1977-2017: quarant’anni dall’istituzione del contributo di costruzione. Una proposta di rivisitazione che rafforza lo spirito della legge

Massimo Betti e Franca Moroni ricordano che l’edilizia privata contribuisce alla finanza pubblica non soltanto con IMU e TASI ma anche con il contributo di costruzione che è riscosso dai Comuni all’atto dell’edificazione ed è destinato alla realizzazione e manutenzione della città pubblica. Gli autori chiariscono che esso in parte è un’imposta sul profitto e sostengono che l’attuale modalità di calcolo contrasta con i principi di progressività e proporzionalità. Per superare questi limiti formulano una diversa proposta e l’applicano ai comuni dell’Emilia-Romagna.

Quando si parla del rapporto tra la casa e la finanza pubblica vengono subito alla mente l’IMU e la Tasi e molto si discute della loro equità e del loro impatto sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza. In realtà vi sono altri aspetti della casa che hanno conseguenze sulla finanza pubblica e che non sono prive di effetti rilevanti sotto il profilo dell’equità. In questa Scheda ci concentreremo sul contributo di costruzione introdotto 40 anni fa e ne proporremo una riformulazione.

Il contributo di costruzione fu istituito dalla L 10/77, Norme per l’edificabilità dei suoli, che assoggettò le attività di trasformazione edilizia ad una concessione rilasciata dal Comune a fronte di detto contributo, finalizzato alla realizzazione e alla manutenzione della città pubblica.

Il contributo di costruzione è costituito da due quote di natura giuridica differente: la quota relativa agli oneri di urbanizzazione, “obbligazione contributiva di diritto pubblico” (Corte dei Conti, Sez. Sardegna, Par. n. 12/2008), da corrispondersi per la realizzazione di strade, fognature, scuole, ecc., e la quota relativa al costo di costruzione, un contributo “di natura impositiva sull’incremento di ricchezza derivato dall’intervento stesso” (Cons. Stato, Sez. V, 30/11/11, n. 633; Sandulli A. M., Nuovo regime dei suoli e Costituzione, in Riv. giur. edil., 1978, II, 73).

La quota relativa al costo di costruzione, nella formulazione attuale, non è pienamente rispondente ai principi giuridici di progressività e di proporzionalità rispetto al profitto generato. Infatti il metodo di calcolo vigente si fonda sui costi sostenuti per la realizzazione dell’edificio e non sui profitti ricavati, snaturando il carattere impositivo proprio del tributo. Con il presente lavoro proponiamo una riformulazione di tale quota con l’intento di rispettare i principi richiamati ed ispiratori della L 10/77.

 Rendita di trasformazione e costo di costruzione. L’incremento di ricchezza oggetto dell’imposizione è dovuto sia alle caratteristiche tecniche e tipologiche dell’intervento sia “alle sinergie ed esternalità incrociate con tutti gli altri luoghi, grazie alla prossimità, alla presenza di infrastrutture e di capitale fisso sociale”, all’azione collettiva che ha creato, nel tempo, valore sui suoli urbani e sugli immobili. Definiamo tale valore “rendita di trasformazione” (Camagni R., La riforma della fiscalità urbanistica, in Petretto A., Lattarulo P., in “Contributi sulla riforma dell’imposizione locale…”, RM, 2016).

Di ciò ebbe consapevolezza il legislatore che, nella presentazione del DdL in Commissione parlamentare, esplicitò la dipendenza dell’imposta sulla rendita di trasformazione dal prezzo di vendita (DdL Norme per la edificabilità dei suoli, Relazione LLPP, Giglia, 19/11/76). Tuttavia le Pubbliche Amministrazioni non disponevano di banche dati dei prezzi di vendita delle costruzioni, pertanto la necessità di stimare con “automaticità e semplicità” (Giglia, 76) tale imposta portò il legislatore ad agganciare quest’ultima ad un parametro definito costo di costruzione.

I primi valori in £/mq del costo di costruzione, differenziati per area geografica e dimensione demografica, furono emanati con il DM 801/77 e furono ottenuti applicando una riduzione del 15% a quelli del DM 9816/75, in cui il costo di costruzione era determinato per l’attuazione di politiche di incentivazione dell’attività edilizia.

Il metodo per la determinazione della quota relativa al costo di costruzione fu indicato all’art. 6 della L 10/77: si sarebbe assunta una quota compresa tra il 5% e il 20%, dipendente dalle caratteristiche e dalle tipologie delle costruzioni e dalle loro funzioni e ubicazioni, a discrezione delle Regioni. 

Il calcolo del costo di costruzione è demandato alle Regioni. Il 1977 è compreso in un intervallo temporale, iniziato al termine degli anni ’40 e conclusosi al termine degli anni ’80, in cui i costi di costruzione rilevati annualmente da ISTAT e i prezzi di vendita delle costruzioni crescevano con lo stesso andamento (Cannari L., D’Alessio G., Vecchi G., I prezzi delle abitazioni in Italia, 1927,-2012, Oc. Papers 333, B.d’I., 2016; http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/qef/2016-0333/index.html), mentre nei decenni successivi i primi subirono aumenti assai più contenuti dei secondi. Il legislatore, con la L 537/93, decise di demandare alle Regioni la determinazione del costo di costruzione come già i parametri per il calcolo del valore finale dell’imposta, sia per una migliore calibrazione locale sia in risposta alle crescenti richieste di autonomia regionale.

Da un’analisi delle interpretazioni date dalle diverse Regioni emergono scelte, e quindi incidenze dell’imposta, molto differenti tra loro. In generale le Regioni hanno considerato marginalmente le plusvalenze generate dall’ubicazione dell’intervento, rinunciando così, a priori, a tassare la rendita di trasformazione là dove essa si genera.

Un modello alternativo per il calcolo della quota relativa al costo di costruzione. L’Agenzia delle Entrate dal 2004 ha costituito la Banca dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare, che fornisce i prezzi di vendita minimi e massimi aggiornati semestralmente per tipologia residenziale (abitazioni signorili, civili, ecc.), per stato di conservazione (ottimo, normale, scadente) e per zone omogenee infracomunali. Alla luce delle possibilità offerte da OMI riteniamo che ci siano le condizioni per rivedere la quantificazione della componente impositiva del contributo di costruzione basandola, anziché sul costo di costruzione, sulla rendita di trasformazione quale quota del prezzo di vendita medio.

Al fine di riproporre lo spirito impositivo proprio del legislatore del 1977 riteniamo necessario conservare inalterata la relazione tra il costo di costruzione ed il prezzo di vendita ritenuta allora equa. Conseguentemente abbiamo necessità di calcolare il valore del rapporto esistente tra le due grandezze:

R77 = c.c.77 /P77

dove:

c.c.77 = costo di costruzione medio nazionale nel 1977;

P77 = prezzo di vendita medio nazionale nel 1977.

Dai calcoli effettuati risulta R77 = 0,47.

Abbiamo calcolato il valore di c.c.77 elaborando i costi di costruzione indicati dal DM 801/77.

Il calcolo di R77 è stato possibile grazie a due studi della Banca d’Italia che contengono la serie storica dei numeri indice dei prezzi di vendita medi nazionali delle abitazioni (Muzzicato S., Sabbatini R., Zollino F., Prices of residential property in Italy, Oc. Paper 17, B.d’I., 2008) e i prezzi di vendita medi nazionali delle abitazioni calcolati per il 2002 (Cannari L., Faiella I., House prices and housing wealth in Italy, 17-19 ottobre, B.d’I., Pg, 2007; https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/altri-atti-convegni/2007-ricchezza-famiglie-ita/Household_wealth_Italy.pdf). Negli studi citati i numeri indice sono stati ricostruiti a partire dall’unica banca dati storica: Il consulente immobiliare, mentre i prezzi di vendita medi nazionali del 2002 sono stati determinati utilizzando sia i dati de Il consulente immobiliare sia i prezzi rilevati da OMI.

Assumiamo come valore base per il calcolo dell’imposta a mq di un nuovo edificio il valore della rendita di trasformazione V che definiamo come:

Vi = R77 * [ (Pmin + Pmax) / 2 ]

dove:

Vi = valore a mq della rendita di trasformazione relativa alla i-esima zona OMI;

R77 = rapporto costo di costruzione – prezzo di vendita nel 1977;

Pmin; Pmax = prezzi di vendita minimo e massimo relativi alla i-esima zona OMI.

Il valore Vi è in grado di cogliere le differenze di rendita di trasformazione anche all’interno dello stesso territorio comunale.

 

Un’applicazione all’Emilia-Romagna. Applicando il modello ad alcune zone OMI dell’Emilia-Romagna otteniamo:

Abbiamo scelto il 2004 in quanto è il primo anno in cui la copertura OMI è totale, il 2008 in cui OMI registra i massimi prezzi di vendita mentre inizia l’arresto dell’ultimo ciclo espansivo dell’industria edilizia (Cannari L. e al.; Muzzicato S. e al.) e il 2016. I risultati evidenziano come il parametro valore della rendita di trasformazione sia assai più sensibile alle complesse interazioni tra il settore edilizio, il relativo mercato e le trasformazioni territoriali rispetto al costo di costruzione.

Poiché ciò che dobbiamo calcolare è un’imposta, il valore Vi dovrà essere moltiplicato per un coefficiente Cj compreso tra i valori 0,05 < Cj < 0,2 secondo la L 10/77. Cj sarà dipendente dal valore Vi all’interno dell’intervallo [Vmin,Vmax], in base al principio di progressività di cui all’art. 53 della Costituzione.

In tab. 3 presentiamo una fra le possibili articolazioni dei valori di Cj, che utilizzeremo in tab. 4.

Il valore dell’imposta unitaria Ii relativa alla rendita di trasformazione Vi per ogni i-esima zona sarà:

Ii = Vi * Cj

dove:

Ii = imposta a mq da corrispondersi nella zona i-esima;

Vi = valore a mq della rendita di trasformazione nella zona i-esima;

Cj = coefficiente che introduce il principio di progressività nella determinazione dell’imposta.

Dal confronto fra i valori unitari dell’imposta calcolati secondo il modello proposto e i valori applicati in Emilia-Romagna si evidenzia come i primi sarebbero stati in grado di cogliere le differenze territoriali.

 Conclusioni. I risultati dell’applicazione del modello proposto evidenziano come il calcolo dell’imposta basato sul valore della rendita di trasformazione porterebbe a una diversificazione significativa della stessa non solo fra Comuni ma anche fra zone infracomunali. Inoltre un modello che utilizza i prezzi di vendita OMI, anche in una situazione di generale contrazione del settore edilizio, consentirebbe ai Comuni di recuperare quelle risorse finanziarie che si possono generare in circoscritte realtà territoriali economicamente forti e ai cittadini di corrispondere un tributo commisurato al valore del proprio bene.

La sostituzione della quota relativa al costo di costruzione con l’imposta sulla rendita di trasformazione permetterebbe di quantificare automaticamente le oscillazioni della rendita senza la necessità di atti legislativi per correggere i valori del costo di costruzione e restituirebbe alla componente tributaria del contributo di costruzione le caratteristiche proprie dell’imposta, riconducendola ai principi di progressività e di proporzionalità.

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