Riformare l’istruzione: un breve sguardo all’esperienza dei paesi OCSE

Elisabetta Segre illustra i principali risultati di un Rapporto dell’OCSE sulle riforme della scuola introdotte di recente nei 34 paesi aderenti all’OCSE. Segre classifica le riforme in base a tre macro-obiettivi: miglioramento dell’equità e dei risultati, miglioramento della qualità e governance del sistema, e nel suo commento sottolinea, in particolare, che in Italia, a differenza di altri paesi, sono mancate misure in grado di limitare l’impatto del contesto di origine sulla mobilità sociale; un difetto che la riforma in discussione non sembra in grado di correggere.

A partire dal 2000 il sistema di istruzione italiano è stato a più riprese (Riforma Moratti del 2003, interventi del Ministro Fioroni tra il 2006 e il 2007, Riforma Gelmini del 2008 e in questi giorni il ddl “La buona scuola”) oggetto di tentativi di cambiamento, modernizzazione, restaurazione, ridimensionamento. In questi giorni il disegno di legge (come risulta dagli articoli di  Stefania Gabriele e Carmela Salazar  in questo stesso numero del Menabò) sta proseguendo senza particolare intoppi il suo iter parlamentare mentre nel paese proseguono le proteste e l’anno scolastico è vicino alla conclusione.

In questo clima è utile chiedersi  cosa succede fuori dai nostri confini nel mondo dell’istruzione, quali sono le sfide e le soluzioni adottate in altri paesi. Per rispondere a queste domande è di grande aiuto il Rapporto  che l’Ocse ha recentemente pubblicato (Education Policy Outlook – Making Reforms Happen, 2015), in cui, tra le altre cose, si passano in rassegna tutti gli interventi di riforma dei sistemi di istruzione attuati nei 34 paesi membri dell’organizzazione tra il 2008 e il 2012. Il rapporto parte da un’analisi delle sfide che tutti i paesi devono in qualche modo affrontare: i cambiamenti demografici della popolazione con un numero di studenti provenienti da background migratori sempre più consistente, i cambiamenti in atto in un mercato del lavoro che si deve adattare alle regole della globalizzazione e i cambiamenti in ambito sociale con l’avvento della digital era. In questo scenario si riconosce il ruolo centrale assegnato alla scuola: equipaggiare le giovani generazioni con strumenti che consentano loro di affrontare queste sfide e di non precipitare piuttosto in una spirale di esclusione sociale dannosa per il singolo, l’economia e l’intera società. Il Rapporto prosegue con un’analisi dei contesti in termini di governance del settore, di risultati nello sviluppo delle competenze degli studenti, di tassi di istruzione e occupabilità sul mercato del lavoro, di rendimenti privati e pubblici. Infine, si passa ad una rassegna ragionata delle politiche realizzate o in via di realizzazione nei diversi paesi. Si tratta, ovviamente, di una grande massa di informazioni. Per potersi fare un’idea anche solo impressionistica, si è deciso di riclassificare gli interventi realizzati sulla base di uno schema analitico organizzato a partire da tre macro-obiettivi: miglioramento dell’equità e dei risultati, miglioramento della qualità e governance del sistema (si veda la Tab. 1). Questi macro obiettivi possono essere a loro volta declinati in una serie di misure ed interventi.

Miglioramento dell’equità e dei risultati. Questa è certamente l’area più vasta di intervento. Migliorare l’equità significa garantire che tutti, a prescindere dal contesto sociale o familiare di provenienza, possano ottenere il massimo dei risultati che le capacità di ogni singolo consentono, mentre miglioramento dei risultati allude alla necessità che tutti raggiungano un minimo livello ritenuto essenziale per un positivo inserimento nelle dinamiche sociali, economiche e occupazionali. Inoltre, nell’ottica che vede l’istruzione come un momento di formazione necessario per un miglior inserimento nel mercato del lavoro e quindi per migliori prospettive future, migliorare i risultati significa anche realizzare delle politiche che preparino gli studenti ai livelli più alti del percorso educativo e/o al mercato del lavoro. Complessivamente, oltre il 55% dei 187 interventi censiti in questo rapporto possono essere riconducibili a questo obiettivo che può essere a sua volta scomposto in almeno 4 aree: riduzione dell’impatto del contesto, miglioramento dei tassi di istruzione, interventi per un migliore inserimento nel mercato del lavoro e interventi nel sistema universitario.

                      Tabella 1 – Provvedimenti di riforma dell’istruzione per tipologia e per paese, 2008-12
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Nella prima area si concentrano la maggior parte degli interventi riconducibili a questo obiettivo (39 su 104, 37,5%): si contano 17 paesi che hanno adottato misure volte ad incentivare la pre-scolarizzazione, 13 paesi hanno realizzato interventi volti a creare una maggior interazione tra la scuola, la comunità, i genitori e le famiglie e 9 paesi hanno optato per finanziamenti e/o interventi mirati verso scuole e/o studenti inseriti in contesti difficili. Nella seconda area si individuano interventi per la riduzione dei tassi di abbandono e dispersione (11 paesi) e programmi di seconda opportunità per coloro che abbiano abbandonato gli studi senza ottenere un diploma (3 paesi). La terza area è caratterizzata da un ampio numero di interventi (37, 35,6% degli interventi nell’area) distribuiti tra programmi per il miglioramento dei percorsi vocazionali (18 paesi), revisione dei programmi curriculari e delle qualifiche (16 paesi), incentivi al passaggio a percorsi universitari di breve durata (3 paesi). Infine, per quanto riguarda specificamente l’istruzione terziaria, 7 paesi hanno adottato programmi di incentivo all’iscrizione in particolare attraverso la riduzione dei costi per fasce di merito e reddito,  5 paesi hanno adottato schemi specifici per l’internazionalizzazione degli studi e 2 paesi hanno investito nel rafforzamento dei programmi di ricerca.

Miglioramento delle qualità. In questo ambito si riconducono tutte le politiche che abbiano come obiettivo quello di creare le condizioni per un insegnamento e un apprendimento di qualità. La gran parte di queste hanno a che fare con la valutazione, da un lato, e il personale docente dall’altro. Oltre il 33% del totale degli interventi sono direttamente riconducibili a questo obiettivo. Lo strumento maggiormente adottato è quello di miglioramento degli standard professionali docenti e il rafforzamento dei programmi di formazione e training professionali (21 paesi), mentre 5 paesi hanno investito specificamente nel rendere più appetibile sul mercato del lavoro la professione di insegnante. Molti paesi hanno adottato schemi per la valutazione dell’apprendimento degli studenti (14 paesi), delle istituzioni scolastiche (13 paesi) e delle istituzioni universitarie (4 paesi). In 5 paesi si sono adottate misure specifiche, dal vago sentore di teaching to test, per migliorare i risultati degli studenti nei processi di valutazione. Tranne che per la valutazione delle istituzioni universitarie, in nessun paese si programma di condizionare i finanziamenti ai risultati nella valutazione.

Governance scolastica. In questa area, dai confini estremamente opachi, si è deciso di raggruppare tutti i programmi relativi all’autonomia scolastica su curriculum e valutazione (6 paesi), sulle risorse e quindi anche possibilità da parte di selezionare ed eventualmente licenziare il personale docente (5 paesi). 10 paesi poi sono intervenuti nello specifico per rafforzare, in particolare da punto di vista della preparazione professionale ma anche dei poteri a disposizione, la figura del preside.

Complessivamente i paesi che hanno realizzato il maggior numero di riforme sono la Germania e il Regno Unito per i quali si contano 9 interventi. La Germania si è concentrata in particolare sulle misure per la riduzione dell’impatto del contesto (3 interventi, il valore più alto) e nell’area qualità (3 interventi), ci sono poi 2 riforme nell’area transizione al mercato del lavoro e una per il miglioramento dei tassi di istruzione. Il Regno Unito ha realizzato ben 4 misure nell’area qualità (come Svezia e Norvegia), 2 in quella della governance e in quella della riduzione dell’impatto del contesto e 1 in quella della transizione al mercato del lavoro. Dall’altro lato della scala troviamo la Slovacchia con solo 2 interventi e tutti concentrati nell’area qualità. In media i paesi Ocse hanno realizzato tra le 5 e le 6 riforme e l’Italia si colloca nella media: 5 interventi concentrati nelle aree transizione al mercato del lavoro, governance qualità. Ovviamente il Rapporto, guardando a quanto accaduto tra il 2008 e il 2012, non tiene conto della Riforma in corso di approvazione, che sembrerebbe comunque concentrarsi sui temi della governance (autonomia scolastica) e della qualità (reclutamento, formazione e remunerazione degli insegnanti). Inoltre, vale forse la pena di osservare come per il nostro Paese non siano state realizzate riforme volte specificamente a contrastare l’effetto del contesto sui risultati , che in Italia è più forte che altrove, e non sembra che la Buona Scuola contenga misure a riguardo. Una constatazione che non fa altro che confermare il dubbio che il tema delle diseguaglianze e della mobilità sociale che non siano considerati prioritari né tantomeno bisognosi di intervento.

Un ultima osservazione per chiudere, sono rari i casi in cui si preveda esplicitamente la programmazione di forme di valutazione di impatto delle politiche adottate o in cui faccia riferimento a politiche data-driven e/o alla necessità di raccogliere e organizzare dati con lo scopo di disegnare meglio gli interventi. Sembrerebbe quasi che certe decisioni siano prese, altrove come nel nostro Paese, sulla scia di “mode del momento” ancora più legittimate se promosse da organizzazioni autorevoli come l’Ocse. Questa sensazione si consolida nella banale osservazione di come contesti notevolmente diversi abbiano tutti invariabilmente condotto a scelte complessivamente molto simili tra loro.

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