Archiviazione e codificazione dei CCNL. Semplificare per promuovere il lavoro regolare

Michele Faioli ricorda che l'archivio nazionale CNEL registra circa 900 contratti collettivi e che questo è un segnale di pratiche concorrenziali sleali sul costo del lavoro nonché di rincorsa al ribasso nelle tutele dei lavoratori. Per questa ragione il CNEL ha chiesto e ottenuto un sistema unico, trasparente e accessibile, di deposito e codificazione dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni che Faioli illustra, sostenendo che tale sistema è un passo verso la semplificazione per fini di certezza pubblica e per la riduzione delle disuguaglianze.

Perché è arrivato il momento di mettere ordine agli archivi pubblici della contrattazione collettiva? Come si può procedere nella risistemazione di un affastellamento di contratti collettivi spesso disorganico e senza collegamento interoperativo tra pubbliche amministrazioni e tra i tanti archivi pubblici di CCNL già esistenti? Il CNEL, nel 2019, osservando le esperienze di altri paesi occidentali, aveva lanciato l’idea di un codice unico dei CCNL, con contestuale archiviazione digitale ordinata e univoca che poteva divenire utile per tutte le pubbliche amministrazioni, e il legislatore del 2020 ha colto l’occasione per attuare tale idea.

L’art. 16 quater, d.l. 76/2020, l. conv. 120/2020 (cd. decreto semplificazioni), dispone che il contratto collettivo nazionale, identificato mediante un codice unico alfanumerico per tutta la PA, sia indicato nelle comunicazioni obbligatorie di cui al d.lgs. 297/2002 e nelle trasmissioni mensili di cui al d.l. 269/2003, l. conv. 326/2003. Tale codice viene attribuito dal CNEL, secondo criteri stabiliti d’intesa con il Ministero del lavoro e l’INPS. Tale norma è frutto dell’iniziativa legislativa del CNEL (si v. il DDL 1232/2019 – incardinato presso il Senato della Repubblica). L’assorbimento di tale norma nel decreto semplificazione dimostra, tra le altre cose, l’importanza della cooperazione istituzionale tra Parlamento e CNEL nonché la funzione anticipatrice che il CNEL può svolgere nella regolazione di ciò che attiene alle relazioni industriali e alla contrattazione collettiva.

La necessità di introdurre un codice unico dei CCNL muove, da una parte, da una esigenza pratica rilevata dalle parti sociali, e, dall’altra, da una fase sperimentale già avviata.

L’esigenza pratica è relativa alla situazione disorganica delle relazioni industriali italiane che l’archivio nazionale dei contratti collettivi di lavoro, istituito ex l. 936/1986, fotografa da qualche anno: l’archivio CNEL, che è inteso come un mero deposito documentale finalizzato alla conservazione e alla consultazione pubblica dei CCNL, registra circa 900 contratti collettivi. Il che è inteso da molti come un segnale di pratiche concorrenziali sleali sul costo del lavoro e di rincorsa al ribasso nelle tutele dei lavoratori. Ad esempio, l’ispettorato nazionale del lavoro, con una serie di circolari del 2018, 2019 e 2020, mettendo in rilievo ciò può derivare da una specie di shopping della contrattazione ha cercato di definire un metodo di comparazione qualitativa e quantitativa tra istituti contrattuali per permettere, durante le verifiche aziendali, una rilevazione ragionevole delle pratiche elusive o irregolari. Ma ciò non basta in ogni caso: se non si dispone di una base di dati affidabile, qualunque lavoro ispettivo sulla corretta applicazione di CCNL è contestabile, tenendo presente che la misurazione della rappresentatività delle parti sociali è ancora in una fase di primissima e parziale applicazione. Di qui il CNEL ha chiesto e ottenuto un sistema unico, trasparente e accessibile, di deposito e codificazione dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni. Tale sistema è un passo verso la semplificazione dell’archiviazione per fini di certezza pubblica. È in via di consolidamento una piattaforma digitale nella quale i firmatari effettuano, una tantum e secondo una procedura condivisa ai fini di certezza del diritto, il deposito dei CCNL, con un minimo di elementi conoscitivi, tra i quali l’esatta indicazione delle organizzazioni firmatarie nonché delle confederazioni di riferimento.

Il DDL del CNEL derivava da una proficua fase sperimentale, attuata da qualche anno dal CNEL con l’INPS. Essa si è realizzata mediante la collaborazione un riordino delle rispettive informazioni per la costituzione di un primo nucleo di un’anagrafe comune dei contratti collettivi. CNEL e INPS avevano iniziato a collegare, già da qualche anno, i relativi sistemi di codifica/archiviazione dei CCNL. Ciò ha confermato l’intuizione del CNEL, la quale si è successivamente tradotta nel DDL CNEL del 2019 e nell’art. 16 quater del decreto semplificazioni. L’archivio CNEL già permette oggi una classificazione dei CCNL in relazione alle attività economiche di cui al sistema statistico nazionale (codici ATECO). In particolare, studiando l’attuale sistema di archiviazione, frutto della sperimentazione CNEL/INPS di questi ultimi anni, si notano una serie di aspetti molto positivi. Tra questi si segnalano i seguenti: aggiornamento continuo delle schede CCNL; classificazione dei CCNL in tredici macrosettori economici, con successiva scomposizione dei tredici macrosettori in novantasei sotto settori contrattuali che indicano aree omogenee per attività economica; digitalizzazione dei documenti contrattuali; ricostruzione storica dei testi contrattuali tempo per tempo vigenti; ricodificazione con l’allineamento ai codici contratto dell’INPS; collegamento dei CCNL ai codici ATECO-ISTAT di classificazione delle attività economiche alla sesta cifra (profondità massima possibile) con conseguente specificazione degli ambiti applicativi dei CCNL secondo il linguaggio utilizzato in ambito economico, statistico e amministrativo; possibilità di ricerca avanzata sui testi contrattuali.

Osserviamo qualche aspetto pratico dell’introduzione di tale codice unico. Già oggi l’INPS assegna un proprio codice ai CCNL per funzioni istituzionali di definizione dei minimali retributivi di contribuzione. Facciamo qualche esempio. L’art. 1, co.1, del d.l. 338/1989, l. conv. 389/1989, stabilisce che la retribuzione da assumere come base imponibile per il calcolo dei contributi non può essere inferiore all’importo delle retribuzioni stabilito dai contratti collettivi. L’art. 2, co. 25, l. 549/1995, chiarisce inoltre che, in caso di pluralità di contratti collettivi nella medesima categoria, la retribuzione da assumere come base per il calcolo dei contributi è quella stabilita dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative nella categoria. L’art. 44, co. 9, d.l. 269/2003, l. conv. 326/2003, ha avviato il processo che si attua nel flusso denominato UNIEMENS, raccogliendo a livello individuale per ogni lavoratore le informazioni retributive e contributive riferite ai CCNL selezionati dall’INPS.

Ora, dall’introduzione del regime di cui all’art. 16 quater del decreto semplificazione, l’insieme delle comunicazioni, dei flussi obbligatori e dei relativi riferimenti ai CCNL applicati per ciascuna posizione professionale sarà determinato non più da una disordinata e plurima codificazione/archiviazione dei CCNL ma bensì da un’unica banca dati.

Il che rappresenta, da una parte, il modo più pratico per risolvere una serie di incongruenze che, nei fatti, lasciano spazio a irregolarità e, dall’altra, di prendere atto degli effettivi dati sui fenomeni elusivi. Ci si troverà di fronte a uno scenario finalmente proattivo: l’attuazione delle regole sui minimali contributivi, il flusso UNIEMENS, le comunicazioni obbligatorie, etc. saranno vincolate al codice unico dei contratti collettivi, con l’effetto che da parte della pubblica amministrazione sarà rilevabile e tracciabile nel tempo, con maggiore facilità, data la digitalizzazione dell’archivio e la definizione alfanumerica, il contratto collettivo a cui si vincola il datore di lavoro e, dunque, le conseguenti tutele applicabili ai lavoratori.

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