando avevamo iniziato a frequentarci. Ti dicevi ancora cattolico allora, anche se in realtà non lo eri più. Mi hai anche lasciato il rimorso per aver mosso una aperta critica al libro che avevi deciso di lasciarci e che era molto bello. Fa senso rileggere oggi le tue parole sulla bellezza del volare. Dopo che hai ucciso il sarto di Ulm.

Luciano Barca

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