Ultimi spiccioli di concorrenza fiscale: neo residenti ed ex residenti super-ricchi

Ruggero Paladini si occupa dell’imposta sostitutiva dell’IRPEF introdotta con la legge di bilancio del 2017 per gli High net worth individuals (cioè per le persone con una grande ricchezza) che decidessero di trasferire la propria residenza in Italia e che prevede il pagamento forfettario di 100.000 euro. Paladini inquadra questo provvedimento all’interno della concorrenza fiscale in atto anche all’interno della Unione Europea, illustra le singolarità del provvedimento e spiega perché esso non possa considerarsi una forma ragionevole di concorrenza fiscale.

La concorrenza fiscale può prendere diverse forme. La più rilevante è quella volta ad attirare imprese, soprattutto di grandi dimensioni, nel paese. L’esperienza più nota è quella dell’Irlanda, che una trentina di anni fa fissò l’aliquota dell’imposta sul reddito delle società al 12,5%. Il risultato è stato sicuramente positivo (per l’Irlanda) perché grandi imprese americane ed europee hanno stabilito lì sedi o anche il quartier generale. Quando l’Irlanda dovette ricorrere al fondo europeo a causa della crisi delle sue banche, fu fatto un tentativo, da parte di francesi e tedeschi, per fare aumentare l’aliquota. Ma il nuovo governo irlandese di Enda Kenny resistette caparbiamente, dicendo di essere pronto a tartassare i redditi delle famiglie, ma non a muovere all’insù l’aliquota societaria. Ovviamente la tassazione ridotta funziona con quelle società che non rimpatriano i profitti nei paesi d’origine, a più alta imposizione, ma non funziona con quelle già totalmente internazionalizzate come Apple o Google il problema non si pone. Anche le due principali banche italiane sono andate da tempo a Dublino, in un’ottica di internazionalizzazione (e di risparmi fiscali).

Il trattamento agevolato può riguardare le holding (Lussemburgo e Olanda) oppure i redditi da brevetti; in quest’ultimo caso le agevolazioni inglesi hanno determinato analoghe agevolazioni in altri paesi (Patent Box in Italia). Ma non basta: perché pagare il 12,5% se si può pagare l’1% o anche meno?

Luxleaks è il titolo di un’inchiesta giornalistica del 2014 condotta in cooperazione da 80 giornalisti di 26 Paesi, che facevano riferimento al Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi. Da essa è emerso che mentre Jean-Claude Juncker era primo ministro, i suoi uffici fiscali concedevano trattamenti agevolati ad alcune grandi società (343), con la consulenza della Pricewaterhouse Coopers. Due anni dopo la Commissione europea è intervenuta su un trattamento particolarmente agevolato che il governo irlandese aveva riservato ad Apple. Ma l’accusa non è quella di concorrenza sleale, che non è una violazione prevista dalle norme dell’UE, quanto quella di aiuto di Stato, questo sì severamente vietato; Margrethe Vestager, Commissaria alla Concorrenza, ha dichiarato che “l’indagine della Commissione ha portato a concludere che l’Irlanda ha concesso ad Apple vantaggi fiscali illegali che hanno consentito alla società di versare per lunghi anni molte meno imposte di altre imprese. Il trattamento selettivo di cui ha goduto ha infatti permesso ad Apple di pagare sugli utili europei un’aliquota effettiva dell’imposta sulle società pari all’1% nel 2003, scesa poi fino allo 0,005% nel 2014. L’Irlanda dovrebbe quindi recuperare da Apple 13 miliardi, ma, guarda caso, si oppone.

La concorrenza fiscale serve anche ad attirare risparmio estero nel paese. Ad esempio i rendimenti dei titoli acquistati da non residenti sono stati progressivamente esentati dalle imposte cedolari in tutti i paesi europei, e si è lasciato all’altro paese il compito di stabilire le modalità di imposizione. Inoltre la concorrenza fiscale può servire ad attrarre forza lavoro ad alta specializzazione, per convincerla a lavorare nel paese. Non è un fenomeno nuovo: nella seconda metà dell’ottocento la nascente industria tedesca attirava tecnici inglesi offrendo alti salari.

Nell’UE, ed in particolare nei paesi dell’area Euro, vi è anche una concorrenza che si realizza tramite una svalutazione fiscale – che favorisce le esportazioni del paese ai danni degli altri – e che consiste in una riduzione dei contributi sociali ed un parallelo aumento dell’imposta sul valore aggiunto (Iva). Infatti nell’intera UE l’Iva si applica ancora con il criterio del paese di destinazione; ogni paese esenta le proprie esportazioni e colpisce le importazioni. La logica è fare in modo che i consumatori di ogni paese si trovino di fronte alla stessa aliquota Iva, indipendentemente da dove provenga il prodotto che intendono acquistare. Pertanto, se in un paese vengono ridotti i contributi sociali a carico delle imprese, il costo del lavoro si abbassa con vantaggio per le imprese esportatrici. Però l’aumento dell’Iva fa crescere i prezzi interni e riduce il salario reale; si tratta di un effetto simile a quello che si realizza con una svalutazione della moneta, che ovviamente non è possibile nei paesi dell’Euro. La Germania, una dozzina di anni fa, ha effettuato questo tipo di manovra.

Il governo Renzi, con la Legge di Bilancio 2017, ha creato una nuova tipologia di concorrenza fiscale; ha proposto agli High net worth individuals, cioè persone con una grande ricchezza (ma forse dirlo in inglese suona meglio), un’imposta sostitutiva (dell’Irpef) sui redditi prodotti all’estero. Chi trasferisce la residenza in Italia, verserà la cifra forfettaria di 100.000 euro, sui redditi che provengono dall’estero, cioè da dividendi ed utili distribuiti da società estere. Se avessero redditi da immobili o da società in Italia, su questi pagheranno la normale Irpef.

La tipologia quindi non rientra in quelle descritte in precedenza; non si attirano attività produttive di vario tipo, non si attira capitale umano particolarmente qualificato, non si incentivano le esportazioni italiane. Si offre a super-ricchi di venire a vivere (o quanto meno fissare la residenza) in Italia, al modico prezzo di 100.000 euro. Su un reddito di un milione l’imposta rappresenta il 10%, su due milioni il 5%, su quattro il 2,5%, via via declinando.

Cosa c’è di male? Senza questa misura i “neo-residenti” avrebbero versato le imposte nel loro paese, invece versano ciascuno 100.000 euro da noi. Se la stima di un migliaio di ricconi interessati fosse attendibile, si tratterebbe di 100 milioni di euro; certo non risolvono i problemi del bilancio italiano, ma sempre meglio di niente. Ma c’è un problemino: i neo-residenti possono essere anche ex-residenti, purché risultino non più residenti negli ultimi nove anni su dieci (uno sconticino del 10%). E come mai costoro hanno spostato la loro residenza all’estero? Si parla di quelli che effettivamente vivono prevalentemente all’estero, e non di quelli che ogni tanto compaiono sui giornali perché sospettati (giustamente) dall’Agenzia delle Entrate di falsa residenza.

Nella maggioranza dei casi le imposte, ed in particolare l’Irpef, sono la ragione principale dell’abbandono. Per costoro allora si configura una specie di condono, o se vogliamo un ritorno del figliol prodigo. Ed è qui che nascono problemi di equità con tutti gli altri residenti italiani, che sono sottoposti alle imposte del paese. Ma forse anche nei confronti di quelle decine di migliaia di ex-residenti, per lo più pensionati, che sono andati via (ad esempio in Albania o in Portogallo) per poter avere una pensione netta più alta, ed anche una pensione “reale” (tenuto conto cioè del costo della vita) più alta.

Ovviamente ogni atto di concorrenza, quindi anche di quella fiscale, può innescare una risposta. In alcuni casi in tempi stretti, come è stato il caso dei redditi da brevetti, in altri meno. Sarkozy, quando fu eletto Presidente, voleva imitare la Germania con una manovra di riduzione dei contributi ed aumento dell’Iva, ma poi, per timore dell’aumento dei prezzi che lo avrebbe esposto alle critiche dei socialisti, ci rinunciò. Nel caso dei ricconi non italiani, la ritorsione è particolarmente facile; basta che a Putin, Erdogan o Xi Jinping (ma anche, perché no, al futuro Presidente francese) salti la mosca al naso, e decidano di applicare una ritenuta alla fonte particolarmente alta sui redditi distribuiti da società residenti nei loro paesi. In questo caso lo spostamento della residenza in Italia non servirebbe a ridurre l’imposizione. I ricconi allora dovrebbero collocare le loro società in paradisi fiscali, ma così facendo potrebbe nascere un altro tipo di problemi e ritorsioni.

In conclusione, la concorrenza fiscale era considerata, dalle organizzazioni come l’OCSE e la Commissione europea, come un fatto positivo, perché limitava il Leviatano. Tuttavia da una ventina di anni le stesse organizzazioni hanno incominciato a riflettere sugli aspetti negativi della concorrenza fiscale, con la run to bottom della tassazione sul capitale, fattore mobile per eccellenza. In una unione come la UE, la concorrenza fiscale dovrebbe essere disciplinata e limitata entro limiti ragionevoli. E la misura italiana sui ricconi, che è una nostra esclusiva, non è ragionevole.

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