Asili nido: il Pnrr da solo non basta, conta anche la cultura delle famiglie

Morales Sloop propone una riflessione sulla fruizione degli asili nido, mostrando come in Italia, ben più che in altri Paesi europei, è ancora limitato l’utilizzo delle strutture per l’infanzia. Gli sforzi dello Stato e dei Comuni per ampliare l’offerta si scontrano con una domanda limitata a causa del fatto che molte famiglie considerano insostituibile il proprio ruolo educativo e non lo delegano agli asili. Morales auspica che questo atteggiamento cambi e avanza alcune proposte per favorire il cambiamento.

Nel 1546, il poeta inglese John Heywood, scrisse: “a man maie well bring a horse to the water, but he can not make him drinke without he will“. La versione più moderna del proverbio, spesso utilizzata nel mondo economico, recita: “you can lead a horse to water, but you can’t make it drink“, ossia potete condurre un cavallo all’acqua, ma non potete farlo bere. Il senso generale di questo proverbio è che si possono predisporre le migliori condizioni perché si realizzi qualcosa ma il risultato finale dipenderà dalla controparte. In questo contributo, mostreremo come il senso del proverbio ben si adatta al caso degli asili nido. Ormai da qualche anno lo Stato, ed in particolar modo i Comuni, si stanno impegnando affinché le famiglie possano beneficiare di una maggiore offerta dei servizi educativi per l’infanzia; tuttavia, se utilizzare o meno il servizio dipende esclusivamente dalla scelta delle famiglie.

Fino a non molti anni fa gli asili nido erano concepiti come un servizio assistenziale, con l’Istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita sino a sei anni (DL 65/2017) inizia il percorso con cui i servizi educativi per l’infanzia escono dal comparto assistenziale per entrare a pieno titolo nella sfera educativa.

Questo passaggio è stato accompagnato, come vedremo in seguito, da numerosi interventi volti a garantire sia una maggiore offerta in termini di posti disponibili, sia sostegni economici per le famiglie affinché possano usufruire del servizio. L’incremento dei posti si è reso necessario anche al fine di conseguire il target europeo, che prevede il raggiungimento di una soglia minima di copertura (percentuale dei posti disponibili rispetto ai residenti da 0 a 2 anni) pari al 33%. L’obiettivo doveva essere raggiunto entro il 2010, ad oggi l’Italia è ancora non è in linea.

Cosa c’entra allora il proverbio inglese? Quel proverbio è stato richiamato perché, come vedremo, mentre dal lato dell’offerta sono state intraprese numerose politiche, da quello delle famiglie sembrano esserci ancora resistenze ad affidare i propri figli, soprattutto nei primissimi anni di vita, alle strutture educative.

Per fornire un quadro di sintesi sul tema, dovremo far ricorso a diverse fonti che ci permetteranno di capire quanti bambini in età frequentano i nidi (pubblici e privati); qual è la situazione in termini di offerta del servizio e dove possibile anche di utilizzo; infine, cercheremo di individuare le motivazioni che spingono le famiglie a non iscrivere i propri figli.

Ad oggi, e questa è una carenza che andrebbe colmata, non è possibile sapere con esattezza quanti sono i bambini che frequentano strutture per l’infanzia pubbliche o private. Informazioni generali, ma non molto dettagliate, si possono ricavare dall’indagine campionaria europea sui redditi e le condizioni di vita delle famiglie, da cui emerge che nel 2019, in Italia, i bambini sotto i 3 anni che frequentavano una struttura educativa, pubblica o privata, erano il 26,3%, meno della media nell’UE27 (35,3% ) e considerevolmente al di sotto di altri paesi del Mediterraneo come Spagna (57,4%) e Francia (50,8) (Eurostat, indagine EU-silc 2019).

Per quanto riguarda l’Italia il dato desumibile dall’indagine sui redditi, include anche gli “anticipatari” alla scuola d’infanzia, che in Italia nell’anno scolastico 2019-20 rappresentavano il 5,1% dei bambini sotto i 3 anni. Al netto degli “anticipatari” e dei beneficiari dell’offerta comunale (14,7%), si stima intorno al 6,5% la quota di bambini iscritti nei nidi privati non finanziati dai comuni. Un quadro più preciso sull’offerta comunale è desumibile, invece, dal report annuale dell’Istat: Nidi e servizi integrativi per la prima infanzia. Il report fornisce informazioni con un elevato grado di dettaglio (per ogni singolo comune) su vari aspetti del fenomeno. In particolare dall’ultima rilevazione disponibile emerge che a fine 2019 la copertura, garantita sia dal servizio pubblico sia da quello privato era pari al 26,9%, offerta leggermente superiore a quella dei bambini frequentanti indicata dall’indagine sui redditi. Come anticipato la copertura raggiunta è ancora al disotto della soglia europea (33%). Tuttavia, permangono forti divari territoriali, regioni come Valle d’Aosta, Umbria ed Emilia Romagna (rispettivamente 43,9, 43 e 40,1%) hanno già raggiunto, e ampiamente superato, il 33%, mentre in Sicilia, Calabria e Campania (rispettivamente 12,4, 10,9 e 10,4%) si registrano forti ritardi.

Nel corso degli ultimi anni, per incentivare la fruizione dei servizi e colmare i forti divari territoriali, sono state adottate, come si è già detto, diverse politiche. Ad esempio, nel 2017, è stato introdotto il bonus asili nido (L 232/2016) misura di sostegno economico che prevede il rimborso delle spese sostenute dalle famiglie per la frequenza dei figli nelle strutture educative. E lo stesso PNRR destina all’incremento dell’offerta dei servizi educativi 2,4 miliardi con l’obiettivo di realizzare, entro il 2025, circa 265.000 nuovi posti necessari a garantire il raggiungimento dell’obiettivo europeo. Infine, la legge di bilancio per il 2022 (L. 234/2021) stanzia somme per il finanziamento delle spese di funzionamento connesse con l’incremento dei posti per i nidi sino al raggiungimento del 33%, fissato per la prima volta come livello essenziale delle prestazioni (LEP) – al cui raggiungimento concorre anche l’offerta privata – che ciascun Comune o bacino territoriale è tenuto a garantire.

Nonostante le politiche adottate per incentivarlo, l’utilizzo delle strutture educative – che, lo ricordiamo, pur essendo inserito nel percorso di istruzione è ancora un servizio a domanda individuale – resta limitato, anche se tra significative difformità.

Il primo aspetto da osservare è quanto la carenza di posti condizioni quel limitato utilizzo. Come ricordato in precedenza, non sono disponibili informazioni puntuali riguardo gli utenti che frequentano i servizi educativi privati, mentre abbiamo maggiori informazioni sulle strutture a titolarità pubblica. Nel prosieguo la nostra attenzione si concentrerà sugli asili nido comunali (che comprendono nidi, micronidi e sezioni primavera a gestione diretta o affidata a terzi). Osservando il rapporto tra gli utenti ed i relativi posti autorizzati emerge che in molte regioni del Mezzogiorno l’offerta pubblica non è pienamente utilizzata dalle famiglie. Il minore ricorso ai servizi pubblici si rileva in Basilicata (63,9%) Molise (70,8%) ed Abruzzo (71,3%); di contro in Valle d’Aosta (95,8%), Trentino Alto Adige (94,3%), Toscana (94,2%) e Lazio (90%) potrebbero registrarsi situazioni in cui vi è un’effettiva carenza del servizio (Fig.1) soprattutto nei grandi centri abitati.

 

Fig.1: Ricorso al servizio di asili nido (Anno 2019)


Fonte: elaborazione su dati Istat

 

Se da un lato una carenza di offerta potrebbe condizionare il ricorso a questi servizi, in alcuni territori le motivazioni della mancata fruizione devono essere cercate in altre direzioni. A riguardo l’indagine multiscopo sulle famiglie (Aspetti della vita quotidiana), richiamata nel rapporto “Nidi e servizi educativi per l’infanzia” (a cura di Dipartimento per le politiche della famiglia, Istat, Università Ca’ Foscari Venezia, MIPA, giugno 2020) permette di far luce sulle motivazioni addotte dalle famiglie. Emerge che la mancata partecipazione ai servizi educativi nella maggior parte dei casi è da attribuire ad una scelta della famiglia, in particolare vengono menzionati: l’età o le condizioni di salute nel 42%dei casi; la presenza di un familiare che si occupa del bambino/a, congiuntamente alla non disponibilità a delegare ad altri il proprio compito educativo nel 38,5% dei casi (questa percentuale aumenta al 47,9 % nelle famiglie in cui entrambi i genitori lavorano). Solo per il 16% circa delle famiglie, la mancata partecipazione è dovuta a motivi riguardanti l’offerta (costo eccessivo, domanda rifiutata, lontananza, orari scomodi) con frequenza maggiore al Nord e nei Comuni di periferia dell’area metropolitana. Queste prime indicazioni delineano un atteggiamento da parte delle famiglie che pone in secondo piano il ruolo educativo degli asili nido a favore del ruolo centrale della famiglia.

Tra i dati richiamati, colpisce soprattutto quello relativo alle famiglie in cui entrambi i genitori sono occupati. In questo caso, infatti, oltre al ruolo educativo dovrebbe essere favorito anche quello della conciliazione tra attività lavorativa e vita familiare. Tuttavia rimane elevata la percentuale di famiglie che indicano la non disponibilità a delegare il ruolo educativo oppure fanno ricorso al sostegno della rete familiare mostrando di non attribuire alcun rilievo alla funzione educativa dei servizi. Un’analisi di questo comportamento su base regionale evidenzia che esso è diffuso su tutto il territorio nazionale salvo limitate eccezioni in Basilicata (27%), Puglia (19%) ed Emilia Romagna (15%) (Figura 2).

 

Fig. 2: Percentuale delle famiglie che considerano centrale il ruolo educativo della famiglia

Da queste prime indicazioni, che meriterebbero maggiori approfondimenti, emerge un dato che colpisce molto: la persistenza della vecchia visione dei servizi per l’infanzia come servizi assistenziali e non anche educativi.

La speranza è che in futuro la domanda di questi servizi possa crescere, sia per effetto della maggiore partecipazione femminile al mercato del lavoro sia perché sarà più ampiamente riconosciuto il loro ruolo educativo. Tornando al nostro proverbio iniziale, l’auspicio è che il cavallo una volta portato alla fonte decida di bere.

Un diverso atteggiamento delle famiglie nei confronti degli asili eviterebbe anche di realizzare nuove infrastrutture destinate, però, a rimanere totalmente o parzialmente inutilizzate. Come facilitare un simile cambiamento? La risposta non è facile ma si potrebbe pensare a ben congegnate campagne informative, rendendo noto soprattutto l’impegno pubblico per fornire servizi educativi di qualità in un contesto di attenzione alle esigenze dei bambini e forse anche, ma con la dovuta cautela, a veri e propri incentivi, soprattutto per cercare di avviare un possibile circolo virtuoso di crescente fruizione degli asili-nido. Ad uno Stato che è disposto a pagare interventi di ristrutturazione edilizia più del loro costo (Bonus 110%), perché non si dovrebbe chiedere di impegnare risorse per migliorare la vita delle famiglie e la formazione delle nuove generazioni?

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