Quali politiche di contrasto alla povertà dei minori?

Chiara Saraceno ricorda che vi sono minori poveri anche in famiglie che percepiscono un reddito da lavoro e sottolinea che molti paesi affrontano questo problema con varie misure: assegni per i figli, sostegno all'occupazione femminile, integrazione di reddito. In Italia queste misure mancano o sono presenti solo in forma parziale e categoriale; ma ciò che più preoccupa è l’assenza di efficaci interventi di contrasto della deprivazione di esperienze educative, di attività di tempo libero e di socialità nella prima infanzia e lungo tutto il processo di crescita.

Avere entrambi i genitori, o l’unico genitore, disoccupati o inoccupati rappresenta il rischio maggiore di povertà per i bambini e ragazzi, in Italia come in altri paesi. Avere almeno un genitore occupato, tuttavia, non è sempre sufficiente a proteggere dalla povertà. La maggioranza dei bambini e ragazzi poveri, in Italia più ancora che altrove, vive in una famiglia in cui c’è almeno un adulto occupato. È quindi l’insufficienza di molti redditi da lavoro, specie se ve ne è uno solo in famiglia, a determinare la povertà di molte famiglie con minori. Può essere la conseguenza di salari in sé troppo bassi, o di uno squilibrio tra un reddito da lavoro modesto e numero dei consumatori famigliari che da esso dipendono. Non a caso, ad essere più a rischio sono i bambini e ragazzi che vivono in famiglie numerose (con tre o più figli), specie se vi è un solo percettore di reddito, oltre a quelli che vivono con un solo genitore, in particolare se l’unico genitore presente e responsabile è la madre, stante la maggiore debolezza delle donne-madri nel mercato del lavoro.

Questa insufficienza di reddito può essere compensata per diverse vie. La più tradizionale, e relativamente efficace, è quella che compensa in parte il costo dei figli tramite trasferimenti diretti (assegni per i figli) e/o indiretti (detrazioni fiscali per i figli a carico, quoziente famigliare). Ovviamente, l’efficacia di questi strumenti dipende dalla loro generosità e dalla misura in cui non producono effetti redistributivi al contrario (come può succedere con le detrazioni fiscali). In Francia, la combinazione di assegni per i figli generosi (a partire dal secondo) e quoziente famigliare tengono fuori dalla povertà una quota significativa di famiglie, e quindi di minori, a reddito altrimenti modesto. Il quoziente famigliare, tuttavia, può avere un effetto di scoraggiamento sulla partecipazione al mercato del lavoro delle madri, con effetti negativi in caso di venir meno dell’unico o principale reddito.

Un’altra via è quella di sostenere la partecipazione al mercato del lavoro delle madri, sia per aumentare i numero di percettori di reddito in famiglia, quindi il reddito complessivo, sia per proteggere le madri e i loro figli in caso di rottura coniugale o vedovanza. Secondo alcune analisi (ad esempio, Marx e Nolan in Reconciling Work and Poverty Reduction, a cura di Cantillon e Vanderbrouke, Oxford University Press, 2014), gran parte del fenomeno dei lavoratori poveri su base familiare è dovuta non a salari troppo bassi, ma ad una troppo bassa intensità lavorativa (nel mercato del lavoro) della famiglia, ovvero ad un troppo basso numero di occupati in famiglia. Non basterebbe quindi introdurre un salario minimo, occorre anche e soprattutto aumentare il numero degli adulti occupati in famiglia, in particolare delle mogli-madri, nei paesi, come l’Italia, in cui è relativamente basso. In effetti, nei paesi in cui il tasso di attività e occupazione delle madri e più alto, la povertà minorile è più contenuta e il rischio di povertà delle famiglie con un solo genitore non è maggiore di quello delle famiglie bigenitore. In diversi paesi europei, ad esempio in Inghilterra e Olanda, l’incentivazione ad entrare nel mercato del lavoro è stata seguita in particolare, e non senza controversie, nel caso delle madri sole povere che ricevono assistenza economica, che fino ad allora erano state esentate dal requisito della disponibilità ad accettare un lavoro fino a che i figli non fossero diventati grandi. Questa strada richiede che non solo il reddito da lavoro sia maggiore di quello assistenziale, che il lavoro lasci alle madri tempo per occuparsi adeguatamente dei figli, e che le donne siano eventualmente aiutate a integrare la propria formazione professionale. Richiede anche che i loro figli possano ricevere cure adeguate e in contesti sicuri e stimolanti. Richiede quindi un investimento sistematico nelle politiche di conciliazione e nella qualità e disponibilità dei servizi per l’infanzia ed educativi. Nidi, scuole materne, ma anche tempo pieno di buona qualità e diffuso nelle scuole elementari e medie.

Una terza via, intrapresa recentemente da diversi paesi, é quella di integrare con trasferimenti monetari redditi da lavoro più bassi di una determinata soglia, solitamente definita su base famigliare. Si tratta di un sostegno al reddito dei cosiddetti lavoratori poveri, appunto su base famigliare. Nella forma di una imposta negativa o di un trasferimento diretto, e con l’obiettivo di incoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro anche in forma ridotta si trova, ad esempio, in Inghilterra, Francia, Stati Uniti.

In parte collegata a questa è la classica misura di reddito minimo, in quanto anche in questo caso si tratta di una integrazione fino ad una determina soglia. La differenza è che la prima misura, con una soglia più alta, è destinata solo a chi ha un lavoro, la seconda a tutti coloro che sono al di sotto di una determinata soglia di reddito famigliare.

Queste diverse vie non sono in alternativa tra loro e sono intraprese in combinazione diversa dalla maggioranza dei paesi europei. In Italia mancano tutte, o ci sono (ad esempio nel caso degli assegni famigliari) solo in modo parziale e categoriale. Non solo gran parte dei poveri, ma gran parte dei minori poveri, per una ragione o per l’altra, non può accedervi. Per ovviare a questa carenza in un contesto di risorse scarse mi sembra che si debba agire in due direzioni. La prima è la costruzione di un robusto e non categoriale trasferimento per il costo dei figli, eventualmente di importo decrescente fino ad un determinata soglia di reddito famigliare, unificando assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio e il nuovo bonus bebè. La seconda è l’introduzione di un reddito minimo per i poveri. Non destinato unicamente alle famiglie con figli minori, avrebbe tuttavia tra queste, di fatto, i principali beneficiari.

La povertà economica tuttavia si accompagna anche ad altri svantaggi, che per i minori possono avere effetti di lungo periodo maggiori che per gli adulti ed allo stesso tempo più ingiusti. Oltre il 4% dei minori italiani, ad esempio, non fa un pasto proteico una volta al giorno, con prevedibili conseguenze sullo stesso benessere fisico presente e futuro. Molti non fanno sport, non vanno dal dentista o dall’oculista fino a che non é troppo tardi. Una percentuale tra il 7 e il 12 % non può invitare amici a casa, partecipare alle attività scolastiche extracurriculari, svolgere regolarmente attività di tempo libero e non ha in casa un posto adatto dove studiare (Gabos et al., ISER – University of Essex (UK) and TÁRKI (HU), Research Note 7, 2011). A questi si aggiungono gli svantaggi derivanti dal crescere in un contesto complessivamente deprivato – dall’abitazione inadeguata al quartiere povero di servizi, alla scuola povera di risorse – che riduce la qualità e varietà delle esperienze e lo stesso sviluppo cognitivo. Esistono ormai molte ricerche nazionali e internazionali che documentano l’impatto negativo della povertà e del vivere in contesti sociali poveri sullo sviluppo cognitivo dei bambini. Le stesse teorie dell’investimento sociale hanno preso le mosse da questa consapevolezza, che informa anche le teorie e prassi della educazione infantile precoce. Questa dà, giustamente, molta importanza ai servizi per l’infanzia, che dovrebbero essere tanto piú diffusi e di buona qualità quanto più, e laddove, è diffusa e intensa la povertà (il contrario di quanto avviene in Italia). Diverse ricerche hanno mostrato l’impatto positivo di interventi educativi precoci.

Ma non bisogna focalizzare l’attenzione e le iniziative solo sulla prima infanzia. Occasioni di arricchimento delle capacità devono essere offerte lungo tutto il percorso della crescita, nella scuola – e fuori dalla scuola. In Germania, una sentenza della Corte Costituzionale di qualche hanno fa ha stabilito che tutti i bambini e ragazzi, anche se poveri e i loro genitori ricevono assistenza economica, hanno diritto non solo alla sussistenza ed eventualmente a sostegni scolastici integrativi, ma a partecipare ad attività di loro scelta extracurriculari: dal praticare uno sport all’apprendere a suonare uno strumento musicale. Devono perciò essere fornite loro le risorse e le occasioni perché possano farlo.

L’arricchimento sistematico del curriculum della crescita dei bambini e ragazzi socialmente più svantaggiati ha una lunga tradizione specie nei paesi anglosassoni, laddove altri paesi, in primis gli scandinavi, puntano maggiormente sulla qualità dei servizi educativi per tutti e sull’inclusione di tutti in essi, fin dalla tenera età. In Italia esistono ottime esperienze, sia nei servizi per la prima infanzia sia nella scuola dell’obbligo, inclusa l’esperienza dei cosiddetti maestri di strada che lavorano nei quartieri e con i ragazzi più svantaggiati per contrastarne l’esclusione scolastica. Rimangono tuttavia esperienze localizzate, che non sono mai riuscite a diventare parte integrante del sistema scolastico e sono spesso esposte alla variabilità dei bilanci e della politica, nonostante la loro necessità sia diventata più acuta con l’arrivo di bambini e ragazzi che, oltre ad essere poveri, sono anche stranieri. Eppure, l’arricchimento sistematico del curriculum di crescita, nella scuola e fuori, dei bambini e ragazzi più svantaggiati, insieme alla garanzia di un reddito adeguato, dovrebbe essere al cuore di ogni politica di contrasto alla povertà minorile, non solo per contrastarne la povertà nel futuro valorizzandone il capitale umano, ma per garantire pari opportunità lungo tutto il percorso di crescita.

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