Bonus per professionisti non ordinistici: il crollo delle richieste dopo l’introduzione della prova della riduzione del fatturato

Saverio Bombelli, Maria De Paola e Paolo Naticchioni si occupano dei ristori per i lavoratori autonomi non iscritti ad un ordine esaminando, in particolare le conseguenze dell’introduzione, da parte del Governo, di requisiti più stringenti per l’accesso a tali ristori. Gli autori trovano che le domande di indennità si sono ridotte e sottolineano la necessità di affiancare alle misure di sostegno anche efficaci controlli, senza i quali vi è il rischio di destinare risorse a chi non ne ha veramente bisogno.

Nel pieno della crisi pandemica, il governo ha introdotto (Decreto Cura Italia, Decreto Rilancio e Decreto interministeriale 13 luglio 2020) alcune indennità di sostegno in favore di specifiche categorie di lavoratori. Tra i diversi bonus verso il lavoro autonomo, abbiamo esaminato quello a favore dei liberi professionisti cosiddetti non ordinistici (in quanto non iscritti a un ordine).

I professionisti non ordinistici titolari di partita IVA attiva alla data del 23 febbraio 2020 hanno potuto chiedere il riconoscimento di una indennità pari a 600 euro per i mesi di marzo e aprile 2020 (si veda qui e qui) e poi per il mese di maggio una indennità di 1.000 euro, subordinata all’aver subito una comprovata riduzione del reddito nel secondo bimestre 2020 rispetto al reddito del secondo bimestre 2019 di almeno il 33%. Complessivamente, i beneficiari sono stati 318 mila per una spesa totale di circa 486 milioni, che rappresenta circa l’11% dei redditi dichiarati da tali lavoratori nel 2019 (quasi 4,5 miliardi). È di interesse notare che il numero di beneficiari, particolarmente alto nei primi due mesi, quando non vi era alcuna condizionalità, si è drasticamente ridotto nel mese di maggio: soltanto il 35% dei pagamenti di marzo e aprile è stato mantenuto. Come si diceva prima, nel mese di maggio, per ottenere la nuova indennità, i professionisti avevano l’onere di dichiarare di avere una partita IVA attiva alla data del 19 maggio 2020 ed aver subìto una perdita di reddito almeno del 33% nel periodo di riferimento. L’Agenzia delle Entrate era chiamata a verificare il rispetto di tale requisito (si veda Rapporto INPS).

Come è possibile spiegare questo crollo di richieste, proprio quando l’indennità era più elevata, cioè 1000 euro? Per rispondere a questa domanda utilizziamo un modello di regressione multivariata dove la variabile dipendente è l’aver mantenuto il bonus nel mese di maggio e le variabili esplicative sono alcune caratteristiche individuali e alcuni fattori contestuali (l’età, il genere, l’essere straniero, l’essere stato attivo nel 2019 e l’imponibile in quell’anno, le condizioni del mercato del lavoro, ecc.).

Una variabile di interesse è l’essere stato non attivo nel 2019: a parità di altre variabili di controllo, essa riduce la probabilità di continuare a beneficiare dell’indennità anche in maggio di circa 15 punti percentuali. Ciò può essere spiegato dal fatto che nelle provincie ad alta incidenza di non attivi, molti degli iniziali percettori hanno avuto difficoltà a maggio a giustificare la richiesta e nell’incertezza hanno preferito non correre i rischi associati a eventuali controlli successivi (avrebbero potuto far domanda, la norma prevedeva condizioni alternative per chi aveva un imponibile 2019 nullo).

Altra variabile di interesse da noi analizzata è il reddito percepito nel 2019. Come si osserva nella figura 1, c’è una chiara relazione decrescente fra l’ottenimento del bonus a maggio e l’imponibile dichiarato nel 2019: la probabilità di mantenere il bonus passa da circa il 40% per chi ha un reddito di diecimila euro a circa 20-25% per chi ha un reddito di novantamila. L’effetto dell’imponibile 2019 è inoltre più rilevante per le donne, che mostrano un differenziale positivo nella probabilità per livelli di reddito fra i 20 e 40 mila euro, che raggiunge 6-7 punti percentuali per poi ridursi per livelli di imponibile 2019 più elevati. Ciò potrebbe dipendere da una maggiore fragilità economica delle donne a seguito della pandemia, con un impatto della crisi tra i professionisti differenziato per genere e quindi con una maggiore incidenza tra le donne di un marcato calo del fatturato. Il pannello a destra della figura 1 mostra infatti chiaramente come fra il 2019 e il 2020 le donne abbiano subito perdite maggiori per tutti i livelli di imponibile 2019, ma soprattutto per redditi medio alti, a partire da circa 40 mila euro A ciò potrebbe aggiungersi, come mostrato da diversi studi (si veda ad esempio qui), una minore propensione da parte delle donne a comportamenti opportunistici che può averle indotte a richiedere l’indennità nei primi due mesi solo in caso di un effettivo peggioramento rispetto all’anno precedente. Questa interpretazione trova supporto nel fatto che la quota di donne fra i non attivi che hanno ottenuto l’indennità in marzo e aprile è inferiore di 5 punti percentuali rispetto agli uomini.

Un altro dato interessante che si nota guardando al panello a destra della figura 1 è che coloro che nel 2020 hanno subito maggiormente l’effetto della crisi nel 2019 già dichiaravano imponibili relativamente più bassi. La perdita percentuale fra l’imponibile dichiarato nel 2020 e quello del 2019, senza considerare le indennità, è infatti più marcata per i bassi livelli di imponibile del 2019 (intorno al 25-30%), mentre si riduce notevolmente per livelli di imponibile più alti (intorno al 15-20%). Ciò può essere dovuto al fatto che i professionisti ad alto reddito probabilmente dotati di maggiori competenze, utilizzando maggiormente le nuove tecnologie e la possibilità di lavoro da remoto, hanno sofferto meno il lockdown e in generale la crisi da COVID-19, rispetto a lavoratori meno qualificati, con più probabilità impegnati in attività difficilmente telelavorabili.

Queste evidenze confermano come l’impatto della pandemia sia stato disomogeneo e come siano state soprattutto le categorie già deboli ad averne pagato il costo. Aver tarato meglio le misure di sostegno, richiedendo evidenza della sofferenza economica, ha in parte permesso di liberare risorse che altrimenti sarebbero state assorbite da soggetti che anche dopo la crisi hanno mantenuto una buona posizione reddituale. Inoltre, l’analisi del comportamento dei beneficiari di tale bonus contribuisce al dibattito su una possibile riforma degli ammortizzatori sociali per i lavoratori autonomi, che presentano delle differenze rilevanti rispetto al caso dei lavoratori dipendenti, soprattutto per quanto riguarda la struttura degli incentivi e l’efficacia del sistema dei controlli.

Figura 1: Relazione fra essere beneficiario a maggio e imponibile 2019 (sx) e perdita percentuale fra imponibile 2019 e 2020 (dx)

 

*Questo articolo esce in contemporanea anche su lavoce.info (www.lavoce.info)

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