Varoufakis vs Piketty ovvero la disuguaglianza e i suoi nemici

Maurizio Franzini dedica il "Contrappunto" a un articolo scritto da Varoufakis poco prima di diventare ministro delle Finanze nel nuovo governo greco, nel quale egli muove a Piketty l’accusa di essere, al di là delle apparenze, un nemico dell’egualitarismo. Franzini, dopo avere ricordato quali sono state le reazioni dei veri avversari dell’egualitarismo al libro di Piketty esamina gli argomenti con cui Varoufakis motiva la sua provocatoria tesi e si chiede se essi abbiano un fondamento.

“Il Capitale nel XXI secolo è stato salutato come un libro che può fermare la marea montante della disuguaglianza e può gonfiare con vento fresco le vele dell’egualitarismo. Io invece temo molto che avrà l’effetto opposto”.

Il Capitale nel XXI secolo è, naturalmente, il fortunatissimo libro sulla disuguaglianza di Thomas Piketty e chi ricorre a questo scoppiettante linguaggio per esprimere un’opinione decisamente controcorrente è Yanis Varoufakis, attuale ministro delle Finanze del governo greco. Queste parole compaiono in un articolo di alcuni mesi fa – scritto quando Varoufakis, dopo alcune significative esperienze di insegnamento all’estero (in particolare in Australia e all’Università di Austin in Texas), era professore di economia all’Università di Atene – pubblicato dalla rivista Real-world economics review in un numero interamente dedicato a comprendere e criticare il fenomeno-Piketty.

L’idea che Piketty possa essere considerato, a causa del libro che ha scritto, un nemico della disuguaglianza decisamente non è banale e viene facile pensare che chi la sostiene deve avere un debole per l’originalità oltre che una buona dose di coraggio. Tanto per cominciare, i nemici dell’egualitarismo hanno finora mostrato di temere, e non poco, il libro di Piketty. I primi pallettoni che hanno sparato erano diretti contro la sua base statistica, contro i dati che descrivono un mondo nel quale la ricchezza e il reddito appaiono sempre più concentrati nella mani di pochi. Molti si sono cimentati in questo esercizio e alcuni giornali (principalmente il Wall Street Journal e il Financial Times) hanno aperto loro le porte. Ma si è trattato di una strategia fallimentare perché diretta contro il più robusto contrafforte dell’edificio di PIketty: i dati.

Altri pallettoni sono stati sparati contro l’idea che la disuguaglianza che conta non è quella nei redditi e nella ricchezza – di cui si occupa, come quasi tutti gli studiosi di disuguaglianze economiche, Piketty – ma quella (apparentemente più contenuta) nei consumi. Però, per lasciarsi convincere da questo argomento bisognerebbe, ad esempio, considerare irrilevante il fatto che una buona quota della popolazione si indebita per sostenere i propri consumi, altrimenti miseri. E il buon senso rende difficile farlo. Dunque, anche questa strategia, appare destinata all’insuccesso.

Di fronte alla debolezza di questi argomenti non sorprende che in diversi blog, soprattutto negli Stati Uniti, siano comparsi numerosi interventi di difensori della disuguaglianza diretti a criticare queste (ed altre) risposte conservatrici a Piketty. Come spesso accade, oltre le critiche non è emerso molto e il dilemma su dove indirizzare i pallettoni non è stato risolto. Qualcuno, però, ha sostenuto una tesi di subdola raffinatezza e cioè che, sul piano pratico, la battaglia contro Piketty e i suoi argomenti si vince rafforzando ed estendendo la tolleranza verso la disuguaglianza, così depotenziando il rischio di una ribellione contro di essa. Questa singolare forma di tolleranza è, in realtà, già piuttosto radicata e i meccanismi che la alimentano possono essere, se non individuati con precisione, almeno immaginati. Chi predica questa strategia invita a approfondire questa conoscenza per metterla al servizio del disegno di costruire una società diseguale ma serena.

Riannodando i fili del discorso, questa breve esplorazione suggerisce che nel mondo dei conservatori nemici della disuguaglianza Piketty è considerato, a sua volta, un nemico ed anche piuttosto temibile. Come può Varoufakis associarlo ad essi? E la sua “condanna” su quali argomenti poggia, quali sono le sue motivazioni?

Il primo argomento che si può individuare nell’articolo di Varoufakis (e che ritorna in un paio di interviste che egli ha concesso sullo stesso tema, disponibili, così come l’articolo, sul suo blog –  http://yanisvaroufakis.eu/ – ora non più attivamente alimentato come una volta) riguarda la prescrizione di policy più gradita a Piketty e cioè l’introduzione di un’imposta globale sulla ricchezza. Molti hanno trovato questa proposta poco efficace o difficilmente realizzabile per le ragioni che Paladini ha illustrato non molto tempo fa sul Menabò.

Varoufakis non si preoccupa di questi aspetti, ma, piuttosto, del ruolo di scintilla dell’anti-egualitarismo che la tassa sulla ricchezza potrebbe avere. Leggiamo le sue parole, scelte con evidente cura: “facciamo visita a una delle migliaia di famiglie irlandesi i cui membri sono disoccupati o terribilmente sotto-occupati e sotto- pagati ma che sono riusciti a conservare la proprietà della casa. Secondo il prof. Piketty questa gente sventurata dovrebbe ora pagare una nuova tassa sul valore netto residuo della propria casa in aggiunta al mutuo ancora da ripagare, indipendentemente dal proprio reddito” oppure pensiamo a “un imprenditore greco che combatte per sopravvivere contro il doppio assalto della domanda che non c’è e della mancanza di credito. Se il suo capitale non avesse ancora perso tutto il valore, certamente lo perderebbe non appena la politica del prof. Piketty fosse introdotta perché ora quell’imprenditore dovrebbe fare fronte a una tassa sulla ricchezza in assenza di un flusso di reddito”.

Il punto è chiaro: ci sono molti poveri di reddito che dispongono di piccole ricchezze, tassare queste ultime vuol dire generare disagi enormi a un segmento debole della popolazione che finirà per ribellarsi e dare linfa all’antiegualitarismo paventato da Varoufakis. Dunque, non sarebbero i veri ricchi a considerare Piketty, e la sua tassa, un loro nemico. Di certo tutto questo non è banale ed è fondato che qualcuno si ribellerà. Ma come motivazione per condannare Piketty anziché, eventutalmente, soltanto la sua proposta di policy appare piuttosto debole. In fondo, possono essere previste ben disegnate esenzioni (e Piketty in qualche modo ne parla) e possono essere adottate altre misure a prova di reazione dei meno ricchi. Di recente Tony Atkinson ne ha elencate un bel po’, proprio prendendo spunto da Piketty (Cfr. Atkinson, British Journal of Sociology, 2014). Insomma, accusare il libro di Piketty di una sorta di “occulto anti-egualitarismo” sulla base di questa motivazione appare improprio. Ma questo non vuol dire che la critica alla tassa di Piketty non sia fondata.

Varoufakis ha, però, un altro argomento. Si tratta di un accostamento, abbastanza sorprendente, tra Piketty e Rawls al quale egli giunge con facilità perché si tratta semplicemente di riprendere una tesi critica nei confronti del filosofo americano presentata in un suo articolo di oltre 10 anni fa (“Against equality”, in Science and Society, 2002/3). Secondo Varoufakis, Piketty proporrebbe, come Rawls, un “grado ottimo di disuguaglianza” che avrebbe il difetto di essere astratto e di non tenere conto dei meccanismi attraverso i quali la disuguaglianza concretamente si produce. Sotto questo aspetto, sostiene arditamente Varoufakis, sono da preferire i libertari che guardano alle procedure, alle modalità di realizzazione della disuguaglianza, giudicando queste – in particolare, distinguendole in buone e cattive – e non i risultati di per sé come invece farebbero Rawls e, sempre secondo Varoufakis, Piketty. Non soltanto sono da preferire ma sono anche vincenti con l’argomento che se, ad esempio, la libertà conta allora la disuguaglianza che scaturisce dall’esercizio della libertà non può essere criticata. Nella lettura – forse un po’ disinvolta – di Varoufakis sarebbe questa la ragione per la quale un libertario come Nozick l’avrebbe avuta vinta su un illuso egualitarista come Rawls.

Senza chiedersi quanto corretta sia l’interpretazione dei vari autori coinvolti e quanto convincente sia la difesa da parte di Varoufakis dei libertari, si può nuovamente dubitare che questa tesi costituisca una motivazione sufficiente per considerare Piketty una sorta di infiltrato nel campo degli egualitaristi. Non sembra che egli persegua l’assoluta eguaglianza  o l’ottima disuguaglianza e per questo non dovrebbe essere messo in difficoltà da approcci procedurali che portino a individuare la disuguaglianza “cattiva” – frutto cioè di meccanismi inaccettabili – e suggeriscano di ridurre soltanto quella.

Però ha ragione Varoufakis se sostiene che l’analisi dei processi che determinano la disuguaglianza è carente in Piketty e lo è, in particolare, rispetto al più importante dei processi, cioè il funzionamento dei mercati. Su questo egli dice poco e quel poco non è molto originale visto che spesso risulta difficilmente distringuibile da quanto direbbe un economista di formazione tradizionale e magari anche di provata fede neoclassica.

Dunque, le motivazioni addotte da Varoufakis per la sua condanna di Piketty come nemico dell’egualitarismo appaiono piuttosto deboli. Ma se considerati in se stessi e non come base del dispositivo di condanna i suoi argomenti sono solidi ed importanti. Il punto è che la cornice che li inquadra non è appropriata. Ci si può chiedere il perché di tutto questo. Ecco una probabile risposta: Varoufakis è, nelle sue parole, un “radical egalitarian” e per questo forse considera come un pericoloso nemico chi sembrerebbe, invece, il suo più probabile compagno di viaggio, cioè un social-democratico come Piketty. Nulla di particolarmente nuovo, dunque, sotto il cielo della sinistra.  La speranza è, però, che i più probabili compagni di viaggio, viaggino effettivamente assieme e che l’indiscutibile capacità di Varoufakis di sollevare punti rilevanti e anche di vederli con chiarezza si accompagni, nel suo nuovo e delicatissimo incarico, a una più accorta scelta delle cornici nelle quali inquadrarli.

Schede e storico autori