Sull’erosione della formazione e della ricerca pubblica

Giovanni Dosi e Maria Enrica Virgillito, mentre al Parlamento è in discussione la Legge di Bilancio 2016 e si discute delle università improduttive e baronali, propongono una valutazione dello stato del sistema universitario italiano, basandosi sul rapporto ANVUR del 2016. Gli autori segnalano, in particolare, che, in un quadro di definanziamento generalizzato, non sembra profilarsi un piano ordinario in grado di determinare un’inversione di tendenza e di limitare il rischio di uno snaturamento del ruolo dell’Università.

Nel pieno della discussione parlamentare sulla Legge di Bilancio Previsionale 2017 e mentre prosegue il dibattito sulle università improduttive e baronali, crogiuolo di favori e nepotismi, in questo articolo tentiamo di valutare lo stato attuale del sistema universitario italiano, alla luce degli andamenti di medio periodo che emergono dal rapporto ANVUR 2016. Tuttavia, prima di guardare alla recente dinamica storica, è bene soffermarsi su alcuni contenuti della Legge di Bilancio Previsionale che interessano l’Università e la Ricerca.

Anche se il provvedimento è ancora in fase di valutazione in Parlamento, complessivamente, il fil rouge che caratterizza la retorica del provvedimento legislativo – come sottolineato nell’articolo di Viesti in questo numero del Menabò – è l’individuazione ex-ante di un supposto corpo meritevole di trasferimenti e incentivi, in primis l’Human Technopole o i 500 super-professori “Natta”.

Nello specifico su Università e Ricerca, nel disegno di legge non sembrano esservi sforzi sostanziali volti a rifinanziare il sistema universitario nel suo complesso, che ormai da troppi anni versa in una condizione preoccupante.

Tra gli articoli che prevedono un nuovo stanziamento per l’Università e la Ricerca vanno ricordati:

– il numero 36 “Norme sulla contribuzione studentesca” in cui vengono esonerati dal pagamento del contributo annuale onnicomprensivo gli studenti che soddisfino allo stesso tempo tre requisiti: a) ISEE inferiore a 13.000 euro, b) siano iscritti a dei corsi di laurea o laurea magistrale da un numero di anni inferiore o uguale alla durata del corso, c) abbiano conseguito 10 crediti formativi (CFU) se iscritti al secondo anno o almeno 25 CFU se agli anni successivi. E’ inoltre previsto un aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) di 40 milioni nel 2017 e 85 milioni nel 2018 ripartiti alle università statali sulla base della quota di studenti esonerati dal contributo;

– il numero 41 “Finanziamento e semplificazione delle attività di ricerca” in cui sono previsti 45 milioni per il finanziamento dell’attività di ricerca del 20% dei professori associati e del 60% dei ricercatori, a decorrere dal 2017, individuati secondo criteri di produttività scientifica;

– il numero 43 “Fondo per il finanziamento dei dipartimenti universitari di eccellenza” in cui è previsto lo stanziamento di 271 milioni a partire dal 2018 volti al finanziamento quinquennale di 180 dipartimenti di eccellenza delle università statali (con un finanziamento annuo di circa 1.5 milioni per ciascuno dei dipartimenti “eccellenti”);

Dall’analisi della nota integrativa al disegno di legge si evince che le variazioni del finanziamento totale a Università e Ricerca sono assolutamente marginali. E’ vero che la Ministra Giannini si è impegnata a distribuire il tesoretto precedentemente destinato all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) alla ricerca di base, tuttavia non vi è traccia di tale impegno nel disegno di legge.

Dati i presenti stanziamenti, risulta interessante esaminare l’andamento di medio periodo dei finanziamenti all’Università.

La figura 1 illustra la dinamica delle entrate dell’Università negli ultimi quindici anni, dal 2000 al 2015. Si consideri l’andamento dell’FFO (linea azzurra): dopo aver raggiunto un plateau nel periodo compreso tra il 2005 e il 2009, intorno agli 8 miliardi di euro annui, ha iniziato a contrarsi. Dagli 8 miliardi del 2009, si è scesi a i circa 7,1 del 2016 (previsionale): una riduzione di circa 900 milioni in 7 anni. Si noti che tale caduta è ben più marcata di quella delle entrate contributive che non registrano mai livelli inferiori a quelli del 2000.

Figura 1: Andamento delle entrate universitarie (prezzi 2014, numeri indici 2000=100). Fonte: Rapporto Anvur 2016.

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In base alla spesa per istruzione universitaria (sia pubblica che privata) nel 2012 l’Italia occupava il terzultimo posto tra i paesi OCSE, come si evince dalla Figura 2. Peraltro, la bassa spesa (sia pubblica che privata), contrariamente al luogo comune che considera come quasi gratuita la frequenza all’Università pubblica, si accompagna a un’alta tassazione degli iscritti(Figura 3): la contribuzione universitaria risulta essere particolarmente elevata, come si legge dall’asse verticale, a fronte di una bassa copertura di borse di studio (asse orizzontale). L’importo medio delle tasse universitarie è di 1500 euro mentre la quota di studenti riceventi una forma di sostegno economico è inferiore al 25%. Basti pensare che nella vicina Francia più del 30% degli studenti riceve qualche forma di sostegno economico, con una media di contribuzione prossima allo zero. In generale, siamo il paese che, a parità di tassazione degli iscritti, è in grado di offrire il minor contributo di sostegno allo studio tra quelli presi in considerazione dal rapporto OCSE-Education at a Glance 2015.

Figura 2: Spesa per le istituzioni educative terziarie in percentuale del PIL per fonte di finanziamento. Anno 2012. Fonte: Rapporto Anvur 2016

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Figura 3: Contribuzione media nelle Università pubbliche su quota studenti che ricevono sostegno economico (a.a. 2013/2014). Fonte: Rapporto Anvur 2016

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Consideriamo ora la dinamica: durante gli anni della crisi, caratterizzati in molti paesi dalla contrazione della spesa pubblica, il comparto Università e Ricerca in Italia è stato tra quelli che hanno subito i tagli maggiori. Come illustrato in Figura 4, a fronte di una contrazione media OCSE dell’1,5% della quota del PIL destinata in spesa per istruzione terziaria, l’Italia ha registrato una caduta del 6,8%, agli antipodi rispetto all’espansione che, seppur in fase di contrazione del bilancio pubblico, si è avuta in molti altri paesi, europei e non.

Figura 4: Variazione percentuale 2012/2008 della quota PIL destinata alla spesa per le istituzioni educative terziarie. Fonte: Rapporto Anvur 2016

fig-4-1La contrazione dei finanziamenti all’Università e alla Ricerca ha avuto effetti a molteplici livelli.

La Figura 5 mostra il numero di posti di dottorati banditi dal 2006 al 2016, che registra una drammatica riduzione del 45% in dieci anni.

Figura 5: Posti di dottorato banditi a concorso. Anno 2006/2016. Fonte: VI Indagine ADI rielaborata sul Rapporto Anvur 2016

fig-5-1Consideriamo ora la dinamica del numero di docenti universitari e del rapporto studente/docente, come illustrato in Figura 6: a partire dal 2008, soltanto la presenza di docenti non di ruolo garantisce il mantenimento della stabilità di tale rapporto, che altrimenti esploderebbe (si consideri la linea arancione).

Figura 6: Evoluzione del numero di docenti in rapporto agli studenti. Anni 1988/2015. Fonte: Rapporto Anvur 2016

fig-6-1L’unica figura professionale che nell’ultimo decennio ha registrato un incremento sostanziale è quella dell’assegnista di ricerca, peraltro anch’essi in contrazione negli anni più recenti: degli attuali circa 12000 assegnisti, ridottisi di quasi 4000 unità dal 2013, l’Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca italiana (ADI) stima che, ai tassi di assorbimento attuali, soltanto il 6.5% di questi riuscirà ad ottenere una posizione a tempo indeterminato, pur a fronte di 1800 pensionamenti l’anno.

Infine, il finanziamento alla ricerca di base si è praticamente azzerato. Per fornire un ordine di grandezza, basti notare che il finanziamento triennale del Programma di Ricerca di Interesse Nazionale (PRIN) è equivalente al prezzo pagato quest’anno dalla Juventus per l’acquisto del solo Higuain! Per un serio programma di finanziamento della ricerca occorrerebbe invece la formazione di un’Agenzia per la Ricerca come da tempo va sostenendo il Gruppo 2003, ma di questa non si fa menzione a nessun livello operativo.

Dentro questo quadro di definanziamento complessivo non sembra profilarsi un piano ordinario che avvii un’inversione di tendenza. Al contrario, come segnalato anche da Viesti , le poche iniziative “espansive” avvengono seguendo procedure foriere di uno snaturamento del ruolo dell’Università. Infatti, iniziative come le cattedre Natta e lo Human Technopole scavalcano i canali di valutazione e finanziamento, svuotando di ruolo e svilendo il tessuto universitario italiano. A tutto ciò si aggiunge una retorica del merito e dell’eccellenza che non trova riscontro negli effettivi processi di valutazione. Per esempio, l’IIT di Genova, finanziato da proventi pubblici, non è sottoposto a valutazione della qualità della ricerca (VQR); analogamente, i potenziali vincitori delle Cattedre Natta non saranno sottoposti alle usuali procedure di abilitazione scientifica nazionale o di approvazione da parte del CUN (come avviene per le chiamate dirette). Il fondato sospetto è che queste politiche non siano volte a promuovere l’eccellenza ma a rafforzare canali di reclutamento preferenziali, in cui si è riconosciuti “eccellenti” per vari tipi di appartenenze e non per autentico merito scientifico. Ed il sospetto è aggravato da meccanismi di formazione delle commissioni di reclutamento di diretta o indiretta nomina politica.

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