Alcune FAQ sul voto del 4 Marzo

Eugenio Levi e Fabrizio Patriarca cercano di chiarire alcuni punti della legge elettorale con lo scopo di aiutare l’elettore a capire quale sarà l’effetto del proprio voto sulla rappresentanza parlamentare. In particolare, si soffermano sulla corrispondenza fra il voto ad una lista plurinominale e l’elezione di parlamentari di quella lista, sul peso relativo del maggioritario e del proporzionale, sul ruolo della residenza geografica e sottolineano con preoccupazione gli effetti che l’ambiguità della legge elettorale su questi punti sta avendo sulla campagna elettorale.

Dopo il Porcellum e l’Italicum, ecco il Rosatellum. In queste note cerchiamo di dare risposta a tre semplici quesiti con l’obiettivo di aiutare chi lo desideri a capire meglio la legge elettorale e a verificare quale sarà in concreto l’effetto che avrà il proprio voto. Ma, lo diciamo subito, la materia è complessa e potremmo fallire nel nostro obiettivo.

Quesito n. 1: Sulla scheda questa volta accanto alle liste di partito e coalizioni sono indicati dei nomi. Significa che il mio voto contribuisce alla loro elezione?

No, ciò può accadere solo in alcuni casi particolari. Nella maggior parte dei casi i voti, quando decisivi, contribuiscono ad eleggere candidati di altri territori, talvolta anche di altri partiti. Questo avviene per tre meccanismi diversi. Esaminiamoli.

1 L’effetto flipper

Riguarda tutti i candidati dei listini proporzionali (ad eccezione di quelli in posizioni cosiddette “sicure”) e fa sì che votando un determinato partito non sia possibile stabilire quali siano i candidati che si contribuisce a eleggere tra tutti i candidati sul territorio nazionale del partito stesso. E’ dovuto alla necessità di rispettare contemporaneamente la numerosità degli eletti per collegio e le proporzioni a livello circoscrizionale e nazionale dei seggi distribuiti ai partiti. E’ possibile solo dare una risposta probabilistica tramite veri e propri simulatori (uno è quello realizzato da youtrend) ma è necessario un alto dettaglio delle previsioni sulla distribuzione territoriale del voto. Per sapere quali sono i candidati che si può contribuire ad eleggere per la quota proporzionale bisogna conoscere tutti i candidati nei listini di tutta la circoscrizione (effetto flipper primario) e possibilmente anche tutti quelli nelle altre circoscrizioni (effetto flipper secondario).

2 L’effetto soglie di sbarramento

Riguarda tutti i partiti al disotto del 3%, per un totale stimato di circa il 10% dei votanti. Nel caso di partiti in coalizione questi voti concorrono all’elezione di candidati di altri partiti della stessa coalizione di un collegio – che, peraltro, non è determinabile a priori a causa dell’effetto flipper. Nel caso di partiti non in coalizione, questi voti non hanno alcun impatto significativo.

3 L’effetto pluricandidature

In quasi la metà dei collegi Uninominali e in quasi tutti quelli proporzionali c’è almeno un candidato nei principali partiti (PD, M5S, FI, Lega, LEU e FDI) che è candidato anche altrove. I pluricandidati totali di questi partiti sono 311 per un totale di 441 candidature (in aggiunta alla prima). Qualora la multicandidatura in questi partiti fosse garanzia di elezione, si tratterebbe di più della metà dei 618 parlamentari eletti sul territorio nazionale.

Tutti i principali partiti hanno usufruito di questa possibilità. Nel centrodestra, che è l’unica coalizione per cui ci si attende il raggiungimento del quorum da parte di più liste, il 35% dei candidati all’uninominale è candidato anche in uno o più listini plurinominali. Sia nel PD che nei 5 stelle tale quota è del 24%, mentre per LEU è del 28%. (Tabella 1)

Tale pratica ha destato polemica per una forte connotazione di genere, che favorisce candidati uomini per mezzo di pluricandidature di donne (Tabella 2). Probabilmente questo divario è dovuto al tentativo di garantire l’elezione di alcuni uomini che non si è riusciti a collocare nelle posizioni migliori, per l’obbligo dell’alternanza di genere.

Sono in totale 318 coloro che si candidano in più di un collegio (uninominale o plurinominale), le donne sono 173. Il divario aumenta ancora se si considera il numero totale di ricandidature oltre la prima: 267. Questo sbilanciamento è presente in tutti i partiti, in Forza Italia è molto più lieve.

Una conferma viene dall’osservazione che a raggiungere il numero massimo di candidature possibili per ciascun candidato – cioè 6: 5 nei listini plurinominali e 1 nel collegio uninominale – sono soltanto donne (11). Scendendo a 5 pluricandidature si trovano 3 uomini e 7 donne. Queste pluricandidature consentiranno ai partiti che supereranno di poco la soglia del 3% di ridurre il rischio che gli eletti non siano quelli da loro considerati prioritari.

Anche il voto dato ad una lista di candidati con un pluricandidato può determinare l’elezione di candidati in altri collegi – dello stesso partito, nel caso di pluricandidati al proporzionale o anche di altri partiti (della stessa coalizione), nel caso di pluricandidati all’uninominale. In quest’ultimo caso potrebbe verificarsi il caso paradossale che il voto dato a un pluricandidato al proprio collegio uninominale ne impedisca l’elezione in un altro collegio plurinominale senza però consentirgli di essere eletto nel proprio collegio uninominale. Si tratterebbe di un chiaro esempio di violazione del cosiddetto requisito di monotonicità del sistema elettorale.

 Quesito n.2: Il sistema prevede un voto unico ma sulla scheda compaiono due parti separate, proporzionale e uninominale. E’ possibile stabilire l’importanza relativa delle due parti?

No, non in generale.

Con riferimento alla Camera (ma al Senato la situazione è analoga), a parte i 12 seggi della circoscrizione estero, 232 deputati sono eletti con l’uninominale su un totale di 618, pari al 37,5%. Sembrerebbe quindi che i pesi siano: circa 2/5 all’ Uninominale e 3/5 al Plurinominale. Ma non è generalmente così. Per prima cosa, la quota di seggi assegnati con i due sistemi varia notevolmente tra le regioni medio-piccole e piccole: 1/3 e 2/3 in Umbria e Basilicata, 2/3 e 1/3 in Molise, circa metà e metà in Trentino, solo uninominale in Valle d’Aosta. Non è una novità che i meccanismi di assegnazione dei seggi presentino distorsioni di questo tipo, ma una così forte differenza nel “cosa si vota” tra regioni non si mai avuta. Se si considera che anche i seggi esteri sono assegnati con un meccanismo diverso, le differenze rilevanti riguardano il 10% degli aventi diritto al voto. Nel Mattarellum il rapporto 3/4 contro 1/4 valeva per quasi tutti gli aventi diritto al voto, il Porcellum non creava di fatto diversità e persino l’Italicum non presentava tale problema.

Agli aspetti tecnici bisogna aggiungere quelli politici. Nei collegi uninominali “sicuri”, in cui cioè vi è una coalizione data largamente per vincente, conterà solo la quota proporzionale perché, in assenza di sconvolgimenti imprevedibili, essa è l’unica su cui si può effettivamente incidere con il proprio voto. In altri collegi, quelli incerti, la parte maggioritaria peserà relativamente di più, anche se solo per le coalizioni che hanno più probabilità di aggiudicarsi il seggio.

Aspetto 3 A prescindere da considerazioni politiche come voto utile e seggi sicuri, quanto conta il mio singolo voto? Dipende soltanto dall’elettorato complessivo?

No, il peso politico è diverso a seconda del luogo in cui si vota.

In un sistema proporzionale a riparto nazionale ciascun elettore ha la stessa influenza sul numero di seggi assegnati ai partiti a livello nazionale indipendentemente da dove vota e da quante persone votano nel suo collegio. Nel sistema uninominale un elettore è più determinante se nel suo collegio ci sono meno votanti cioè minor affluenza e meno aventi diritto, e se il collegio non ha caratteristiche tali da lasciar intravedere un esito predeterminabile (“sicuro”). I sistemi misti servono spesso proprio a contenere gli effetti dell’ultimo di questi casi, ma solitamente permettono di correggere anche gli altri, come faceva il Mattarellum con lo scorporo.

Ciò non accade con questa legge elettorale. Infatti, l’impatto di ciascun elettore sul risultato complessivo dei partiti è fortemente diseguale. Mentre il riparto nazionale della quota proporzionale rende tutti i voti uguali al fine degli equilibri nazionali tra i partiti, per la quota uninominale ciascun elettore conta diversamente a seconda del numero di persone che votano nel suo collegio uninominale. Considerando le forti differenze nella dimensione dei collegi uninominali e nell’affluenza al voto per Regioni, abbiamo ricostruito il diverso peso di ogni elettore sul risultato totale, considerando le dimensioni medie dei collegi, la distribuzione regionale delle affluenze delle scorse elezioni, e che il peso del proporzionale – la cui incidenza è del 62,5% – è uguale per tutti sul territorio nazionale (eccetto che per la Val d’Aosta, dove non si vota per le liste plurinominali).

Sintetizzando, se questo sistema elettorale resistesse alla prossima legislatura o alla Corte Costituzionale, ci sarebbero incentivi ad esercitare una forma molto particolare del cosiddetto “voto coi piedi”: un abitante della Valle d’Aosta che si sposta a Ivrea aumenterebbe il suo peso di un terzo (dal 74% al 99% del peso elettorale medio), andando da Potenza a Campobasso l’aumento sarebbe di un quinto. Analogamente, un transfrontaliero del Trentino che sposta la sua residenza a Innsbruck perde 3/5 circa, quanto un emigrante molisano a Londra.

In conclusione. Questa legge elettorale è complicata. Immaginiamo che la nostra analisi, per quanto svolta per punti e con lo scopo di “chiarire” la corrispondenza fra intenzioni di voto e scelta elettorale, possa avere aumentato la confusione in molti lettori. Il problema è che questa legge richiede uno studio minuzioso delle liste e, comunque, non garantisce una corrispondenza fra il proprio voto e il rappresentante eletto. In sostanza, aumenta la confusione e riduce la trasparenza. I partiti, dal canto loro, mirano a ridurre la discrezionalità nella scelta dei singoli eletti all’interno delle loro liste, cercando di predeterminare il maggiore numero di eletti, anche a svantaggio della rappresentanza di genere, in maniera trasversale.

Ma c’è anche altro. Questa legge si presta ad essere interpretata strategicamente nella campagna elettorale, giocando su suoi elementi ambigui nel tentativo di recuperare i voti incerti. I punti che abbiamo cercato di “chiarire” vengono “usati” in maniera distorta. Ecco alcuni esempi: l’interpretazione maggioritaria è usata da Renzi per reclamare il voto utile a sinistra – perché LEU lì non sarebbe competitivo -, quando invece il peso dell’uninominale non è sempre lo stesso a prescindere dal collegio. Lo stesso PD cerca di rendere credibile la sua coalizione, invitando al voto per i suoi alleati, ben sapendo che, nel caso probabile in cui queste liste non dovessero superare il 3%, quel voto contribuirebbe all’elezione di parlamentari PD e all’obbiettivo dichiarato di Renzi di avere il gruppo parlamentare più consistente come partito. Dal canto loro, i 5 stelle fanno appello all’impronta proporzionale per cui al primo partito spetterebbe il mandato per la formazione del Governo a prescindere dalle maggioranze parlamentari. D’Alema per LEU dichiara che il combinato dei due sistemi non garantirà un vincitore, evocando il “meglio pochi ma buoni”. Per finire, due dei tre partiti dell’unica (di fatto) coalizione di più partiti, chiedono garanzie che il voto ad alcuni loro candidati all’uninominale non sia in realtà un sostegno ad altre coalizioni già in nuce: Salvini invocando il notaio e la Meloni chiedendo (invano) di manifestarlo pubblicamente insieme.

Tutto ciò ha effetti distorsivi sul funzionamento della democrazia. Dà alla campagna elettorale una torsione politologica che costringere l’elettore a diventare un costituzionalista per schivare le trappole della propaganda. In più, e questo a noi sembra particolarmente preoccupante, finisce anche per far recedere in secondo piano le posizioni dei partiti sul futuro del Paese e le loro proposte sui problemi concreti.

Schede e storico autori