Altezza e tendenze della disuguaglianza dei redditi in Cina

Yang Liu presenta alcune evidenze sull’evoluzione della disuguaglianza dei redditi in Cina, ricordando, in particolare, che essa è cresciuta in misura considerevole negli ultimi decenni (il coefficiente di Gini da un valore pari a 0.3 prima della riforma economica del 1978 è ormai prossimo allo 0,5). Liu sottolinea le ampie differenze a livello territoriale tra regioni orientali e occidentali nonché tra zone urbane e rurali e richiama alcuni provvedimenti del governo che hanno influenzato queste tendenze.

Dal 1978 la Banca Mondiale pubblica il valore del coefficiente di Gini – il più usato indice di disuguaglianza – in Cina. Nel 1981 tale coefficiente era pari 0,29, nel 2002 aveva superato la soglia di 0,40 e negli anni più recenti è aumentato ulteriormente fino allo 0,491 del 2016. Sebbene il valore della disuguaglianza differisca a seconda della fonte utilizzata la Figura 1 evidenzia come tutte le serie di dati a disposizione , calcolate da diverse istituzioni e con diverse metodologie, concordino sull’andamento.

Al di là del livello di disuguaglianza complessiva, in questo articolo ci si focalizza sulle disuguaglianze territoriali interne alla Cina. I dati del China Household Income Project (CHIP) del 2013 distinguono la distribuzione della popolazione residenti in tre macro-aree lungo la distribuzione dei redditi. La Figura 2 mostra chiaramente la sperequazione dei redditi in queste aree. La regione orientale è la più ricca, quella occidentale la più povera. Nel primo decile del reddito (che include il 10% più povero della popolazione cinese), si trova il 19% della popolazione orientale, il 41% di quella centrale e il 40% di quella occidentale. Nell’ultimo decile (che include il 10% più ricco della popolazione cinese), si trova il 59% della popolazione orientale, il 25% di quella centrale e il 16% di quella occidentale.

Guardando alle differenze fra “campagna e città”, si nota come il rapporto tra redditi medi urbani e rurali sia diminuito da 2,57 nel 1978 a 1,84 nel 1984, successivamente è cresciuto a 2,86 nel 1994, nuovamente diminuito a 2,47 nel 1997, aumentato fino al massimo di 3,33 nel 2009 e, negli anni più recenti, in particolare a partire dal 2012 si è ridotto (Figura 3).

Al di là delle oscillazioni, il trend del divario è dunque crescente. In particolare, è molto alto il gap tra i più ricchi delle aree urbane e i più poveri delle aree rurali. Dati dati sulla distribuzione dei redditi familiari di tali aree, si evince che il rapporto tra l’ultimo decile urbano e il primo quintile rurale (per le aree urbane non si hanno a disposizione i decili) è addirittura superiore a 20.

Ma da cosa dipende la crescita della disuguaglianza di reddito in Cina?

Prima della riforma del 1978, la Cina aveva adottato un modello di economia pianificata, ispirata a criteri di egualitarismo Fabbriche, negozi e abitazioni residenziali erano di proprietà statale o collettiva. Nell’economia urbana, i salari dei lavoratori erano pianificati centralmente e di uguale importo.

Nelle aree rurali, la terra e tutti i mezzi di produzione erano di proprietà delle comunità popolari e dei gruppi di produzione. Lo stato monopolizzava l’acquisto e la vendita di grano, cotone e degli altri principali prodotti agricoli. Tra i membri dei gruppi di produzione o dei comuni, vigeva un sistema per cui la distribuzione del reddito era uniforme.

Dalla riforma del 1978, la Cina ha portato avanti una serie di riforme per la transizione dall’economia pianificata all’economia di mercato. È stato affermato che per promuovere la produzione è necessario “calcolare le retribuzioni in base alla quantità e alla qualità del lavoro svolto ed evitare l’eguaglianza”. L’egualitarismo è così è venuto meno.

Dal punto di vista istituzionale, le differenze fra aree urbane e rurali furono stabilite sin dal 1958 dal sistema Hukou che divise la Cina, appunto, in aree rurali e urbane. Questo sistema permette al governo di regolare la migrazione interna e limita rigidamente la migrazione dalle aree rurali a quelle urbane, con l’effetto di dividere il paese in due segmenti diversi e semi-isolati. A partire dal 1984 è stato consentito, a certe condizioni, a una piccola quota dei residenti nelle aree rurali di migrare nelle città. Di ciò ha risentito lo sviluppo economico cinese nell’ultimo mezzo secolo per la sua influenza politica sul movimento di capitali, beni e risorse umane, che si è manifestata anche favorendo pesantemente i centri urbani con investimenti e sussidi. Per perseguire l’industrializzazione, il governo ha investito ingenti fondi nelle industrie urbane e ha considerato le aree rurali essenzialmente come fornitrici di grano. Per poter accumulare più fondi per l’industrializzazione, le autorità hanno deliberatamente ridotto il prezzo del grano e di altri prodotti agricoli, aggravando così il divario tra reddito urbano e rurale.

Un’ulteriore forma di differenziazione territoriale si è affermata negli ultimi anni, con la decisione del governo centrale di aprire la Cina al resto del mondo e con la designazione di Shenzhen, Zhuhai, Shantou e Xiamen come le quattro città Special Economic Zones (SEZ). Per le SEZ sono previste speciali politiche economiche, più flessibili e più orientate al libero mercato che risultano più attraenti per le imprese straniere e nazionali. In particolare, nelle SEZ, il commercio e gli investimenti esteri e interni sono condotti senza l’autorizzazione del governo centrale e vengono offerti incentivi fiscali e commerciali per attirare investimenti e tecnologie straniere. La conseguenza è che si è venuta a creare disuguaglianza non soltanto tra aree urbane e rurali ma anche tra regioni della costa e dell’entroterra. D’altro canto, nel corso del tempo questa politica di apertura è stata estesa a tutte le regioni costiere.

Durante i primi anni della riforma, anche se fu attuata una strategia disomogenea di sviluppo regionale, le riforme economiche e la crescita influenzarono la vita della maggior parte delle persone. Anche se i guadagni variavano da persona a persona e le disparità di reddito si sono ampliate nelle aree rurali-urbane e tra le regioni, il livello di disuguaglianza era accettabile per la maggior parte delle persone.

La disuguaglianza, nell’intero paese e tra le sue aree, è stata oggetto di attenzione da parte del governo già molti anni fa.

Nel 1992 il governo ha stabilito che “per raggiungere gradualmente la prosperità comune, si dovrebbe ……tollerare la disuguaglianza nei redditi ma prevenire la loro polarizzazione”.

Nel 2002, il XVI Congresso Nazionale del Partito Comunista Cinese ha proposto che “mirando alla prosperità comune, si dovrebbe espandere la percentuale di percettori di reddito medio, aumentare il livello di reddito dei percettori di reddito basso, regolare il reddito eccessivo dei percettori di reddito elevato e vietare il guadagno illegale. Inoltre, si dovrebbe prestare più attenzione alla distribuzione del reddito nelle industrie monopolistiche.” Al di là di queste dichiarazioni il governo ha adottato misure che probabilmente hanno impedito al divario di reddito di ampliarsi ulteriormente. In queste misure rientrano l’abolizione della tassa agricola, il sostegno all’agricoltura industriale, , l’istituzione di minimi salariali e previdenziali.

L’efficacia di queste misure è incerta e anche per questo non è facile dire se la disuguaglianza in Cina nei prossimi anni potrà ridursi, permettendo al declino del coefficiente di Gini manifestatosi di recente di proseguire la sua marcia, oppure  le già altissime disuguaglianze – sia nel complesso del paese, sia tra le sue aree – cresceranno ancora.

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