Tassare i BOT è una partita di giro?

A fine febbraio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio ha ipotizzato l’inasprimento dell’aliquota di imposta sui titoli di stato. Si sono immediatamente levate molte voci contrarie a questa misura in base all’argomento, apparentemente incontrovertibile, che si tratterebbe di una mera partita di giro per i conti pubblici.

A fine febbraio, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Graziano Delrio ha ipotizzato l’inasprimento dell’aliquota di imposta sui titoli di stato. Si sono immediatamente levate molte voci contrarie a questa misura in base all’argomento, apparentemente incontrovertibile, che si tratterebbe di una mera partita di giro per i conti pubblici.

La premessa di questa posizione è il timore, che alberga anche al Ministero dell’Economia, che un’equiparazione delle aliquote faccia cadere gli acquisti da parte delle famiglie (residenti). Sarebbe allora necessario aumentare i rendimenti lordi, e per questo si verificherebbe la partita di giro.

La tassazione degli interessi sui titoli pubblici fu introdotta quasi trenta anni fa e la risposta alle critiche di cui si è detto si può trovare nel dibattito che si sviluppò già allora. All’epoca l’ammontare di titoli in mano alle famiglie era molto rilevante. Vi fu un’approfondita discussione, tra chi sosteneva che l’imposta avrebbe costretto il Tesoro ad aumentare i tassi d’interesse, dato che i risparmiatori avrebbero guardato all’interesse netto, non lordo (i privati sono “nettisti”); quindi il tutto si sarebbe risolto in una partita di giro. Si obiettava che gli interessi percepiti dalle società (banche innanzitutto) erano già tassati (per loro la cedolare è d’acconto), e che quindi un aumento del rendimento lordo implicava un aumento del netto. Pertanto, la loro domanda sarebbe aumentata, riducendo quindi l’aumento dei tassi (le società sono “lordiste”), la partita di giro sarebbe stata solo parziale e il costo netto sarebbe diminuito. In effetti questo è quello che è accaduto.

Oggi le famiglie detengono meno del 10% del debito pubblico. Le banche quasi la metà. Un aumento del rendimento lordo porterebbe quindi ad una diminuzione di domanda da parte delle famiglie ed un aumento da parte delle banche. Vi sarebbe un guadagno netto per quest’ultime, ed una perdita per le prime, ed una diminuzione (netta) del costo del debito pubblico. Inserita in una manovra più complessiva di sostegno dei redditi familiari, per evitare che appaia un “furto alle vecchiette”, questa misura può, dunque, essere opportuna.

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