All’indomani della bomba: terrorismo e percezione del benessere in Europa

Emilio Colombo, Valentina Rotondi e Luca Matteo Stanca presentano i risultati di un’indagine empirica sugli effetti degli attentati terroristici sul benessere delle persone, oltre quelli drammatici sulle vite umane. Con riferimento agli attentati avvenuti in Francia, Belgio e Germania tra il 2010 e il 2017 gli autori trovano che all’indomani un attacco terroristico, il benessere e la felicità individuale in generale diminuiscono con varie conseguenze negative, tuttavia ciò non accade per gli immigrati musulmani e cercano di interpretare questo risultato non intuitivo.

Le conseguenze degli attentati terroristici vanno ben oltre i –seppur gravi– costi economici e costi in termini di perdita di vite umane. Il loro scopo principale non è uccidere né imporre perdite economiche alla popolazione colpita e, chiaramente, trascende l’area nella quale si sono verificati i danni diretti. Scopo principale degli attentati terroristici è, infatti, sconvolgere la vita ordinaria della gente comune, anche se non direttamente toccata dagli attacchi. Chiunque abbia avuto notizia di un attacco in un luogo anche molto lontano, inizia a dubitare di   esserne immune. Il clima di paura che gli attacchi evocano – esasperato dalla loro copertura mediatica (Powell, K. A.1, “Framing Islam: An analysis of U.S. media coverage of terrorism since 9/11”, Communication Studies, 2011; Ruigrok, N. e van Atteveldt, W., “Global angling with a local angle: How U.S., British, and Dutch newspapers frame global and local terrorist attacks”, Harvard International Journal of Press/Politics, 2007) – induce a reagire come se si trattasse del focolaio di una malattia rara e letale (Becker, G. e Rubinstein, Y., “Fear and the response to terrorism: An economic analysis” Centre for Economic Performance, LSE, 2011): sebbene la probabilità di essere contagiati sia prossima allo zero, La paura (e non un calcolo razionale del rischio) cambia i comportamenti quotidiani.

In effetti, la letteratura mostra come gli attentati terroristici influenzino, tra molte altre cose, la nostra percezione del rischio e, di conseguenza, la nostra disponibilità a barattare la sicurezza con la libertà (Bozzoli, C. e Müller, C., “Perceptions and attitudes following a terrorist shock: Evidence from the UK”, European Journal of Political Economy, 2011). Questa maggiore percezione del rischio influisce anche sulla fiducia che nelle altre persone, nei governi e nelle istituzioni che supponevamo essere deputati a vigilare affinché tali terribili eventi non accadessero (Blomberg, S. B., Hess, G. D., e Tan, D. Y., “ Terrorism and the economics of trust”, Journal of Peace Research, 2011). La conseguenza prima e più scontata di questa percezione aumentata del rischio è un aumento della radicalizzazione politica (Berrebi, C. e Klor, E. F., “ Are voters sensitive to terrorism? direct evidence from the Israeli electorate”, American Political Science Review,2008) anche a causa del cambiamento drastico nella percezione degli altri gruppi, specialmente quelli a cui appartengono gli autori dell’attacco (Bar-Tal, D. e Labin, D., “The effect of a major event on stereotyping: Terrorist attacks in Israel and Israeli adolescents’ perceptions of Palestinians, Jordanians and Arabs”, European Journal of Social Psychology, 2001).

In un nostro lavoro di prossima pubblicazione (“The Day after the Bomb: Well-being Effects of Terrorist Attacks in Europe”) abbiamo studiato gli effetti degli attentati terroristici avvenuti in 3 paesi europei (Francia, Belgio e Germania) tra il 2010 e il 2017.

Fig. 1: Numero di morti (linea rossa) e numero di attacchi (linea blu) avvenuti a causa degli attentati terroristici in Europa tra il 1970 e il 2018. Fonte: The Global Terrorism Database (https://www.start.umd.edu/gtd/)

L’Europa ha conosciuto una lunga storia di terrorismo (si veda la figura 1). A partire dalla seconda guerra mondiale il terrorismo è stato spesso utilizzato come mezzo per raggiungere finalità politiche soprattutto dai movimenti separatisti (quali la “Irish Republican Army” nel Regno Unito o l’ETA in Spagna) o dai movimenti estremisti (quali l’estrema destra o l’estrema sinistra in Italia negli anni 70). Come tali, gli attacchi erano inizialmente concentrati in relativamente poche aree. Questa situazione è drasticamente cambiata all’inizio del nuovo millennio.

A partire dall’attentato di Madrid del 200 – il più cruento attentato Islamista mai verificatosi in Europa –   in cui 193 civili hanno perso la vita, il terrorismo Islamico ha iniziato a colpire l’Europa, soprattutto la Francia. Il picco è stato raggiunto tra il 2014 e il 2016, quando il numero di morti   ha superato la somma di tutti gli anni precedenti. Sebbene gli autori della maggior parte degli attacchi in paesi europei, durante questo periodo, fossero cittadini di quegli stessi paesi, l’Europa è stata pervasa da un sentimento di rivalsa contro i migranti musulmani, accresciuto dalla retorica anti-immigratoria di gran parte dei partiti di destra che hanno spesso rivendicato il diritto di chiudere i confini nazionali all’indomani degli attentati. In effetti, i dati del  Pew Research Center mostrano come in Europa sia molto diffusa l’idea secondo la quale le ondate di migrazione sono correlate con la probabilità di un attentato terroristico sebbene la letteratura mostri il contrario.

Nel nostro lavoro abbiamo usato i dati derivanti dalla European Social Survey (ESS), un’indagine sociale biennale progettata per mappare gli atteggiamenti e il comportamento della popolazione europea sulle questioni sociali più rilevanti. L’ESS contiene informazioni dettagliate sulle caratteristiche degli intervistati quali età, sesso, background familiare, religione, nazionalità, livello di istruzione, stato occupazionale e livello di reddito oltre ad informazioni, per noi fondamentali, quali la soddisfazione individuale per le istituzioni, il comportamento di voto e, soprattutto, la soddisfazione per la vita. La ESS, inoltre, riporta la data esatta in cui l’intervista è stata condotta. Questo elemento è decisivo nella nostra strategia empirica perché ci permette di condurre un’analisi econometrica pre-post molto semplice, sfruttando l’esogeneità della data dell’attentato. Per comporre il nostro campione di riferimento, abbiamo selezionato i paesi europei che hanno subito un attacco terroristico e per i quali le ESS hanno dati pre e post attacco; si tratta di Francia, Belgio e Germania (più di 46000 individui tra il 2010 e il 2017).

I risultati mostrano una significativa riduzione del benessere dichiarato all’indomani di un attacco terroristico. Più nel dettaglio, il nostro modello (ordered logit) mostra che la probabilità di dichiarare alti livelli di soddisfazione per la vita si riduce dopo un attacco terroristico, con un cambiamento atteso di -0.342 che è fortemente significativo. I risultati non cambiano se si considera la felicità: la probabilità di dichiarare alti livelli di felicità si riduce significativamente dopo un attacco, con una stima di -0.242.

I meccanismi che possono spiegare questa riduzione di benessere sono rappresentati in figura 2. Gli attacchi terroristici generano una riduzione della fiducia generalizzata e istituzionale (prima colonna di figura 2), una riduzione della soddisfazione per la democrazia e per il funzionamento del governo, seguita da una riduzione della propensione al voto (seconda colonna di figura 2), e un aumento delle attitudini negative nei confronti dei migranti (terza colonna di figura 2). Contrariamente alle nostre aspettative, tuttavia, questo aumento delle attitudini negative dei nativi nei confronti dei migranti non si traduce in una maggiore riduzione del benessere degli immigrati rispetto ai nativi, nonostante un aumento della discriminazione percepita.

Questo risultato, apparentemente contro-intuitivo, può essere spiegato dalla prospettiva strumentale sul sostegno politico. Secondo questa teoria, gli immigrati valuterebbero la democrazia non solo per i suoi benefici tangibili ma anche per quelli intangibili (Rogowski, R.,. Rational legitimacy: A theory of political support, Princeton University Press, 1974) nei quali rientra la protezione e il rispetto dei diritti e delle libertà dei suoi cittadini anche in condizioni particolarmente avverse. Quindi, almeno nel breve periodo, gli immigrati continuerebbero ,a prendere il proprio paese d’origine come termine di riferimento rispetto a cui valutare le esperienze nel paese di accoglienza (Stark, O. et al., The Migration of Labor, Wiley Blackwell , 1991). Più nello specifico, essi valuterebbero positivamente la reazione delle istituzioni democratiche nel paese ospitante all’indomani di un attacco terroristico e la confronterebbero con ciò che sarebbe potuto accadere nel loro paese d’origine. Nella reazione del paese ospitante è di rilievo l’assenza di ritorsioni e la certezza di essere protetti nonostante la percezione di una crescente discriminazione e xenofobia. I nativi, al contrario, valuterebbero negativamente le istituzioni perché in loro prevale l’idea che avrebbero dovuto proteggere i loro cittadini dal terrorismo (Valentino, N. A., Brader, T., Groenendyk, E. W., Gregorowicz, K. e Hutchings, V. L., “Election night’s alright for fighting: The role of emotions in political participation”, The Journal of Politics, 2011) e reagirebbero alla frustrazione riducendo il loro sostegno alla democrazia, aumentando la partecipazione politica e spostandosi verso politiche di destra.

Per concludere. Il nostro lavoro conferma ciò che abbiamo sperimentato in questi anni in cui l’Europa è stata attraversata dall’ondata cruenta di terrorismo che tristemente conosciamo: il benessere si riduce dopo gli attentati. Non solo. Il ruolo di salvaguardia e protezione delle libertà personali da parte delle istituzioni democratiche è stato messo in crisi dagli attentati. Ma non è così per tutti. La soddisfazione che nei confronti delle stesse istituzioni provano gli immigrati è aumentata.

Cosa succederebbe se fossimo in grado di raccontare una storia diversa? Se riuscissimo ad apprezzare la democrazia anche quando questa è colpita nel profondo e fossimo capaci di trasformare una minaccia in un’opportunità di crescita sociale e politica? Le risposte a queste domande più del ricercatore dovrebbero darle gli uomini e le donne, le cittadine e i cittadini che vivono nelle democrazie e ne conoscono le istituzioni, che hanno permesso loro di essere liberi. Anche oggi. Nonostante tutto.

Fig. 2: Coefficienti del modello ordered Logit

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