Quer pasticciaccio brutto su l’ISEE

Ugo Trivellato esamina le argomentazioni con le quali il Consiglio di Stato, nel febbraio scorso, ha annullato alcune disposizioni del decreto sull’isee. Secondo Trivellato si tratta di argomentazioni fragili e l’esito delle sentenze sarà di danneggiare proprio i nuclei familiari con disabili, per i quali i ricorsi contro l’isee erano stati presentati. Trivellato sostiene che con l’annullamento si è creato un vuoto legislativo che rende necessaria una revisione non marginale dell’isee, per realizzare la quale occorreranno tempi molto lunghi.

Il 29 febbraio scorso tre sentenze del Consiglio di Stato (nel seguito CdS) hanno confermato le parallele decisioni del TAR del Lazio, che un anno prima aveva accolto in parte i ricorsi di qualche associazione per la tutela delle persone disabili. Hanno così annullato in via definitiva alcune disposizioni dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), il nuovo metro unificato per determinare la condizione economica di quanti richiedano prestazioni sociali agevolate, operativo da gennaio 2015.

Quali sono le disposizioni annullate? Per quali ragioni? Con quali conseguenze? Questi gli interrogativo ai quali rispondere. In via preliminare, non posso tuttavia tacere una constatazione.

Un intervento che lascia sconcertati. È almeno paradossale che sull’isee il CdS si sia pronunciato in maniera opposta: prima dando il prescritto parere – favorevole – sullo schema di decreto; poi annullandone alcune disposizioni una volta emanato. Certo, nel primo caso si è espresso in sede consultiva, nel secondo in sede giurisdizionale. Ma è distinzione che sa di causidico. Si tratta dello stesso testo, vagliato dallo stesso organo, su un’innovazione di rilievo per il cammino del welfare italiano che ha richiesto oltre tre anni di impegno e fatica e che viene ora messa in scacco. Che dire? Sugli ostacoli, gravi e incongrui, che la ‘macchina dello stato’ frappone alla riformabilità del nostro welfare, in generale a meditati processi di cambiamento, si impone una seria riflessione.

Perché mai? Le enigmatiche ragioni del pronunciamento del Consiglio di Stato. Per vagliare le ragioni delle decisioni del CdS serve innanzitutto tenere presenti i criteri direttivi fissati dal decreto-legge ‘Salva Italia’ per la riforma del precedente Indicatore (nel seguito, il vecchio isee); criteri dei quali il CdS non mette in discussione la legittimità. Se ne avesse dubitato, infatti, avrebbe dovuto sollevare la questione dinanzi alla Corte Costituzionale.

In tema di persone con disabilità, il decreto sull’isee comincia col classificarle in tre categorie: «con disabilità media, grave o non autosufficienti», con tutta evidenza per far fronte alla frammentazione delle categorie e alla disparità dei trattamenti stratificatisi nel nostro welfare. Detta quindi le norme, innovative, per la determinazione dell’Indicatore della see, in particolare della situazione reddituale (si veda la Scheda di Pagliani in questo numero del Menabò).

Le principali disposizioni in materia risultano vanificate dalle decisioni del CdS. Due sono annullate direttamente:

  1. l’inclusione nel reddito disponibile individuale di pensioni e indennità, in generale di trattamenti assistenziali;

  2. la sottrazione dal reddito del nucleo familiare di franchigie;

  3. una terza, riguardante le persone non autosufficienti, la sottrazione dal reddito del nucleo familiare delle spese per domestici e badanti – oppure per la retta alberghiera in strutture residenziali – «nel limite dell’ammontare dei trattamenti [assistenziali]», è vanificata indirettamente, come conseguenza dell’annullamento della (a1).

Non è facile districarsi tra le argomentazioni che il CdS, e prima il TAR del Lazio, portano a sostegno delle decisioni assunte. Esse appaiono comunque fragili o tout court errate. Eccone, in breve, i motivi.

Il primo. Il reddito disponibile – inteso come il flusso di risorse economiche correnti che viene a disposizione di un dato soggetto in un dato periodo di tempo, inclusi i trasferimenti dalla pubblica amministrazione – è nozione chiara, pacifica. Lo è in economia. Lo è anche nella legislazione comunitaria sul sec, il Sistema Europeo dei Conti, adottato in tutti i paesi dell’UE. Ed è, appunto, la nozione richiamata come criterio direttivo nel ‘Salva Italia’ e accolta nell’isee.

Stupisce che il CdS lo ignori e, per annullarla, ricorra ad argomentazioni improbabili, del tipo: «Se di indennità si tratta (com’è, p. es., l’indennità di accompagnamento), non rientrano nella definizione di reddito – entrata [NdA: inedito termine che il CdS usa come sinonimo di reddito disponibile]. Per vero, difetta un valore aggiunto, ossia la remunerazione d’uno o più fattori produttivi (lavoro, terra, capitale, ecc.).».

Il secondo. Il CdS nega che le disposizioni sulla determinazione della situazione reddituale debbano essere considerate contemporaneamente, nel senso che «l’estensione della nozione di ‘reddito disponibile’ sarebbe in qualche modo temperata o bilanciata dall’introduzione di deduzioni e detrazioni». Ora, è vero il contrario: i due tipi di disposizioni non possono essere vagliati separatamente. Innanzitutto perché per la persona disabile, in generale per chiunque richieda prestazioni sociali agevolate, ciò che conta è il valore dell’isee, il quale si determina come combinazione dell’insieme di elementi che vi concorrono, tra i quali il reddito familiare complessivo (+) e l’insieme delle deduzioni e franchigie (–). Inoltre, perché giudicare singoli elementi dell’isee porterebbe a contraddirne un criterio direttivo: dall’ISEE «non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Detto altrimenti, quel che è richiesto all’isee è avere effetti distributivi nella direzione di una maggiore equità rispetto al vecchio isee, mantenendo inalterata la spesa pubblica per il welfare. Ogni intervento ristretto a un solo elemento (salvo fosse congegnato in modo da avere un effetto totale nullo) violerebbe tale criterio.

Importa aggiungere che queste considerazioni assumono particolare rilievo rispetto alla motivata ‘battaglia’ da tempo sostenuta dalle associazioni per la tutela delle persone con disabilità sul carattere risarcitorio dei trasferimenti assistenziali. Il senso di tale impegno era, ed è, di tenere conto dei peculiari bisogni, e costi, della disabilità; che questo obiettivo si raggiunga escludendo i trasferimenti assistenziali dal reddito oppure compensandone l’inclusione con franchigie e deduzioni è questione nominalistica; se poi queste ultime sono di massima superiori ai trasferimenti, ostinarsi nella sola difesa del carattere risarcitorio dei trasferimenti può portare – anzi ha portato, come risulterà nel seguito – a un esito contraddittorio: sostenere un Indicatore della see che peggiora la situazione dei nuclei con persone con disabilità.

Il terzo. L’annullamento delle franchigie, motivato con l’«indistinta differenziazione tra disabili maggiorenni e minorenni» – ad es., per le persone autosufficienti rispettivamente 7.000 e 9.500 € -, dovrebbe confrontarsi con un altro dei criteri direttivi dettati per l’isee: tenere «conto dei pesi dei carichi familiari, in particolare dei figli successivi al secondo e di persone disabili a carico». Quando sussistano entrambe le condizioni, cioè nella situazione particolarmente gravosa di persone minorenni con disabilità, è problematico capire perché sia illegittimo che l’isee stabilisca un parametro di favore – una franchigia più elevata – rispetto ai portatori di disabilità maggiorenni.

La sostanza della questione. Vengo ora alla questione sostanziale: gli effetti distributivi dell’ISEE. La prima domanda che si pone è: l’ISEE – quello vigente prima del pronunciamento del CdS – ha prodotto una maggiore equità rispetto al vecchio ISEE, in particolare a favore delle persone con disabilità? La risposta c’è già ed è positiva. La si trova nell’accurato monitoraggio avviato dal Ministero del lavoro sull’ISEE, giunto al terzo trimestre 2015. Restando alle conclusioni essenziali, i nuclei familiari che hanno persone con disabilità traggono vantaggio dall’introduzione dell’isee in una percentuale considerevole, più di ogni altro gruppo di richiedenti prestazioni sociali (ad es., i nuclei con minorenni). Inoltre, è questo il solo gruppo per il quale in un caso su due si registra un marcato spostamento verso il basso dell’Indicatore, in sostanza una crescita delle probabilità di accedere al welfare.

Una seconda domanda sorge poi, naturale: se fosse applicato l’‘isee mutilato’ dalle sentenze del CdS, la sua «capacità selettiva» in favore delle persone con disabilità risulterebbe aumentata o diminuita? Anche in questo caso la risposta è chiara. È immediato notare che l’‘isee mutilato’ svantaggia (avvantaggia) i nuclei con persone con disabilità se la somma delle spese per l’assistenza personale e delle franchigie è superiore (inferiore) al totale dei trattamenti assistenziali; in altre parole, usando la notazione delle voci della situazione reddituale utilizzata all’inizio, se [(b) + (c) – a] è positivo (negativo). Basta, dunque, un po’ di semplici conti sul retro di una busta. Essi ci dicono che le sentenze del CdS peggiorano la situazione dei nuclei con persone con disabilità nella grandissima maggioranza dei casi, in molti in misura considerevole. Si comprende, dunque, perché il presidente dell’anfass, una delle principali associazioni che operano a sostegno delle persone con disabilità, in una nota titolata «ISEE, dopo le sentenze il caos?» abbia commentato le sentenze con toni preoccupati, a partire dall’esordio: «Non vorremmo che il tutto si trasformi in una vittoria di Pirro!»

Le conseguenze e i possibili rimedi. Il rischio di procedere con la mera applicazione dell’‘ISEE mutilato’, però, non sussiste. Sì, il CdS afferma, in modo sbrigativo, che per procedere «basta correggere l’art. 4 del [decreto attuativo dell’ISEE] e fare opera di coordinamento testuale». Ma così non è. Le sentenze hanno determinato un vuoto legislativo. Da qui l’interrogativo: «Dopo le sentenze il caos?».

Soluzioni rapide sono problematiche. Ne vedo soltanto una praticabile: ripristinare il vecchio isee per le sole disposizioni riguardanti le persone con disabilità. L’esito è, però, quello già messo in luce: un marcato peggioramento, rispetto all’ISEE, dei nuclei che hanno persone con disabilità. Dunque, è una strada da non imboccare.

Non resta che mettere mano allo strumento di misura nel suo insieme, continuando a rispettare i criteri direttivi della legge-delega, fra i quali il vincolo che la revisione dell’Indicatore deve essere ‘a costo zero’ per la finanza pubblica. Realizzare l’equità distributiva per altra via è possibile, ma non facile. La soluzione sarà forse meno nitida di quella dell’ISEE. Per certo, poi, rivedere l’isee richiederà tempi non brevi, perché alla partecipata riflessione sul merito dovranno seguire una lunga serie di pareri obbligatori e le modifiche del software e degli altri strumenti di gestione. Un lungo periodo di incertezza applicativa, gravoso anche perché le famiglie coinvolte sono molte: direttamente 8-900 con persone con disabilità e indirettamente altri 3,6-3,8 milioni, che hanno presentato la dichiarazione per l’ISEE nel 2015.

L’ISEE che non c’è più aveva parecchi aspetti critici, anche per le famiglie con persone con disabilità (primo fra tutti, l’impossibilità per quelle incapienti di sottrarre le spese sanitarie, mediche e di assistenza specifica). Era importante affrontarli. I pronunciamenti del CdS hanno prodotto un risultato singolare – gettare via il bambino con l’acqua pulita – e imporranno un paio d’anni di stallo perché vi si ponga rimedio.

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