All’ombra della piramide: quando la multa (europea) conviene

Civil servant analizza la complessa procedura prevista in caso di mancato rispetto delle regole europee sui disavanzi di bilancio, mettendo in risalto, da un lato, l’estrema complessità di tala procedura e, dall’altro, la lievità delle sanzioni alla fine previste. Civil servant riflette sui problemi che sorgono a rispettare le regole quando la loro violazione comporta sanzioni deboli e confuse, come in questo caso, e, per di più, le regole appaiono a molti ingiuste e controproducenti.

Posteggiare deliberatamente in divieto di sosta è un comportamento incivile ma del tutto razionale se il valore atteso della sanzione è inferiore al costo di lasciare l’auto in un parcheggio autorizzato, probabilmente dopo infiniti giri a vuoto. Quando si tratta del rispetto delle regole europee su deficit e debito sono davvero pochi a fare ragionamenti così opportunistici, anche perché sono poco chiare sia le regole che le sanzioni. Ma il rischio che le sanzioni rendano conveniente violare le regole esiste, eccome.

Regole complesse e poco conosciute. Cerchiamo di fare un po’ di ordine. Il Trattato di Maastricht prevedeva un doppio limite per le politiche fiscali nazionali: ossia un deficit di bilancio inferiore al 3% del Pil e un rapporto tra debito pubblico e Pil in progressiva riduzione verso la soglia del 60%. Tuttavia il Trattato non precisava il ritmo di convergenza verso questo limite e, soprattutto, non prevedeva nessuna sanzione per gli stati inadempienti. Nel 2005 il Patto di Stabilità e Crescita ha precisato che il divario rispetto alla soglia del 60% debba ridursi almeno di un ventesimo l’anno. Allo stesso tempo, il limite del 3% è stato di fatto sostituito da un vincolo sul cosiddetto “saldo strutturale”, che tiene conto della fase ciclica e degli oneri legati all’invecchiamento della popolazione ed esclude l’effetto di eventuali misure una tantum, in base a formule a dir poco oscure e discutibili: le hanno criticate recentemente anche Artoni su questo sito (https://eticaeconomia.it/larbitrio-regole-def-prodotto-potenziale/) e Boitani e Landi su quello de Lavoce (http://www.lavoce.info/archives/29534/europa-intrappolata-nel-labirinto-delle-regole/). Il nuovo limite varia a seconda dei paesi e, in linea di principio, risulta più flessibile di quello precedente. Nel frattempo, il Six Pack (che incidentalmente è anche il nome che i palestrati anglofoni danno alla loro “tartaruga”) ha introdotto un vincolo alla crescita della spesa pubblica tout court per i paesi con un debito più elevato del 60% del Pil, con l’intento di “facilitare” il raggiungimento degli obiettivi di bilancio. Nel caso italiano, la riduzione dovrebbe ammontare a circa l’1% l’anno.

Trascuriamo, per il momento, il fatto che questi vincoli e questi numeri magici siano più o meno insensati: sarebbe come chiedersi perché un comune abbia deciso di vietare la sosta su un lato di una strada piuttosto che sull’altro. Il punto cruciale è che, a differenza del passato, il Six Pack e il Two Pack hanno introdotto una serie di sanzioni per gli stati che non rispettano questi criteri, prevedendo una maggiore severità per i paesi che aderiscono all’Unione Monetaria.

La procedura per disavanzo eccessivo. Sul sito della Commissione Europea c’è un grafico che cerca di sintetizzare il complicatissimo processo che parte dall’accertamento degli sforamenti e si conclude con l’irrogazione delle sanzioni. Il grafico rappresenta una piramide e ha l’aspetto inquietante di certi simboli esoterici. Tutto il meccanismo si basa su un bizantino rimpallo di responsabilità tra la Commissione, che è un organo tecnico espressione dei governi europei, e il Consiglio, che invece è un organismo rappresentativo. E’ come se ogni multa per divieto di sosta fosse preventivamente negoziata tra un vigile e l’intero consiglio comunale. La storia comincia con un rapporto della Commissione che, dopo aver analizzato il bilancio previsionale degli stati, formula una opinione e poi una proposta al Consiglio che, a sua volta, decide se aprire una “procedura per deficit eccessivo”. A quel punto la Commissione raccomanda al Consiglio delle raccomandazioni (sic!) per gli inadempienti. Il Consiglio vota di nuovo e stabilisce anche delle scadenze (3 o 6 mesi) per adeguarsi. Gli stati non possono fare altro che invocare delle attenuanti per “eventi eccezionali”, come disastri naturali o una prolungata recessione, che hanno impedito “temporaneamente” il raggiungimento degli obiettivi di bilancio, oppure prendere “misure adeguate” per correggere gli squilibri.

Per i paesi che beneficiano del fondo di coesione (che sono quelli più poveri e non includono l’Italia) è previsto il blocco del finanziamento dei nuovi progetti (ma non di quelli già avviati o di interesse transnazionale). Nei casi più gravi, e per i soli membri dell’Unione Monetaria, è previsto anche un deposito cauzionale pari allo 0,2% del Pil presso la BCE (che frutta interessi al trasgressore) ed una relazione trimestrale o semestrale sui progressi raggiunti. Anche il deposito cauzionale è raccomandato dalla Commissione e votato dai membri del Consiglio che fanno parte dell’Unione Monetaria. La risoluzione non passa solo se c’è una maggioranza qualificata contraria. Se la Commissione ritiene che uno stato non abbia intrapreso azioni adeguate a correggere gli squilibri, allora raccomanda al Consiglio di decidere una sanzione (questa volta a maggioranza semplice) pari allo 0,2% del Pil. Nel caso dei membri della zona euro, questo significa che il deposito cauzionale (al netto degli interessi) viene sequestrato. Per gli stati che non adottano la moneta unica, la cosa finisce qui, mentre per quelli dell’area euro, dopo il solito rimpallo tra Commissione e Consiglio, le sanzioni possono essere aumentate fino allo 0,5% del Pil. Alla fine, la montagna (o meglio la piramide) partorisce un topolino che, anche nel peggiore dei casi, è rappresentato da una sanzione pari a mezzo punto percentuale di Pil, da pagare a distanza di un paio di anni dallo sforamento.

Le “sanzioni” del mercato e la disubbidienza civile. Ovviamente, questa modesta sanzione si aggiunge a quelle già comminate, senza ritardi e mediazioni politiche, dal mercato, che quasi certamente assorbirà i titoli emessi dagli stati inadempienti a condizioni molto peggiori degli altri. Per esempio, a novembre del 2011, quando l’Italia sembrava sull’orlo del default, lo spread rispetto ai titoli tedeschi sfiorò per qualche mese i 600 punti base. Con un rapporto tra debito e Pil dell’ordine del 150% ed una vita media dei titoli pubblici di quasi 7 anni, se un simile rincaro dei tassi di interesse non fosse rientrato avrebbe comportato una “sanzione” del mercato pari circa all’1,3% del Pil solo il primo anno. E se la credibilità del nostro paese non fosse migliorata, questa percentuale sarebbe salita di altri 1,3 punti per tutti i successivi 6 anni. Tuttavia, nel caso della Grecia, dove lo spread ha toccato un record di 45.000 punti base ed i titoli pubblici hanno una scadenza media di circa 5 anni, la sanzione iniziale ha sfiorato il 14% del Pil.

Possiamo aggiungere che un paese che viola sistematicamente un impegno sottoscritto in un trattato internazionale non verrà certamente considerato particolarmente affidabile dagli investitori e dai partner commerciali, che imporranno condizioni più gravose per coprirsi dai rischi di inadempienze contrattuali. Tenuto conto di tutti questi fattori, alla fine, il costo complessivo di uno sforamento potrebbe anche superare il 2% del Pil il primo anno e crescere progressivamente negli anni successivi. Tuttavia, anche una “sanzione” così pesante può risultare inferiore alle correzioni di bilancio richieste per raggiungere gli obiettivi di bilancio fissati dalle regole comunitarie. Per esempio, ridurre un debito pari al 150% del Pil al ritmo richiesto dalle regole europee, comporterebbe tagli della spesa pubblica o aggravi di tasse dell’ordine del 4,5% del Pil per parecchi anni.

Ammettiamo dunque che un paese a caso, adottando un comportamento indubbiamente opportunistico e sleale, decida deliberatamente di non rispettare le regole di bilancio europee. Se all’inizio il costo totale della trasgressione è davvero dell’ordine del 2% del Pil, questo paese potrebbe trovare conveniente adottare misure di stimolo fiscale che, rilanciando l’economia, contribuirebbero ad abbattere il rapporto debito Pil e risulterebbero comunque meno onerose dei tagli di bilancio richiesti dalla Commissione. Oltre tutto, di fronte alla prospettiva di una riduzione dell’indebitamento relativo e di una crescita più sostenuta, è probabile che gli operatori più lungimiranti trovino conveniente investire su un paese con un’economia più dinamica, piuttosto che su uno schiacciato da insostenibili misure di austerità fiscale. Segnali di questo tipo già vengono da parecchi analisti internazionali e perfino da qualche agenzia di rating, che sembrano ormai più preoccupati dal rischio di una deflazione che da quello di un peggioramento dei conti pubblici europei.

Ma non basta, come purtroppo conferma la recente esperienza, una prolungata austerità fiscale imposta a più paesi nello stesso tempo finisce per danneggiare anche le economie dei paesi “virtuosi”, che vedono inevitabilmente scendere le loro esportazioni verso gli stati “indisciplinati”. Se poi l’austerità fiscale sta trascinando parecchi paesi verso la deflazione, allora i primi della classe rischiano anche di vedere i propri mercati di sbocco insidiati da merci molto più a buon mercato prodotte nei paesi che stanno aggiustando i propri bilanci.

Davanti ad un quadro così drammatico, c’è parecchio da riflettere per tutti, a cominciare da coloro che hanno difeso e supportato acriticamente questa deriva della politica economica europea negli ultimi decenni. Di fronte a regole ingiuste e controproducenti, la reazione più corretta è quella di lottare con determinazione per cambiarle, vincendo, in questo caso,  l ’inerzia e l’insensibilità delle classi dirigenti europee; tuttavia, sanzioni deboli e confuse possono minare  quella determinazione e possono porre un dilemma etico di non poco conto: conviene violare le regole per tutelare il benessere sociale? Perché, spiace dirlo,  oggi  il “codice della strada” europeo rischia di rendere conveniente per tutti, o quasi, violare il divieto di sosta e parcheggiare in doppia fila.civil_servant

Schede e storico autori