Buone notizie dal fronte americano

Paolo Paesani, prendendo spunto da un articolo di Dani Rodrik e da alcuni lavori recenti di Sam Bowles, Wendy Carlin e Luigi Zingales, riflette sull´attenzione crescente che gli economisti mostrano verso l´esigenza di ripensare i paradigmi economici di base. In particolare, Paesani sottolinea come da questi lavori emerga l´esigenza di portare i temi del potere e delle norme sociali al centro della teoria economica, tenendo altresì conto di fattori storici, sociologici e politici.

L´economia sta cambiando in meglio. Questo il messaggio rassicurante che emerge dall´ultima riunione dell´Allied Social Sciences Association secondo l´economista Dani Rodrik. Commentando le impressioni tratte dalla sua partecipazione al convegno, Rodrik espone la convinzione che sotto la spinta di pressioni provenienti dall’interno e dall’esterno, la professione economica stia diventando piú inclusiva e piú attenta al problema della disuguaglianza.

Secondo Rodrik, questo messaggio è apparso con particolare evidenza nel corso dei lavori di un panel dedicato all´Economia per una prosperità inclusiva (Economics for Inclusive Prosperity), organizzato da una rete omonima co-diretta da Rodrik stesso. Nell´ambito della discussione, è stata ribadita l´esigenza di spostare l’attenzione degli economisti dai livelli “medi” di prosperità verso la distribuzione del reddito e le dimensioni non economiche del benessere, come la dignità, l’autonomia, la salute e i diritti politici. Rodrik ricorda che ciò richiede nuovi indicatori economici e nuovi sistemi per contabilizzare la distribuzione del reddito nazionale.

Una pubblicazione recente del Washington Centre for Equitable Growth mette in luce la necessità di aggiornare gli schemi di contabilità nazionale affinché tengano conto in maniera sistematica della distribuzione del reddito e del suo effetto sulla crescita. Troppo spesso, le statistiche esistenti non considerano tutti i redditi e ne sottovalutano alcuni, soprattutto nella parte alta della distribuzione. Migliorare i sistemi di contabilità nazionale in questa direzione richiede che gli uffici nazionali di statistica abbiano accesso ai dati fiscali. Una questione delicata, sulla quale si dibatte da tempo e che si lega al tema dell´economia sommersa e del contrasto all´evasione fiscale, tema portato più volte all´attenzione dei lettori del Menabò, con riferimento ai lavori di Gabriel Zucman.

Una seconda istanza di rinnovamento, emersa dal dibattito di cui Rodrik dà conto, riguarda la necessità di ripensare la visione dell´economia e i valori etici che sottendono le scelte e i sistemi di policy. A questo tema, importante e complesso, è dedicata la relazione di Samuel Bowles e Wendy Carlin. Secondo i due autori c’è urgente bisogno di un nuovo paradigma di policy che integri uguaglianza, democrazia e sostenibilità con un modello realistico del funzionamento dei sistemi economici odierni.

La Grande Recessione del 2007-2009, la crisi economica che ne è derivata, la successiva crisi dell´eurozona, il rallentamento della crescita a livello globale, le tensioni commerciali e finanziare di questi ultimi anni sono segnali della crisi del paradigma di policy neoliberale neoliberale, dominante tra gli anni Novanta  e i primi decenni degli anni Duemila, e fondato sulla promozione della libertà di scambio delle merci e dei capitali, sulla liberalizzazione dell´attività economica, sull´austerità fiscale, sulla tutela del profitto.

Alla base del paradigma neoliberale, Bowles e Carlin identificano la fiducia nella concorrenza e nell´idea dei mercati efficienti, popolati da agenti economici egoisti, razionali e lungimiranti capaci di stilare contratti completi, coerenti con i propri interessi. In un mondo del genere, la concorrenza muove spontaneamente verso l´equilibrio e gli agenti economici sono liberi di contrattare e ricontrattare l´opzione migliore, al riparo dal rischio di coercizione. Il governo non deve interferire con le scelte individuali se non per garantire le sue funzioni di base e un minimo di redistribuzione. Le imprese stesse agiscono come agenti individuali e operano in condizioni di parità nei confronti dei lavoratori.

Il modello dell´economia su cui si fonda il paradigma di policy neoliberale riflette un´idea di libertà negativa, intesa come possibilità di agire senza impedimenti o di non agire senza essere costretti a farlo, e con il principio di giustizia procedurale. È questa coerenza di fondo ad aver determinato il successo del paradigma neoliberale tra gli anni Novanta e i primi Duemila. E´ la palese inadeguatezza di questo modello e dei suoi presupposti etici a determinare oggi la richiesta per un suo rinnovamento profondo.

Affinché questo possa accadere è necessario, prima di tutto, ripensare i modelli di base dell´economia. Questi modelli devono fornire una rappresentazione realistica della realtà contemporanea ed essere coerenti con i valori di inclusività, democrazia, sostenibilità e riduzione delle disuguaglianze.   Un primo passo in questa direzione consiste nel recuperare le intuizioni sulla natura dell´impresa come centro di potere elaborate dall´economista Ronald Coase.

Coase vede l´impresa come un´istituzione creata in alternativa al mercato, per internalizzare la gestione di tutti quei rapporti economici che si basano su contratti incompleti. Un esempio emblematico è costituito dai contratti che regolano i rapporti tra il lavoratore (agente) e il datore di lavoro (principale). In questa relazione, non sarà mai possibile stilare un contratto completo che dettagli precisamente le mansioni, i diritti e i dovere delle parti, attribuendo un compenso o una sanzione a ogni singolo atto. Da questa incompletezza scaturisce la possibilità che il principale eserciti un potere eccessivo sull´agente per condizionarne le azioni, fino ad arrivare all´abuso.

I limiti che il principale può incontrare nell´esercitare il proprio potere dipendono dall´esistenza e dall´ampiezza delle tutele giuridiche e delle norme sociali che regolano I rapporti di lavoro e più in generale i rapporti economici. Solo liberandosi delle idee di concorrenza perfetta e di contrattazione completa, adottando i mercati imperfetti, la teoria dei contratti incompleti e l´economia comportamentale come punti di partenza per una riflessione sul tema del potere e delle norme sociali che ne regolano l´esercizio, sarà possibile rifondare il paradigma di policy nella direzione auspicata da Bowles e Carlin.

In questo nuovo paradigma, che inserisce la società civile all´interno del binomio tradizionale Stato-Mercato (v. Fig. 1), aumenta lo spazio per l´introduzione di imposte patrimoniali, l´adozione di misure che favoriscano un più ampio accesso alle assicurazioni contro ogni tipo di rischio, una maggiore attenzione per i diritti sul posto di lavoro, una riforma della corporate governance e un sostanziale indebolimento dei “diritti di proprietà intellettuale”.

Come osservano ancora Bowles e Carlin, riconoscere che le norme sociali sono essenziali per il funzionamento dei mercati invita a prendere in considerazione forme alternative di organizzazione economica che coltivino, mobilitino e beneficino di motivazioni intrinseche comuni e di altre preferenze, come promuovere forme innovative di cura domestica o lo sviluppo di software open-source (v. Fig 1). L’inefficienza dell’attuale ordinamento capitalistico indica che le organizzazioni basate su interazioni meno gerarchiche e disuguali possono essere più efficaci in termini di performance soprattutto in un’economia basata sulla conoscenza, sulla cura e sui servizi per la persona.

L’implicazione di questa prospettiva è che per rinnovarsi l´economia deve essere aperta alle alternative istituzionali, alla sperimentazione e a prestare maggiore attenzione alla ricerca in altre scienze sociali. Su questo tema ha riflettuto Luigi Zingales sottolineando l´esigenza di riportare (Re-embed è il verbo utilizzato) l´Economia nell´alveo delle scienze sociali, prestando attenzione particolare alla dimensione politica nell´analisi della distribuzione e dell´economia del benessere.

Riportare l´economia nell´alveo delle scienze sociali significa “storicizzarla”, sociologizzarla” e “politicizzarla”. Zingales propone alcuni esempi per chiarire il senso di questa operazione (L. Zingales, 2020 The Political Limits of Economics, pp. 8-9). Rispetto alla storicizzazione, si consideri l’antitrust. Nel 1966 la Corte Suprema degli Stati Uniti bloccò la fusione tra due catene di negozi alimentari perché la quota di mercato combinata avrebbe raggiunto l’8,9%. Allo stesso tempo, la capitalizzazione di mercato della più grande azienda americana (IBM) era inferiore al 4% del PIL e le cinque maggiori banche controllavano meno del 9% dei depositi. Cinquant’anni dopo, Amazon da sola controlla il 50% delle vendite on-line. Ci sono quattro società con una capitalizzazione di mercato superiore al 4% del PIL e le cinque banche più grandi controllano più del 45% dei depositi. L’atteggiamento nei confronti dell’antitrust dovrebbe essere lo stesso di 50 anni fa? Ovviamente no. La globalizzazione, le nuove logiche che regolano la distribuzione dei beni e la gestione dei tempi di vita, fanno sì che la percezione del confine tra ciò che è ammissibile e ciò che non lo è, cambi con il tempo, senza credere nell´esistenza di dogmi assoluti.

Un esempio dell’esigenza di sociologizzazione dell’economia viene dal sostegno all’euro. In Europa, tutti gli economisti mainstream hanno sostenuto l’idea di una moneta comune europea, mentre negli Stati Uniti molti economisti di spicco, da Milton Friedman e Martin Feldstein a Paul Krugman, non lo hanno fatto e in alcuni casi continuano a esprimere posizioni critiche. La scienza economica è diversa tra Europa e Stati Uniti? Oppure le considerazioni politiche distorcono le convinzioni degli economisti da una parte dell’Atlantico o dall’altra (o da entrambe)? Non studiando sociologia, gli economisti rischiano di finire vittime inconsapevoli di pressioni sociologiche a conformarsi all’opinione della maggioranza di riferimento.

Sull’importanza di considerare la dimensione politica all´interno dell´analisi normativa dell´economia del benessere, l´esempio proposto da Zingales riguarda una situazione ipotetica in cui l’utilità marginale del reddito di ogni persona sia molto elevata fino a un livello di reddito minimo poi costante e la funzione del benessere sociale attribuisca lo stesso peso a tutti gli individui. In assenza di attriti nel processo politico, questa funzione è massimizzata massimizzando il PIL e riallocando il reddito a favore di coloro che guadagnano al di sotto del reddito minimo oltre il quale l´utilità marginale diventa costante. Se però ci fossero pochi miliardari e una grande massa di disoccupati, il costo della ridistribuzione sarebbe molto concentrato, mentre i benefici sarebbero diffusi, rendendo la ridistribuzione più difficile se non impossibile. Tenere conto di frizioni di questo genere e degli ostacoli che possono comportare a fronte di un´esigenza di maggiore equità è essenziale.

Anche in questo caso si tratta di temi sui quale il Menabò ha invitato i suoi lettori a riflettere più volte. Conforta sapere che l´attenzione verso questi temi sia arrivata nel cuore dell´Accademia statunitense e che sia in corso una riflessione profonda sulla necessità di rinnovare i “fondamentali”, per creare nuove istituzioni economiche capaci di coniugare la ricerca di una ricchezza condivisa con un concetto esteso di libertà, nell´ambito di un quadro politico e sociale che influenza quelle istituzioni e da esse è a sua volta influenzato.

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