Amplificatrice o livellatrice? Gli effetti della pandemia sulla distribuzione dei redditi in Italia

Giovanni Gallo e Michele Raitano presentano i principali risultati di una loro simulazione degli effetti del COVID-19 sulla distribuzione dei redditi da lavoro e familiari in Italia. Gli autori rilevano che la pandemia ha ampliato considerevolmente le disuguaglianze dei redditi di mercato, ma le misure emergenziali adottate dal governo hanno attenuato sensibilmente la caduta dei redditi e ridotto lievemente la disuguaglianza. Ridurre precocemente la generosità di queste misure potrebbe comportare, dunque, un grave peggioramento della disuguaglianza.

Da quando è esplosa l’emergenza COVID-19 la letteratura economica ha iniziato a indagare da molteplici prospettive gli effetti della pandemia sul funzionamento dei sistemi economici. Mentre alcune conseguenze – ad esempio, la caduta del PIL o le opportunità differenziate create dallo smart working – appaiono abbastanza chiare, ancora poco si sa, al momento, sugli effetti della pandemia sulla distribuzione dei redditi. A causa della complessità della loro rilevazione, i microdati necessari per osservare in modo esaustivo le dinamiche della distribuzione dei redditi in una popolazione vengono infatti generalmente forniti con un ritardo di circa 2 anni, mentre dati più tempestivi – raccolti ad esempio mediante indagini ad hoc condotte via web o facendo uso di big data raccolti per altri scopi – hanno solitamente il difetto di non essere rappresentativi dell’intera popolazione e, soprattutto, di non consentire di cogliere tutti i molteplici meccanismi alla base delle disuguaglianze.

Come già ricordato da Franzini sul Menabò, la stessa letteratura economica non fornisce un chiaro indirizzo. Da un lato, gli storici (Scheidel, La grande livellatrice, Il Mulino, 2019) sottolineano come nei secoli scorsi le pandemie – distruggendo alcune grandi fortune e rafforzando il potere contrattuale dei lavoratori, il cui numero era, loro malgrado, divenuto più limitato – abbiano ridotto le disuguaglianze; dall’altro, recenti analisi notano come le ondate pandemiche degli ultimi decenni abbiano indotto un peggioramento della distribuzione dei redditi.

Per far fronte alla mancanza di dati adeguati, in un recente lavoro abbiamo studiato gli effetti del COVID-19 sulla distribuzione dei redditi di lavoratori e famiglie in Italia nel corso del 2020 facendo uso di un modello di microsimulazione statico. Tale classe di modelli ricostruisce, sulla base di determinati scenari e assunzioni sull’andamento di alcune grandezze aggregate, l’evoluzione della distribuzione dei redditi in una determinata popolazione. Come sottolineato dalla letteratura economica, essendo fondati sull’ipotesi di invarianza dei comportamenti individuali nei vari scenari, i modelli di microsimulazione statici sono molto adatti per valutare l’impatto di breve periodo di alcuni shock o modifiche di policy.

Nello specifico, siamo partiti dalla distribuzione osservata nell’indagine IT-SILC dell’ISTAT del 2017 (che rileva i redditi del 2016) – opportunamente aggiornata per tenere conto dell’inflazione e delle modifiche normative del sistema di tax & benefit introdotte fino al 2019 (in primis il Reddito di Cittadinanza) – che rappresenta il nostro “No-Covid scenario” e costituisce la base per i diversi scenari di simulazione. Sulla base di alcune ipotesi coerenti con i dati finora disponibili sugli effetti della pandemia (in primis sulla distribuzione della Cassa Integrazione Guadagni nei vari settori produttivi e sulla caduta dei redditi dei lavoratori autonomi), ed introducendo nel modello le principali modifiche normative stabilite dai vari decreti che si sono succeduti da marzo ad oggi, abbiamo quindi simulato la distribuzione dei redditi che si sarebbe realizzata in Italia in seguito ai mutati equilibri del mercato del lavoro e alla crescita dei trasferimenti pubblici.

Altri lavori (Fiorio e Figari, Brunori, Maitino, Ravagli e Sciclone, MEF) hanno studiato con un modello di microsimulazione l’evoluzione della distribuzione dei redditi in Italia dopo la pandemia, ma limitatamente al “brevissimo periodo” dei mesi del lockdown della scorsa primavera. Le nostre simulazioni riguardano l’intero 2020 e ipotizzano diversi scenari sulla durata della pandemia e del periodo di erogazione dei trasferimenti emergenziali. Qui presentiamo unicamente i risultati nello scenario meno favorevole, il più simile a quello che, purtroppo, si è verificato: seconda ondata a partire da settembre, nuovo lockdown generalizzato a novembre e dicembre con modalità simili a quelle di marzo-maggio (ipotesi più pessimistica di quanto effettivamente verificatosi) e prolungamento di alcune misure emergenziali fino alla fine dell’anno.

Valuteremo gli effetti della pandemia sia sui redditi da lavoro degli individui (considerando come unità di analisi i soli individui attivi a febbraio 2020), sia sui redditi disponibili di tutte le famiglie residenti in Italia (considerando, dunque, come unità di analisi gli “individui equivalenti”).

Per meglio evidenziare gli effetti delle misure di welfare, per entrambe le unità di analisi confrontiamo i redditi pre e post trasferimenti emergenziali nei quali includiamo sia le misure introdotte ex novo o rafforzate per far fronte alla crisi (il blocco dei licenziamenti, la CIG in deroga, l’estensione della durata dei sussidi di disoccupazione, il bonus in somma fissa per autonomi e parasubordinati – di seguito Bonus-600, il reddito d’emergenza – REM), sia l’incremento degli importi erogati con misure preesistenti (sussidi di disoccupazione e reddito di cittadinanza – RdC) che hanno raggiunto un numero più elevato di beneficiari a causa della crisi. Nello specifico, rispetto ai lavoratori ci si riferisce ai redditi al lordo di imposte e contributi e si considera l’impatto delle misure contro i rischi occupazionali (CIG, sussidi di disoccupazione, Bonus-600 e blocco dei licenziamenti); rispetto all’intera popolazione residente si guarda invece ai redditi equivalenti al netto di imposte e contributi, includendo anche RdC e REM.

Diversamente dai lavori prima richiamati, la nostra base dati, costruita integrando i dati campionari di fonte IT-SILC con le informazioni amministrative di fonte INPS, consente di identificare il settore di attività dei lavoratori in base al codice ATECO a 6 cifre dell’impresa e, quindi di distinguere chi, prima della pandemia, era occupato in attività essenziali da chi non lo era (si ricordi che le attività dei settori non essenziali sono state chiuse nei mesi di lockdown, salvo deroghe o lavoro da remoto).

Prima della pandemia il 45,7% dei lavoratori (49,4% e 31,4%, rispettivamente, fra dipendenti e autonomi) era occupato in attività essenziali. Questa percentuale si distribuisce, però, in modo fortemente diseguale a seconda del livello del reddito da lavoro, soprattutto fra i dipendenti; la quota di lavoratori “essenziali” cresce, infatti, quasi linearmente con la retribuzione individuale (Figura 1).

Fig. 1: Quota di occupati in attività essenziali, per decile della distribuzione dei redditi da lavoro lordi pre-Covid

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

Con riferimento ai lavoratori, la simulazione mostra una caduta media delle retribuzioni lorde del 21,5% rispetto al mondo pre-Covid (-18,1% e 35,2% fra dipendenti e autonomi, rispettivamente Tabella 1). I trasferimenti e il blocco dei licenziamenti contribuiscono però ad attenuare considerevolmente le cadute del reddito medio, soprattutto per i dipendenti. Una volta considerati tali trasferimenti, la caduta media del reddito individuale si riduce all’11,8% (-8,8% e 24,1% fra dipendenti e autonomi, rispettivamente; Tabella 1).

L’effetto compensativo delle misure emergenziali è evidente se si calcola il rapporto fra variazione dell’importo di tali trasferimenti e perdita del reddito da lavoro, che in media è pari al 44,3% (50,5% e 31,1% fra dipendenti e autonomi, rispettivamente; Tabella 1). Tali misure risultano anche progressive; infatti, il rapporto – sempre positivo – decresce sensibilmente lungo la distribuzione (Figura 2). L’effetto perequativo dei trasferimenti emergenziali è legato sia alla formula di calcolo della CIG che prevede massimali mensili abbastanza limitati (circa 1.000 e 1.200 euro per chi ha una retribuzione inferiore o superiore a 2.160 euro), sia all’introduzione di un trasferimento slegato dal reddito dei beneficiari (il bonus per autonomi e parasubordinati) cosicché per molti autonomi collocati nei primi due decili della distribuzione la compensazione addirittura eccede la caduta del reddito da lavoro. Ulteriori analisi segnalano che il 36,1% dei lavoratori ha comunque subito nel 2020 una perdita superiore al 10% del reddito da lavoro pre-crisi; senza le misure emergenziali essa sarebbe stata del 48,7%.

Tab. 1: Caduta media del reddito individuale lordo e rapporto fra trasferimenti e caduta del reddito da lavoro

  Rapporto fra variazione dei trasferimenti e perdita del reddito da lavoro Riduzione

del reddito da lavoro

Riduzione

del reddito totale

Dipendenti 50.5% -18.1% -8.8%
Autonomi 31.1% -35.2% -24.1%
Totale lavoratori 44.3% -21.5% -11.8%

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

Fig. 2: Rapporto fra trasferimenti e caduta del reddito da lavoro, per decile della distribuzione dei redditi da lavoro pre-Covid

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

Abbiamo quindi calcolato come sono variate la “working poverty” – definendo come working poor chi guadagna meno del 60% della retribuzione lorda mediana pre-Covid – e la disuguaglianza dei redditi annui (Tabella 2). Senza trasferimenti emergenziali, la quota di working poor sarebbe cresciuta dal 26,1 al 42,5% mentre, grazie ad essi l’aumento è di soli 1,7 punti percentuali (p.p). La disuguaglianza retributiva, grazie alla progressività dei trasferimenti emergenziali, addirittura si riduce di 1,7 p.p., mentre sarebbe cresciuta di ben 5,6 p.p. in loro assenza.

Tab. 2: Incidenza del rischio di working poverty e diseguaglianza dei redditi individuali

Quota di “working poor” Gini delle retribuzioni annue
Reddito da lavoro Reddito totale Reddito da lavoro Reddito totale
Pre-Covid 26.1% 24.8% 0.399 0.388
Post-Covid 42.5% 27.8% 0.444 0.371

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

Spostando l’ottica dai lavoratori alla famiglia si può tenere conto anche dei nuclei non direttamente esposti agli effetti della crisi sul mercato del lavoro (in primis, i pensionati) e, soprattutto, si può valutare se l’aggregazione degli individui in famiglie (i cui membri possono essere stati diversamente esposti allo shock occupazionale) abbia amplificato o attenuato i loro rischi reddituali.

Il reddito equivalente disponibile medio si riduce del 6,1% (-19,3% prima dei trasferimenti emergenziali; Tabella 3), meno, quindi, dei redditi da lavoro. In media i trasferimenti ricevuti dalle famiglie hanno compensato il 42% della caduta dei redditi di mercato (Tabella 4) e, come per i lavoratori, il rapporto fra trasferimenti e perdite è nettamente più vantaggioso nei decili più bassi della distribuzione dei redditi equivalenti. Da altre analisi si rileva inoltre che per il 23,6% degli individui (il 40,7% senza i trasferimenti emergenziali) la caduta del reddito disponibile rispetto al mondo pre-Covid ha superato il 10%.

Tab. 3: Caduta media del reddito equivalente e rapporto fra trasferimenti e caduta del reddito

  Rapporto fra variazione dei trasferimenti e perdita del reddito netto di mercato Riduzione

del reddito disponibile pre trasferimenti emergenziali

Riduzione

del reddito disponibile post trasferimenti emergenziali

Totale 42.0% -19.8% -6.1%

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

L’incidenza della povertà – la cui soglia è fissata al 60% del reddito equivalente mediano nel mondo pre-Covid – cresce di 2 p.p. a causa della pandemia, ma sarebbe aumentata di ben 8,8 p.p. in assenza di trasferimenti emergenziali (Tabella 4). Va sottolineato che la scelta di tenere fissa la soglia di povertà al livello pre-Covid, sia nell’analisi individuale che in quella familiare, consente di valutare l’effetto di cadute assolute del reddito – cosa che sarebbe impossibile, se la soglia seguisse il reddito mediano.

Come per i lavoratori, la combinazione di rischi occupazionali molto diffusi e trasferimenti di importo progressivo – malgrado la diminuzione dei redditi per una quota cospicua di famiglie, anche fra le meno abbienti – ha contribuito a ridurre la disuguaglianza dei redditi (Tabella 4). L’indice di Gini dei redditi disponibili equivalenti scende infatti di 1,1 p.p. rispetto al mondo pre-Covid (sarebbe cresciuto di 1,7 p.p. senza i trasferimenti emergenziali).

Tab. 4: Incidenza del rischio di povertà e disuguaglianza dei redditi equivalenti disponibili

  Tasso di povertà Gini dei redditi disponibili
No-Covid 21.1% 0.328
Post-Covid senza trasferimenti 29.9% 0.345
Post-Covid con trasferimenti 23.1% 0.317

Fonte: Elaborazioni su dati AD-SILC 2017

I risultati qui mostrati possono indurre all’ottimismo chi riteneva che il COVID-19 avrebbe finito per acuire le già elevate e crescenti disuguaglianze che caratterizzano il mercato del lavoro italiano e la nostra società. Tuttavia, a uno sguardo più attento, quell’ottimismo appare poco giustificato.

In primo luogo, questa moderata riduzione della disuguaglianza si accompagna a un calo dei redditi per una quota rilevante di popolazione anche non particolarmente abbiente. In secondo luogo, il mancato peggioramento della distribuzione è dovuto unicamente al generoso piano di trasferimenti emergenziali messo in atto dal governo da marzo ad oggi. I nostri dati possono quindi essere letti in chiave pessimista per mostrare quanto gravemente crescerebbero povertà e disuguaglianza se, anche per ragioni di bilancio pubblico, le misure emergenziali venissero interrotte o attenuate prima di un pieno recupero dell’economia. Infine, non si può trascurare il fatto che la riorganizzazione strutturale delle attività produttive che seguirà la fine della pandemia genererà molti vincenti e perdenti e, in ottica distributiva, questo gioco rischia di essere, in tutta probabilità, a somma negativa.

Con riferimento sia all’immediato, sia al più lungo periodo le nostre simulazioni segnalano, dunque, la necessità di un piano coerente e continuo di misure predistributive e redistributive che contrastino quei meccanismi di accrescimento della disuguaglianza di mercato che preesistevano al COVID-19 e che si sono rafforzati o moltiplicati con la pandemia.

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