Ruolo e funzioni del Senato nella Riforma Costituzionale

Luigi Salvia esamina le principali modifiche nelle funzioni e nel ruolo del Senato introdotte nella riforma costituzionale sottoposta a referendum. Salvia si sofferma soprattutto sulle modifiche tese a trasformare il Senato in una camera rappresentativa delle Regioni e delle Istituzioni locali e sul mutamento dello status dei senatori, non più direttamente eletti dal popolo, ridotti nel numero e privati dell’indennità, evidenziando alcuni problemi interpretativi e sollevando dubbi sull’efficacia pratica delle norme.

Il superamento del bicameralismo paritario è senza dubbio uno degli obiettivi principali della riforma costituzionale, ritenuto necessario per la realizzazione di uno snellimento ed ammodernamento delle istituzioni ed un risparmio dei costi legati ad esse. Con la revisione si mira a  mutare radicalmente il ruolo del Senato, andando ad incidere profondamente sulla natura del bicameralismo che ha da sempre connotato la tradizione costituzionale italiana, attraverso la modifica delle funzioni, della composizione e del meccanismo di elezione della seconda camera.

Considerando in primo luogo il mutamento del suo ruolo istituzionale, deve subito evidenziarsi come il Senato, in caso di definitiva approvazione referendaria della riforma, sarebbe slegato dal Governo e non più in grado di esercitare alcuna funzione di indirizzo nei suoi confronti, in quanto estromesso dal rapporto di fiducia, che opererebbe esclusivamente tra Governo e Camera dei Deputati.

I senatori non sarebbero più definiti come rappresentanti della Nazione, al pari dei deputati, ma si porrebbero come rappresentanti delle autonomie locali; le camere, per effetto della riforma, risulterebbero dunque differenziate non solo nei poteri, ma prima ancora nella legittimazione, che per quanto riguarda il Senato non dovrebbe più essere politica ma «istituzionale» (Dickmann R., Appunti sul ruolo del Senato nel nuovo Parlamento repubblicano, in federalismi.it, 2016, 2), nel senso di dover rispondere non tanto agli elettori quanto agli enti territoriali, in particolare ai Consigli regionali a cui sarà affidata l’elezione dei suoi componenti. Ciò nonostante, l’istituzione dovrebbe conservare la denominazione di «Senato della Repubblica», ed i senatori non sarebbero legati da vincoli di mandato relativi all’appartenenza territoriale, circostanza che può fare quantomeno dubitare della sussistenza di una responsabilità politica anche di fronte alle istituzioni territoriali.

Le funzioni delle Camere, a differenza del testo costituzionale ante riforma, verrebbero enumerate ed esplicitate. La Camera dei Deputati conserverebbe le funzioni legislativa, di indirizzo politico e di controllo sul Governo. Il Senato dovrebbe invece essere titolare di una serie di nuove competenze, alcune in via esclusiva, altre in concorso con la Camera dei Deputati. In primo luogo ad esso sarebbero affidate funzioni di rappresentanza delle istituzioni territoriali e di raccordo tra lo Stato e gli altri enti costitutivi della Repubblica. Tali competenze sarebbero attribuite in via esclusiva, insieme alla valutazione delle politiche pubbliche e dell’attività delle pubbliche amministrazioni e alla verifica dell’impatto delle politiche dell’Unione europea sui territori. Come può notarsi, le competenze «esclusive» del Senato risultano sempre legate al suo ruolo di rappresentanza delle istituzioni locali, al fine di farne un luogo di confronto tra lo Stato, le Regioni e le altre autonomie (v. Rossi E., Una costituzione migliore?, Pisa, 2016, 75).

Sarebbero inoltre previste alcune rilevanti competenze concorrenti (funzione legislativa “esercitata collettivamente” dalle due Camere) – in materie a volte di cruciale importanza, come le leggi di revisione costituzionale o quelle di adeguamento dell’ordinamento al diritto comunitario – inoltre il Senato dovrebbe concorrere «all’esercizio delle funzioni di raccordo tra lo Stato, gli altri enti costitutivi della Repubblica e l’Unione europea» e «ad esprimere pareri sulle nomine di competenza del Governo nei casi previsti dalla legge e a verificare l’attuazione delle leggi dello Stato», nonché partecipare «alle decisioni dirette alla formazione e all’attuazione degli atti normativi e delle politiche dell’Unione europea».

Specifiche considerazioni merita la funzione di valutazione delle politiche pubbliche, che rappresenterebbe una novità da molti auspicata nel nostro ordinamento, sull’esempio di quanto accade in altri paesi europei, al fine di istituzionalizzare una forma di controllo dell’operato degli organi costituzionali, sempre nell’ottica di una maggiore efficienza del sistema istituzionale.

Oltre ai compiti ed alle funzioni, anche la composizione e l’organizzazione del Senato verrebbero radicalmente modificate. In primo luogo i Senatori non sarebbero più eletti a suffragio universale e diretto, ma secondo un meccanismo di elezione «indiretta»; saranno, infatti, i Consigli regionali ad eleggere i nuovi Senatori, scegliendoli tra i membri degli stessi Consigli, in numero proporzionale alla popolazione delle singole Regioni, ma comunque non inferiore a due, ed i Sindaci, in misura di uno per Regione. L’art. 57 pone una ulteriore complicazione quando prescrive che i Senatori devono essere eletti, da parte dei Consigli Regionali, «in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi». La disposizione da un lato non pare coerente con l’impianto di camera non politica che si vorrebbe conferire al nuovo Senato, d’altro canto rinvia ad una legge statale le definizione di questi criteri, legge che tuttavia potrebbe porsi in contrasto con la potestà legislativa in materia di legge elettorale regionale che l’art. 122 Cost.(non modificato in parte qua) attribuisce alle singole Regioni e non allo Stato (Rossi E., op. cit., 44).

Inoltre sarebbe ridotto il numero, da 315 a 100 – più precisamente, 95 più 5 membri c.d. “eventuali” nominati dal presidente della Repubblica che, in quanto svincolati dalle istituzioni locali, avrebbero trovato una più adeguata collocazione all’interno della Camera dei Deputati che rimane l’unica camera politica  – ed eliminata l’indennità parlamentare per i senatori, che dovranno svolgere l’impegno a titolo gratuito, contando esclusivamente sull’indennità percepita come corrispettivo per la carica locale. Per quanto concerne lo status di parlamentari, continua invece ad applicarsi anche ai senatori il regime di immunità relativo alle opinioni espresse ed i voti dati nell’esercizio delle loro funzioni – anche se la già difficoltosa individuazione delle attività strettamente inerenti le funzioni del parlamentare verrebbero accentuate dal fatto che lo stesso soggetto svolge una funzione «primaria», di senatore, e una funzione «secondaria», di sindaco o consigliere regionale – così come resta necessaria l’autorizzazione della camera di appartenenza per sottoporre i senatori a limitazioni della libertà personale ed intercettazioni telefoniche. Deve inoltre darsi conto del fatto che i senatori si troverebbero a svolgere contemporaneamente l’incarico nazionale e quelli che rivestono nelle istituzioni locali, e che il testo costituzionale novellato non esclude, in principio, che anche soggetti aventi incarichi di governo locale (membri o Presidenti della Giunta Regionale) possano entrare a far parte del Senato, salvo rimandare al regolamento interno la definizione di possibili limitazioni per detti soggetti. Per il nuovo Senato non potrebbe più parlarsi tecnicamente di legislature, in quanto la successione tra senatori avverrebbe secondo un meccanismo di rinnovo «continuo», collegato automaticamente al venir meno dei singoli senatori dalle loro cariche negli enti territoriali, anche se la formulazione della norma, che ricollega la durata del mandato dei senatori a quella delle istituzioni territoriali che li hanno eletti, desta qualche incertezza per quanto riguarda i Sindaci, (cfr. Rossi E., op. cit.,56). Le sostituzioni sarebbero pertanto regolate automaticamente al rinnovo dei singoli Consigli regionali o, in caso di decadenza non dovuta a scadenza naturale del mandato, nelle modalità che saranno stabilite dalla legge ordinaria.

Dalle disposizioni che si sono riassunte emergono i tratti di un Senato che, seppure formalmente rappresentativo delle istituzioni locali e non più collegato in alcun modo al corpo elettorale, né davanti ad esso responsabile, rischia comunque di trasformarsi in una seconda camera «politica», data la forte probabilità dei senatori di agire come rappresentanti delle forze politiche di maggioranza nelle rispettive Regioni, soprattutto in applicazione del comma dell’art. 57, nel momento in cui si impone, nella scelta dei senatori, di tenere in considerazione le opinioni espresse dagli elettori.

Un ulteriore sintomo di una celata «politicità» che potrebbe caratterizzare il nuovo Senato riguarda l’assenza del vincolo di mandato, che resta invariato rispetto al vigente regime, per cui non si condizionerebbe, come avviene in altri modelli che prevedono delle «camere delle autonomie» ed in particolare nel Bundesrat tedesco (Calamo Specchia M., Un’analisi comparata del nuovo senato della repubblica disciplinato dalla legge costituzionale: verso quale bicameralismo?, in Rivista AIC, 2016, 9), il voto del singolo senatore all’appartenenza territoriale o ad altri criteri. Tale assenza di vincolo contribuirebbe a rendere probabile la formazione di maggioranze politico/partitiche anche all’interno del Senato, con esiti assolutamente imprevedibili, dato il rinnovo parziale dei componenti, e con ripercussioni decisive in particolar modo nelle materie su cui sarà necessario legiferare con procedimento bicamerale.

Va anche ricordata la modifica del regime dei c.d. «senatori a vita», per cui nel nuovo Senato potranno sedere non più di cinque senatori eventualmente eletti dal Presidente della Repubblica, per meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario, che resterebbero in carica per sette anni, mentre i Presidenti emeriti della Repubblica continuerebbero a far parte automaticamente del Senato alla scadenza del mandato presidenziale, con carica vitalizia (art. 59). Sembrano dunque potersi isolare diverse categorie di senatori, portatrici ognuna di interessi sensibilmente diversi anche dal punto di vista dell’appartenenza territoriale: da un lato i consiglieri regionali, la maggioranza, dall’altro i sindaci, in minoranza e portatori di istanze localistiche, ed infine i cinque senatori eletti dal Presidente della Repubblica, con rappresentatività in un certo senso «nazionale», il cui ruolo rimane incerto all’interno di un «Senato delle autonomie».

Il modello che risulta dalla riforma pare dunque superare definitivamente il bicameralismo paritario, attraverso la creazione di un Senato che dovrebbe essere privo di funzioni politiche, rappresentativo degli enti locali e responsabile di fronte ad essi piuttosto che di fronte agli elettori. Non può tacersi tuttavia qualche incoerenza e difficoltà interpretativa nell’applicazione concreta della disciplina, oltre che alcune perplessità in ordine alla effettiva capacità pratica dei senatori di svolgere appieno le numerose funzioni, andandosi queste a cumulare con quelle dovute in virtù del ruolo politico/istituzionale locale.

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