Antonio Gramsci, ‘L’Ordine Nuovo’ e lo squadrismo fascista (gennaio- giugno 1921).

Nei pochi mesi che intercorrono tra la fondazione del PCd’I – il 21 gennaio del 1921 – e le elezioni politiche del 15 maggio del 1921, le prime con l’inserimento nei “blocchi nazionali” di esponenti dei Fasci di combattimento, è interessante osservare l’atteggiamento che ‘L’Ordine Nuovo’ e il suo fondatore Antonio Gramsci assumono di fronte al dilagare dello squadrismo fascista. Il crescere del fascismo in quei primi mesi del 1921 appare a molti in quegli anni come una semplice esplosione violenta di rancori nazionalistici, antisocialisti, e sostanzialmente tollerabili ai fini di reazione immediata, ma non difficilmente riassorbibile. Gramsci al contrario non si arresta alla denuncia delle manifestazioni di violenza, ma cerca di comprendere il fascismo descrivendolo come l’ultima degenerazione della borghesia contro il proletariato, avente come obiettivo ‘il fine massimo di ogni movimento: il possesso del governo politico’. ‘L’Ordine Nuovo’ denuncia connivenze tra stato e fascismo, critica gli atteggiamenti di rassegnazione e di debolezza dei socialisti e dei riformisti. Gramsci, interpretando la guerra civile che si sta scatenando in Italia in quei mesi come una guerra di classe, esorta la classe operaia a combattere delineando chiaramente, già nel gennaio del 1921, il significato dell’emergere del fascismo: ‘Il fascismo è stata l’ultima rappresentazione offerta dalla piccola borghesia urbana nel teatro della vita politica nazionale’. Il fascismo, infatti, fa suoi molti temi che si sono sviluppati durante l’avventura fiumana, ma è chiaro che la base solida dell’organizzazione è la diretta difesa della proprietà industriale e agricola dagli assalti della classe rivoluzionaria. Questo articolo, oltre ad essere un importante analisi del fenomeno fascista, rappresenta una sintesi dell’interpretazione di Gramsci sulla guerra civile in atto in Italia nel gennaio 1921. La violenza delle squadre è interpretata come reazione al crescere della coscienza di classe del proletariato e della preparazione della rivoluzione contro lo stato borghese. Lo squadrismo, rileva l’intellettuale sardo, si sostituisce sempre più in larga scala all’autorità della legge e corrode così facendo la base stessa dello stato borghese.

Questa attività della piccola borghesia, divenuta ufficialmente il fascismo, non è senza conseguenza per la compagine dello Stato. Dopo aver corrotto e rovinato l’istituto parlamentare, la piccola borghesia corrompe e rovina gli altri istituti, i fondamentali sostegni dello Stato: l’esercito, la polizia, la magistratura. Corruzione e rovina condotte in pura perdita, senza alcun fine preciso (l’unico fine preciso avrebbe dovuto essere la creazione di un nuovo Stato: ma il popolo delle scimmie è caratterizzato appunto dall’incapacità organica a darsi una legge, a fondare uno Stato): il proprietario, per difendersi, finanzia e sorregge una organizzazione privata, la quale per mascherare la sua reale natura, deve assumere atteggiamenti politici rivoluzionari e disgregare la più potente difesa della proprietà, lo Stato. La classe proprietaria ripete, nei riguardi del potere esecutivo, lo stesso errore che aveva commesso nei riguardi del Parlamento: crede di potersi meglio difendere dagli assalti della classe rivoluzionaria, abbandonando gli istituti del suo Stato ai capricci isterici del popolo delle scimmie, della piccola borghesia.

Gramsci sviluppa la sua analisi del fenomeno fascista partendo dalla critica al “riformismo”, sia del Partito socialista che della CGL, e dall’esigenza di portare avanti l’ideale rivoluzionario sul modello della rivoluzione dei soviet russi. La terza internazionale e il fallimento del biennio rosso aprono, infatti, una spaccatura nel socialismo italiano che porterà alla scissione di Livorno nel gennaio del 1921. Dopo questo Congresso cresceranno le divergenze e i dissapori tra il Partito socialista e il nuovo Partito comunista d’Italia. La frammentarietà delle posizioni presenti sia all’interno del PCd’I, ma soprattutto nel PSI, renderanno perdente l’opposizione al crescere del fascismo, soprattutto a livello locale in quei territori dove forte era stata la presenza socialista.
Come lo stesso Spriano osserva nella sua Storia del Partito comunista italiano la scissione di Livorno ha provocato un indebolimento della resistenza operaia all’offensiva dell’avversario di classe per l’incapacità dei comunisti di attrarre nell’internazionale la maggioranza del proletariato. Lo stesso Gramsci in un articolo del 1924 giudicherà a posteriori un errore il modo con cui fu portata avanti la formazione del Partito comunista, in una situazione già grave per la guerra civile in atto.  Nonostante questa autocritica, all’inizio del 1921 il quotidiano torinese inizia a descrivere le violenze fasciste quotidianamente, constatando l’inefficacia della resistenza da parte dei socialisti. Una delle tematiche ricorrenti negli articoli di Gramsci su ‘L’Ordine Nuovo’ è infatti proprio l’attacco duro e costante al suo vecchio partito, giudicato incapace di sostenere le ragioni del proletariato e indeciso di fronte al dilagare della violenza fascista. Come chiaramente si evince dagli interventi sul giornale, i socialisti, e in particolar modo i loro deputati, sono accusati di non essere più i rappresentanti della classe operaia, di aver perso l’originaria connotazione rivoluzionaria a favore di un riformismo che disorienta la classe operaia: ‘Alle violenze dei fascisti non si risponde con gli scioperi generali, ma con l’armamento del proletariato’. A fine gennaio Gramsci rileva la pericolosità del fascismo anche a Torino. Il 31 gennaio in un lungo articolo analizza la situazione torinese per portare avanti, attraverso l’esaltazione dell’esperienza dell’occupazione delle fabbriche vissuta durante il biennio rosso, il discorso su come opporsi all’avanzare dello squadrismo. Gramsci constata come i fascisti vogliano sviluppare anche a Torino un piano d’azione simile a quello sviluppato in altre città e di come le minacce continuino a crescere al fine di disgregare le forze proletarie con il panico e l’incertezza dell’attesa. A differenza di altre città a Torino È presente una classe operaia abituata a lottare, che ha avuto l’esperienza dei consigli di fabbrica e delle occupazioni, sostenuti e teorizzati da Gramsci e da ‘L’Ordine Nuovo’ pochi anni prima.

Il movimento dei consigli di fabbrica e di gruppi comunisti ha perfezionato questa articolazione del movimento operaio torinese, che non può ormai essere decapitato e paralizzato da nessuna bufera reazionaria.[…] Questa propaganda realistica fu iniziata fin dal 1919, e allora le attuali Maddalene pentite del massimalismo chiamavano ‘riformistico’ il movimento torinese dei consigli, perchè si proponeva di ‘abilitare’ e ‘istruire’ gli operai, mentre i massimalisti predicavano solo grandi azioni frontali e ogni tre parole di discorso intercalavano la parola ‘violenza’. Oggi si vede quanto fosse necessaria quella propaganda e come solo attraverso quell’opera di preparazione si tutelasse veramente l’avvenire del proletariato.
E’ evidente l’attacco portato avanti contro coloro che non sostengono che il fascismo, in quanto reazione della classe borghese contro il proletariato, debba essere combattuto attraverso la violenza e la difesa armata della classe operaia. Proprio partendo dal caso torinese Gramsci delinea l’unica strada possibile perseguibile in questa “guerra di classe” – come più volte È definita su ‘L’Ordine Nuovo’ – ed esorta la classe operaia ad abbandonare ogni compromesso sia con lo stato borghese, che con i fascisti. A questo proposito scrive:

Al primo tentativo fascista deve seguire rapida, secca, spietata la risposta degli operai e deve questa risposta essere tale che il ricordo ne sia tramandato fino ai pronipoti dei signori capitalisti. Alla guerra come alla guerra, e in guerra i colpi non si danno a patti.

Nel mese di febbraio si denunciano le aggressioni ai danni dei socialisti, le distruzioni delle case del popolo e delle sedi del PSI, sottolineando l’esitazione della Camera nel prendere decisioni efficaci davanti a questi fatti. Ovviamente Giolitti è accusato di essere complice, in quanto non attua provvedimenti per ristabilire la legalità. ‘L’Ordine Nuovo’, prendendo atto della decadenza dello stato borghese, analizza il fallimento della politica del Partito socialista durante l’occupazione delle fabbriche dei primi anni del dopoguerra. I socialisti, forti del sostegno delle masse – testimoniato anche dal successo elettorale del 1919 – e con la crisi economica in atto, non hanno  sostenuto la rivoluzione del proletariato, provocando lo smarrimento nella classe operaia e la reazione della borghesia. Il quotidiano torinese insiste molto sul rapporto mancata rivoluzione-contro rivoluzione borghese per spiegare le cause del fenomeno fascista, accusando la frazione massimalista del PSI, uscita vincitrice sin dal Congresso di Bologna dell’ottobre del ‘19, di portare avanti una politica social-democratica attraverso ‘un tatticismo inutile’. In una citazione in prima pagina È chiaro il punto di vista del giornale comunista: ‘Mentre i socialisti concentrano in Parlamento tutta l’azione loro, la borghesia conduce nel paese, con le intimidazioni, con gli incendi, con le distruzioni, la sua lotta contro il proletariato’.  Quotidianamente si constata, dalla seconda metà di febbraio, il dilagare della violenza fascista, soprattutto si dà ampio spazio e grande risonanza ai ripetuti assalti alle sedi dei giornali, come ad esempio in occasione della distruzione della sede de ‘Il Lavoratore’ di Trieste il 10 febbraio. Il confine orientale oltre alla Valle Padana è uno dei territori dove lo squadrismo fascista ha avuto i maggiori successi e Gramsci dà grande importanza agli avvenimenti in quei territori inviando corrispondenti sul campo. Il 27 febbraio viene ucciso a Firenze, ad opera di una gruppo di fascisti, il ferroviere Spartaco Lavagnini organizzatore sindacale e direttore dell’’Azione comunista’. Il primo marzo Gramsci prende atto dell’espandersi delle spedizioni fasciste anche in nuovi territori fino ad allora poco colpiti. Pur riaffermando che la classe operaia è consapevole del suo ruolo storico come ‘capo della rivoluzione’, constata i successi della reazione borghese. La gravità della situazione È dovuta al fatto che la ‘reazione, essendo stata scatenata simultaneamente su tutto il territorio nazionale, ha determinato automaticamente una simultaneità di sforzi rivoluzionari da parte delle masse aggredite’. Gramsci mette l’accento, in questo articolo, sul bisogno che la classe operaia sia guidata da un indirizzo politico unitario, rivoluzionario, libero dalle ambiguità prodotte da sterili tatticismi politici, sottintendendo un attacco al Partito socialista e alla CGL. Proprio a tal proposito aggiunge:

a questa simultaneità meccanica di azione non corrisponde e non può corrispondere una unità di indirizzo, per l’assenza di un centro politico che sia in grado di inquadrare le masse, di controllarle, di convogliare tutta la molteplicità degli sforzi verso un fine e una meta ben precisa e chiara. » in ciò tutta la tragedia del momento, È in ciò tutta la gravità della situazione.

La critica rivolta al sindacato, che a marzo ha tenuto il Congresso a Livorno in cui la mozione comunista è stata nettamente battuta da quella riformista, non è meno dura di quella rivolta ai socialisti. Secondo Gramsci il ‘funzionarismo’ sindacale ha portato la CGL a perdere l’obiettivo della lotta di classe, scrivendo: ‘il cui unico contatto tra loro e le masse È il registro dei conti e lo schedario dei soci’. Ovviamente la critica partiva anche dalla base ideale di Gramsci, che sosteneva che l’unica vera rappresentanza in grado di far valere le ragioni del proletariato erano i consigli di fabbrica, gli unici in grado ‘di corrodere i sedimenti burocratici e di trasformare i vecchi rapporti organizzativi’. Una classe operaia non difesa È esposta agli attacchi della borghesia e in periodo di guerra di classe il sindacato deve essere, a maggior ragione, il  principale garante del proletariato.
‘L’Ordine Nuovo’ insiste molto sul fallimento della politica riformista della CGL e pone l’accento sul fatto che proprio in quelle zone dell’Italia dove forte era il sostegno da parte della popolazione, come in molte zone dell’Emilia e della Romagna, maggiore era stato il successo fascista. In un articolo del 6 marzo si delineano i motivi della vittoria dello squadrismo agrario in Emilia ai danni delle istituzioni create dal socialismo riformista: 

Essi [il sindacato] si organizzavano per terrore e non per convinzione: è naturale che in simili condizioni essi dovessero considerare l’organizzazione e gli organizzatori come forme dittatoriali e brutalmente autoritarie. Ma contro esse non avevano forza per reagire e difendersi. Appena contro le organizzazioni si è scatenata la furia fascista, la massa, causa la sua eterogeneità  non corretta neppure da una saldezza degli organismi dirigenti si È sbandata, precipitando la situazione. […]  » bastato colpire pochi individui per portare lo sconquasso nei sindacati e, quel che è peggio, senza provocare una seria reazione nella massa, senza che da essa spontaneamente sorgessero forze e forme nuove connettive e dirigenti.  

Il Partito comunista a marzo lancia ufficialmente un appello per scuotere le masse  proletarie ‘ad accettare la lotta sullo stesso terreno su cui la borghesia scende’. Gramsci, pur continuando a riaffermare l’eccezionalità dei comunisti rispetto ai socialisti e alla CGL, si distingue per analisi più accurate del fenomeno fascista rispetto al suo partito. E’ interessante al tal proposito osservare il tentativo di aprire ‘un cuneo nel combattentismo di tipo fascista’, attraverso un dialogo con D’Annunzio e con i legionari,  avendo constatato gli evidenti dissensi di questi con Mussolini dopo il fallimento dell’impresa fiumana. Vista l’eccezionalità di questo possibile incontro tra Gramsci e D’Annunzio – che peraltro non avrà mai luogo – È di grande curiosità osservare quanto l’intellettuale sardo tentasse di approfondire l’analisi sociale del fascismo partendo proprio dalla distinzione con i legionari fiumani. In un articolo, riportando un evento di aperta contrapposizione tra fascisti e legionari a Torino, analizza quale differenza caratterizzasse i primi, ‘giovani benestanti, studenti fannulloni, professionisti, ex ufficiali’, dai secondi, che ‘sentono invece le ristrettezze della crisi economica’. Questa analisi È una testimonianza, oltre che di una possibile apertura a D’Annunzio, dell’attenzione che Gramsci dedica al fenomeno fascista e alla violenza  che le camicie nere applicano anche contro gli stessi legionari, pur di affermare la propria autorità.  Quello del controllo del territorio per arrivare al controllo politico È un tema che Gramsci svilupperà all’indomani delle elezioni del 1921.
In questi mesi però, sia il quotidiano torinese che Gramsci, pongono ancora l’accento sulle differenze che caratterizzano il PCd’I rispetto ai i socialisti e CGL: la compattezza del partito, la vicinanza alla classe operaia e la chiarezza dello obiettivo ultimo e dei metodi di lotta. Anche se a pochi mesi dalla scissione di Livorno la realtà era ben diversa dall’unità e dalla forza dei comunisti più volte rivendicata,  sono di grande interesse le analisi che compie ‘L’Ordine Nuovo’ sulle difficoltà dei socialisti e sulla realtà italiana, poichè offrono un contributo per comprendere la frammentarietà delle opposizioni al crescente fenomeno fascista.
In un articolo si esaminano ancora una volta le difficoltà dei socialisti di fronte al fascismo constatando che ‘codesti dirigenti che dinanzi al pericolo invocano la pace o la tregua, meritano di essere portati dinanzi al plotone d’esecuzione. […] Il primo nemico del proletariato, oggi, è la socialdemocrazia. E lo sarà viepiù domani’. La mancanza di una politica di classe che ponga il socialismo come obiettivo immediato, la richiesta del ripristino della legalità fatta ad un stato permissivo di fronte al fascismo sono tra le cause maggiori, secondo ‘L’Ordine Nuovo’ che producono uno smarrimento nelle masse proletarie e quindi una difesa efficace al fascismo.
A marzo le violenze continuano ad espandersi e sempre più condiscendente sembra essere lo Stato di fronte a questa escalation. Il bersaglio del quotidiano torinese in questo caso è Giolitti e a metà marzo è pubblicato un articolo di Gramsci che si domanda quali motivi spingano il Presidente del consiglio a non reprimere gli attacchi squadristi. Si denuncia quindi la mancanza di giustizia e, ancor più grave, la connivenza della stampa borghese con il fascismo, poichè si limita a denunciare il pericolo comunista in Italia, giustificando l’espandersi del fenomeno fascista.

Se i giornali borghesi avessero stampato contro gli incendiari e i saccheggiatori dell’Avanti di Milano e di Roma, del Lavoratore di Trieste, del Proletario di Pola, la decima parte delle filippiche che stampano contro gli operai che si difendono, oggi probabilmente l’Italia non sarebbe in preda alle attuali convulsioni. Giove fa impazzire coloro che vuol condurre alla perdizione.

L’ambiguità di Giolitti è anche nell’aver sciolto la Camera e nell’aver indetto nuove elezioni in un periodo di guerra civile e in un momento in cui sono evidenti le difficoltà all’interno del Partito socialista. La motivazione ufficiale è che la Camera del 1919 non rappresenta più la volontà del Paese. In altre parole Giolitti vorrebbe avere alla Camera una maggioranza solida attraverso la vittoria elettorale dei “blocchi nazionali” in cui però entreranno accanto ai liberali, i nazionalisti e soprattutto i fascisti. Secondo Gramsci  e i comunisti, il “parlamentarismo” dello stato liberale È un organo puramente consultivo senza potere di iniziativa e di controllo reale sulla macchina governativa. Le elezioni in questo sistema non sono altro che un modo per riconfermare la validità dello stato liberale in cui il Partito socialista o accetterà un programma di collaborazione con la maggioranza o ‘sarà stritolato dalla nuova consultazione popolare’. In questa analisi si evince il senso d’incertezza per le nuove elezioni e soprattutto si percepisce la possibilità di un arretramento dei socialisti a vantaggio della maggioranza. Il primo d’aprile il Comitato centrale del Partito comunista rende noto che avrebbe partecipato alle elezioni che, come scriverà Gramsci, queste sono una fase intermedia necessaria per l’affermazione della classe operaia come classe dirigente, un’occasione in cui il partito ‘vuole identificare le sue schiere, vuole contare i suoi effettivi’. Secondo Gramsci queste elezioni, segnate da un periodo di violenza e di terrore, cambieranno radicalmente il sistema politico che si vuole – nelle intenzioni della classe dirigente liberale – rafforzare. L’intellettuale sardo coglie l’importanza del momento ed esorta la classe operaia a non esitare, a non aver paura a ‘spezzare definitivamente il “disco dell’immaturità” storica del proletariato a gestire lo Stato e a guidare lo svolgersi degli avvenimenti umani’.

Così analizza:

In queste elezioni si verificherà per lo Stato ciò che durante la guerra si è verificato per la proprietà capitalistica. La violenza e il terrore sistematico hanno irrimediabilmente spezzato i delicati congegni attraverso i quali avveniva nel passato la scelta del personale politico-borghese.[…] Ogni villano che parteggia col randello e col pugnale diventa un dirigente politico, un capo, un Marcello, un competente a risolvere i problemi esistenziali della società agonizzante. I vecchi partiti che nel passato elaboravano pazientemente le ‘capacità’ e le mettevano in valore, sono spazzati via dall’ardore avido di successi immediati dei gruppi formatisi in conseguenza della guerra.

Lo squadrismo, che nel periodo di campagna elettorale è cresciuto sensibilmente, accentuerà la critica al fallimento della politica parlamentare dei socialisti.  Questi, compresa la frazione comunista del partito, sono accusati da Gramsci di non capire il fenomeno fascista e di ricondurlo alla semplice reazione alle conquiste socialiste degli anni precedenti, senza capire che in Italia non esiste uno Stato in grado, nonostante i proclami di Giolitti, di ristabilire l’ordine. Il Parlamento e il governo non funzionano perchè lo stato è in completa decomposizione, perchè ‘la magistratura, la gerarchia militare, la polizia, la burocrazia non ubbidiscono più al loro centro naturale, al governo politico, ma sono controllate arbitrariamente, caoticamente dai gruppi privati incapaci di organizzarsi come nuova classe dominante e di esprimere dal seno di questa organizzazione un governo proprio regolare’. Il fascismo oltre ad espandersi in uno stato che non ha la forza per ripristinare ‘lo spirito gerarchico’ È cresciuto perchè si è identificato con la psicologia violenta e antisociale di alcuni strati del popolo italiano. Quest’analisi amplifica l’analisi del fascismo come semplice fenomeno di classe e colloca lo squadrismo come qualcosa che ‘è divenuto uno scatenamento di forze elementari irrefrenabili nel sistema borghese di governo economico e politico’. Il fascismo È l’antipartito perchè, aprendo le porte a tutti i candidati, ha promesso ‘di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri’. Per Gramsci questo segna il fallimento di sessant’anni di amministrazione liberale, di un modello di governo che non è stato in grado di produrre un alto livello di civiltà. Inoltre È presente un’analisi sociale del popolo italiano per cui c’è una diretta connessione tra la violenza squadrista e la crudeltà peculiare negli italiani che sfocia ‘in fredda contemplazione del male altrui’. Il fascismo, essendo espressione di una violenza che non si limita a reprimere le conquiste della classe operaia e contadina, potrà essere estirpato solo attraverso una ‘restaurazione’, cioè compiendo una rivoluzione, il cui potere sia in mano al proletariato, l’unica classe capace di riorganizzare la produzione e quindi tutti i rapporti sociali che dipendono da questa.  Proprio partendo dalla costatazione del declino dello stato liberale, Gramsci evidenzia quanto la scelta dei  blocchi nazionali, una scelta fatta per la rinascita del liberalismo, sia al contrario il segno della sua fine poichè la classe borghese che aveva fatto della libertà e della responsabilità i fondamenti del liberalismo, ha abdicato, con questa pratica dell’accomodamento, a questi valori  aprendo la strada all’ ‘età della dittatura’. Responsabile della fine del liberalismo è Giovanni Giolitti perchè è per sua volontà che si costituiscono i blocchi al cui interno entrano i fascisti. I blocchi per Gramsci sono il segno più evidente che la classe liberale fonda il suo programma di governo sulla difesa della borghesia dall’offensiva del proletariato. Una dittatura della borghesia quindi in cui i blocchi sono la forma nella quale ‘la dignità della storia scende al livello della farsa e dell’oscenità’ e aggiunge:

ma nel simbolo dei blocchi le insegne fasciste ricordano che la dittatura borghese È pure una cosa seria e tragica; quando dalla scena elettorale si passa alle lotte combattute in campo aperto, esse ricordano agli operai che la borghesia non cede senza aver provato l’uso di ogni mezzo di difesa e di distruzione. Con tutto ciò il liberalismo non ha niente a che fare, come nulla ha a che fare il coraggio con la violenza dei fascisti operanti all’ombra dello Stato.

Le analisi degli ordinovisti sul fascismo sono sempre affiancate da uno studio della decadenza dello Stato. Quest’ultimo non ha nè la forza e nè la volontà di arrestare lo squadrismo, ma anzi lo protegge e gli dà un contenuto in apparenza politico. Questa in sintesi È l’analisi che Gramsci sviluppa su ‘L’Ordine Nuovo’ a pochi giorni dalle elezioni: un fascismo visto come dimostrazione della decadenza dello Stato.
Partendo da quest’analisi È quindi scontata la dura critica mossa ai socialisti che sarà un altro dei temi maggiormente affrontati dal giornale durante la campagna elettorale.
Il PSI viene accusato di essere ormai ‘servo della borghesia e del Re’, di essere sceso a patti con Mussolini per sopravvivere ai ripetuti attacchi che lo squadrismo sta scagliando contro di loro. Proprio analizzando la politica di Mussolini c’è un interessante articolo in cui è scritto:

a scoprire poi maggiormente il gioco interviene Mussolini per riconoscere che il socialismo, che s’era a poco a poco straordinariamente abbrutito e imbruttito, sta riassumendo un volto umano e possibilmente italiano; trovasi in una situazione crepuscolare di coscienza cui egli, il rinnegato, che di queste cose se ne intende, sembrano scorgere l’intenzione a libarsi della massacrante zavorra russa e a rientrare nella vecchia strada. Il rinnegato a tal prezzo offre la sua tregua, proponendosi di spostare il bersaglio per dare addosso ai comunisti e agli anarchici. I socialisti sempre per trovare un rimedio, non respingono queste offerte, queste carezze che tendono a farlo diventare più umano, più italiano[…]. Noi comunisti ci onoriamo degli attacchi di Mussolini, noi non accettiamo consigli da lui, ci gloriamo dei suoi disprezzi e dei suoi bersagli perchè non siamo abituati a rinnegarci, a tradire la classe lavoratrice che ha da superare questo doloroso scendere del suo calvario che, sempre più doloroso, lo rende la filosofia dei rimedi che va escogitando la socialdemocrazia.
L’entrata di 35 deputati fascisti e il mancato raggiungimento di quella solida maggioranza tanto auspicata da Giolitti, fanno intravedere a Gramsci la possibilità di un colpo di stato, viste le condizioni in si trova lo Stato italiano. L’intellettuale sardo, in un famoso articolo nel giugno del 1921, analizza la politica fascista e le circostanze che le hanno permesso crescere: impunità, complicità delle questure e delle forze dell’ordine e una grande armata di uomini organizzati secondo un sistema gerarchico di tipo militare, con un notevole quantitativo di armi. Gramsci non esclude la possibilità che le camice nere possano giungere in breve tempo al governo politico; si interroga ancora una volta di come il Partito socialista continui a non sostenere una politica rivoluzionaria di fronte al crescere del fascismo e alla decadenza inesorabile dello Stato.

Il colpo di stato dei fascisti cioè dello stato maggiore, dei latifondisti, dei banchieri, è lo spettro minaccioso che dall’inizio incombe su questa legislatura.[…] Quale è la parola d’ordine del Partito socialista? Come possono le masse ancora fidarsi di questo partito, che esaurisce la sua attività politica nel gemito e si propone solo di far tenere dai suoi deputati dei ‘bellissimi’ discorsi in Parlamento?

Per gran parte del mese di giugno si analizzano le difficoltà della legislatura appena inaugurata il 13 giugno. Proprio nel giorno inaugurale, deputati fascisti aggrediscono il deputato comunista Misiano. Gramsci coglie l’occasione per portare avanti l’ipotesi di colpo di stato, analizzando l’accaduto come un’azione delinquenziale ad opera di un gruppo parlamentare composto da criminali comuni che si riuniscono in tutta Italia sotto l’insegna del fascio, ed esorta a prendere atto che lo squadrismo È giunto ai supremi organi dello Stato.

La legislatura si è aperta, il fascismo È entrato nel campo dell’alta politica nazionale, e vi è entrato scendendo un altro gradino e facendolo scendere, con sè, a tutto l’organismo dello Stato liberale e parlamentare.

La possibilità di un colpo di stato in Italia è il tema a cui Gramsci dedica molto spazio nei suoi articoli. In due riflessioni in particolare si sviluppa il precedente discorso sulla decadenza dello stato liberale ed È evidente la preoccupazione, ma anche la lungimiranza, dell’intellettuale sardo. L’analisi gramsciana si sviluppa dalla domanda se l’Italia sia ancora realmente un regime costituzionale. Essendo venute meno le garanzie costituzionali, prima fra tutte che la legge sia uguale per tutti, Gramsci prende atto che ci sono tutte le premesse per un cambio di regime in senso autoritario. Crede che tutti i proclami di pacificazione, come il discorso del neoeletto Presidente della Camera De Nicola, siano vuoti di sostanza, privi di un riscontro reale nel territorio perchè, al di fuori del Parlamento, le violenze compiute dai fascisti dilagano e restano impunite. Tanto che in agosto analizzerà il patto di pacificazione tra socialisti e fascisti proprio partendo da questa base. Gramsci porta avanti la sua analisi sulla svolta autoritaria in atto nel Paese proprio partendo dalla situazione dell’Italia centro-settentrionale in cui l’attività sindacale È duramente repressa e molti omicidi di operai e contadini sono rimasti impuniti: ‘Cosa significa, cosa rappresenta la situazione di intere provincie e di intere regioni in cui È il fascismo che governa e non più l’autorità ufficiale?’
Uno Stato che non dà garanzie e che non esercita i suoi poteri sul territorio, un sindacato che vive nell’indifferenza questo momento così delicato per la classe operaia sono le premesse  per cui la classe borghese ‘vorrà ad un certo punto amalgamare anche ufficialmente questi due apparecchi e che spezzerà le resistenze opposte dalla tradizione del funzionamento statale con un colpo di forza diretto contro gli organismi centrali di governo’.  Se da un lato analizza la possibilità di un colpo di stato, dall’altro continua a criticare il lassismo dei sindacati ad assumersi le responsabilità di garante della classe operaia. Nel giugno del 1921, la situazione in Italia è davvero poco rassicurante. Il fallimento della politica di Giolitti di avere una maggioranza solida ha prodotto la caduta del suo governo e la nomina di Bonomi –definito da Gramsci ‘il vero organizzatore del fascismo italiano’- come nuovo Presidente del Consiglio il 4 luglio. I fascisti sono entrati in Parlamento e neanche il tentativo di trovare una soluzione alla guerra civile in Italia con il patto di pacificazione, le cui trattative si protrarranno per tutto il mese di luglio avranno gli esiti sperati. Gramsci, analizzando la situazione italiana come una guerra di classe, arriverà però a constatare che il fascismo non si sarebbe limitato a combattere il suo nemico storico, il socialismo, ma avrebbe distrutto le istituzioni dello stato liberale, connivente con il fascismo proprio per il potere e l’autorità che la classe dirigente gli avrebbe permesso di assumere. Scrive Gramsci poco tempo dopo l’entrata dei fascisti a Montecitorio e con le camicie nere che conquistavano sempre maggiori territori nell’Italia centro-settentrionale:

questo è l’ambiente del colpo di stato, non è ancora il colpo di stato nella sua piena efficienza. Esiste ancora il Parlamento, il governo è ancora scelto e controllato dal Parlamento; nessuna legge eccezionale ha ancora abolito formalmente le garanzie statuarie. Ma È possibile immaginare che l’attuale condizione di cose possa durare ancora per molto tempo?
Bibliografia e fonti:

P. Spriano, Storia del Partito comunista italiano, Vol. I, Einaudi, Torino 1976.

G. Sabbatucci (a cura di), Storia del socialismo italiano, Vol. III, Il Poligono editore, Roma 1980.

‘L’Ordine Nuovo’, Torino, Gennaio-Luglio 1921.

Schede e storico autori