Ascesa, declino e destino della progressività tributaria

Antonio Pedone si interroga sul ruolo della progressività tributaria in una strategia di riduzione delle disuguaglianze. Dopo aver brevemente ricordato le cause di queste ultime, Pedone riflette sulle condizioni che hanno determinato prima l’ascesa e poi il declino della progressività e sostiene, anche sulla base di questa riflessione, che la lotta alle disuguaglianze non si può affidare soltanto a prelievi fiscali progressivi; altri interventi - dalla riduzione delle barriere all’entrata in molte attività all’avvicinamento dei punti di partenza – sono necessari.

Per valutare il ruolo che la progressività tributaria può avere nel ridurre le grandi disuguaglianze economiche presenti oggi nella maggior parte dei paesi, occorre tener conto della diversità delle spiegazioni proposte e dei rimedi suggeriti nei confronti di tali disuguaglianze, ma anche delle condizioni in cui si sono verificati prima l’ascesa e poi il declino di prelievi fortemente progressivi nei maggiori paesi capitalisti e delle caratteristiche che tali prelievi hanno assunto, provocando tra l’altro un ampio e differenziato divario tra progressività nominale ed effettiva.

Gli strumenti suggeriti, in relazione alle prevalenti spiegazioni proposte, per ridurre le attuali grandi disuguaglianze possono sinteticamente raggrupparsi in: interventi diretti a garantire diritti (all’istruzione, alla salute, all’inclusione) che avvicinino i punti di partenza; interventi diretti ad accrescere la concorrenza sui mercati abbattendo le rendite di posizione; interventi di natura tributaria che colpiscano in maniera progressiva i redditi e i patrimoni (in via ordinaria o al momento del loro trasferimento).

In particolare, il ricorso alla progressività tributaria è ritenuto essenziale da chi, come Thomas Piketty, considera eccessiva la “fede di Condorcet” e dei suoi seguaci (anche contemporanei) nella concorrenza e nella parità di accesso al mercato come fonti di progresso e di uguaglianza meritocratica e sostiene che, nella spiegazione della concentrazione estrema delle fortune, vada considerato l’eccesso di rendimento del capitale accumulato rispetto al tasso di crescita dell’economia. In tal caso, accanto a misure desiderabili a favore della liberalizzazione (regolata) delle competizioni sui mercati e dell’avvicinamento nei punti di partenza, per regolare la dinamica distributiva legata alla disuguaglianza strutturale tra il rendimento del capitale e il tasso di crescita, «lo strumento democratico ideale è evidentemente l’imposta progressiva, ma questa volta, per i prossimi decenni non si tratta soltanto dell’imposta progressiva sul reddito, ma anche di un’imposta progressiva sul patrimonio».

Per comprendere l’effettivo ruolo che la progressività tributaria può avere nel ridurre le disuguaglianze occorre innanzitutto chiedersi se sussistano oggi le condizioni che hanno alimentato le spinte per l’adozione di forme di progressività accentuata nei moderni sistemi tributari di massa, le caratteristiche che tali forme hanno assunto e gli effetti che hanno prodotto.

In primo luogo, si può affermare che l’adozione di imposte progressive è strettamente legata ad alcune profonde trasformazioni dei sistemi tributari nel corso degli ultimi 150 anni. In sintesi, si è passati, con modalità e tempi diversi nei singoli paesi,

– da un sistema tributario a base ristretta (con un numero limitato di contribuenti), con una pressione tributaria complessiva moderata, ispirato al principio del beneficio, basato su criteri di realità (sui singoli tipi di basi imponibili) e territorialità (basato sul luogo di produzione del reddito); riferito a basi imponibili lorde definite in maniera grossolana ma oggettiva;

– a un sistema tributario di massa (con un numero molto elevato di contribuenti), con una pressione complessiva molto alta (spesso vicina al 50% del PIL), ispirato al principio della capacità contributiva, basato sui criteri di personalità (riferito al singolo soggetto e alle sue caratteristiche personali) e nazionalità (riportando tutti i redditi al soggetto che li percepisce da qualsiasi luogo di produzione provengano), riferito a basi imponibili nette determinate con criteri analitici e valutazioni convenzionali comportanti numerosi e complessi aggiustamenti.

In secondo luogo, nella maggior parte dei casi, il ricorso alle imposte progressive ha ricevuto una spinta dalla diffusione dei regimi di democrazia rappresentativa e dall’estensione del diritto di voto (fino al suffragio universale). Questi non ebbero gli effetti inizialmente temuti di attuare politiche tributarie espropriatrici, ma in alcuni casi divenuti poi esemplari (come quello della famosa battaglia sul bilancio presentato dal cancelliere dello scacchiere Lloyd George nell’aprile 1909) contribuirono all’affermazione del diritto esclusivo delle assemblee elettive di svolgere un incisivo compito distributivo attraverso le imposte.

In terzo luogo, la spinta maggiore alla progressività tributaria è venuta dagli eventi bellici, sia per fronteggiare le eccezionali esigenze di finanziamento richiesto in tali periodi, sia per le irrefrenabili pressioni delle spinte demagogiche scatenate dai rivolgimenti sociali che accompagnano i periodi di guerra e dopoguerra, così come di rivoluzione e di grave crisi. Come osservò Einaudi nel primo dopoguerra, in tali periodi, accanto alla pressione e all’urgenza di raccogliere risorse finanziarie per coprire le spese belliche, “sotto la pressione dei sentimenti diffusi nella popolazione, il sistema tributario viene dapprima trasformato ed arricchito nel senso di obbligare i ricchi, gli immuni dal sacrificio del sangue e gli arricchiti di guerra a subire essi il massimo sacrificio finanziario”.

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Fonte: Anni scelti da http://piketty.pse.ens.fr/en/capital21c, dove è disponibile la serie annuale completa.

Ma le aliquote marginali dell’imposta sul reddito non avrebbero raggiunto, verso la fine della seconda guerra mondiale e poi conservato per circa un ventennio, i livelli che oggi appaiono incredibili del 94% negli USA e del 98% nel Regno Unito (cfr. Tab. 1), se non avesse agito anche un altro fattore. Questo fattore era costituito dalla presenza di modelli alternativi di organizzazione dell’economia e della società concretamente operanti e che avrebbero potuto esercitare un certo fascino sulle masse in termini di minori stridenti disuguaglianze. Un primo modello da evitare era quello comunista sovietico; si può ricordare che già sul finire della prima guerra mondiale, lo spettro della Rivoluzione russa del 1917 aveva indotto ad accettare l’impennata delle aliquote sui redditi più alti dal 7% al 77% negli USA e dall’8% al 53% nel Regno Unito. L’altro modello di organizzazione sociale da accogliere solo parzialmente dai paesi anglosassoni era quello interventista socialdemocratico europeo continentale, che poteva indebolire le energie propulsive del libero mercato. Lasciando invece agire quest’ultimo senza freni e con un minimo di controlli si sarebbe ottenuto il massimo della crescita, ma a costo di produrre profonde disuguaglianze. Per correggere e rendere accettabili queste ultime, occorreva adottare una progressività molto elevata, e ciò fu fatto.

Ci si rese però conto fin dall’inizio che una progressività così accentuata avrebbe potuto avere effetti disincentivanti sull’attività produttiva. Si vennero così moltiplicando i trattamenti tributari differenziati, sotto forma di esenzioni totali o parziali, di agevolazioni molto specifiche e variegate, di criteri di misura e valutazione delle basi imponibili molto favorevoli per alcuni soggetti, settori e tipi di attività, territori, natura delle operazioni, forma giuridica e dimensione delle imprese, ecc.

In presenza di un consistente diffuso aumento del prelievo tributario complessivo e di una progressività formale molto elevata, si è accresciuta la spinta da parte di gruppi di interesse piccoli e grandi verso la ricerca di trattamenti tributari differenziati sempre più largamente concessi per sostenere la crescita produttiva, l’occupazione, gli investimenti, il progresso tecnologico, e favorire la riduzione del disagio sociale e gli impieghi meritori delle risorse. Il proliferare dei trattamenti tributari differenziati, sia quelli legali che quelli para-legali (elusione) o illegali (evasione), ha enormemente allargato il divario tra progressività nominale e progressività effettiva in maniera molto differenziata e, spesso, intricata e oscura.

L’esperienza dell’imposta progressiva sul reddito, che in molti ordinamenti (compreso il nostro) è ancora la principale fonte di gettito, ha mostrato che i problemi maggiori della sua effettiva applicazione derivano non soltanto dagli importanti aspetti più frequentemente analizzati –relativi alla scelta largamente arbitraria dell’unità impositiva (individuo o unione familiare) e delle correzioni apportate al reddito complessivo (deduzioni) o all’imposta (detrazioni) – ma sono legati soprattutto alle difficoltà di definizione, determinazione e accertamento dei singoli redditi che compongono il reddito complessivo.

La centralità della questione amministrativa, in tutti i suoi aspetti, è evidenziata dall’inevitabile grado di discrezionalità (riflesso nelle pratiche di ruling e di concordati preventivi sotto svariate forme e denominazioni) insito nella gestione di un sistema tributario di massa in un’economia molto complessa e differenziata, continuamente cangiante, largamente immateriale e operante in condizioni di elevata incertezza.

Tale questione è resa più complessa dai fattori che hanno reso più difficile l’applicazione uniforme e generalizzata delle norme tributarie e la loro stessa formulazione. Tra questi fattori, un ruolo sempre maggiore lo hanno svolto le forme sempre più estese e intense assunte dall’integrazione economica e finanziaria internazionale con la partecipazione di un sempre maggior numero di paesi con ordinamenti giuridici sempre più diversi e complessi. Ciò ha accresciuto le possibilità di elusione ed evasione in misura molto differenziata per i vari soggetti ed ha reso molto più faticoso il contrasto alle sempre più complesse forme che assumono l’elusione ed evasione internazionale, favorite anche dall’imponente espandersi dell’innovazione finanziaria che in molti casi consente, attraverso percorsi non sempre facilmente tracciabili, di trasformare i vari tipi di redditi in modo da sottrarli alla tassazione (o almeno a quella più onerosa).

L’effettiva applicazione della progressività si è così andata restringendo in prevalenza alla massa dei redditi medio-alti e medi da lavoro dipendente, applicandosi di fatto agli altri redditi in maniera estremamente differenziata e in genere molto attenuata. Il suo declino (misurato ad esempio dalla diffusa riduzione delle aliquote sui redditi più elevati) è stato favorito, oltre che dall’agire dei fattori appena ricordati, dall’attenuarsi delle condizioni in cui si era verificata la forte spinta originaria verso una progressività molto elevata. In particolare, queste condizioni sono venute meno con l’indebolimento e il crollo dei regimi comunisti o la loro adesione ai meccanismi capitalisti, con l’asserita crisi del modello interventista-socialdemocratico, e con la progressiva sostanziale perdita di sovranità da parte delle assemblee popolari nazionali in materia di politica tributaria.

Nelle attuali condizioni, e salvo un loro radicale mutamento come reazione ai disagi portati dalla crisi, il ruolo svolto dalla progressività tributaria sarà sempre più limitato e selettivo. Una sua estensione dal campo dell’imposizione sui redditi a quello dell’imposizione patrimoniale, secondo quanto proposto da Thomas Piketty, richiederà che si affrontino i diversi problemi già ricordati a proposito dell’imposta personale progressiva sul reddito complessivo e, basandosi su quelle esperienze, si cerchino soluzioni trasparenti e praticabili. In ogni caso, anche se si troveranno e applicheranno tali soluzioni concordate a livello internazionale, la progressività tributaria potrà dare un contributo importante ma limitato alla riduzione delle disuguaglianze anche estreme. A tal fine, andrà accompagnata da altri interventi, anche essi complessi e differenziati, diretti a ridurre le barriere all’entrata nello svolgimento di molte attività economiche e ad avvicinare i punti di partenza e le asperità dei percorsi lavorativi.

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