Putting people first: in ricordo di Tony Atkinson

Salvatore Morelli traccia un ricordo scientifico e umano di Tony Atkinson, morto all’alba del nuovo anno, ricordandone i contributi all’economia del benessere e allo studio delle disuguaglianze che ne hanno fatto un pioniere e un Maestro ineguagliabile. Morelli sottolinea anche il ruolo di Atkinson come intellettuale pubblico, profondamente convinto che i processi economici e sociali, tra cui l’aumento delle disuguaglianze, non siano ineluttabili ma dipendano dalle scelte dei governi e dai comportamenti di tutti noi.

Tony Atkinson (1944-2017), economista, intellettuale e studioso di punta della disuguaglianza e dell’economia del benessere, è morto all’alba del nuovo anno, ad Oxford, dopo aver combattuto un mieloma multiplo incurabile.

Conseguita la laurea all’Università di Cambridge, a soli 23 anni, diventa un Fellow del St John’s College ed ha inizio il decennio che segna la sua vita professionale in modo profondo. Lo studio della matematica (inizialmente scelta come materia) e dell’informatica (ha lavorato 11 mesi all’IBM) non distoglie il suo profondo interesse verso le tematiche sociali, la povertà prima fra tutti, che segna l’inizio e la fine della sua carriera professionale. Nel 1969 pubblica il suo primo libro  «Poverty in Britain and the Reform of Social Security»  e, solo pochi mesi prima di morire, il rapporto  Monitoring Global Poverty, prodotto della sua attività di presidente della Commissione sulla Povertà Globale istituita dalla Banca Mondiale. E se la malattia glielo avesse permesso, avrebbe ultimato un ulteriore libro, destinato ad un audience più ampia, Measuring poverty around the world.

A Cambridge, l’influenza più profonda è quella del suo mentore, il premio Nobel James Meade. Qui inizia anche ad insegnare un corso di economia pubblica, attività che porterà alla pubblicazione, nel 1980 insieme a Joseph Stiglitz, del testo più utilizzato nei corsi di economia pubblica, un classico di cui è stata prodotta nel 2015 una seconda edizione. Un risultato fondante della moderna economia pubblica e della teoria della tassazione ottimale prende il loro nome, quello di Atkinson-Stiglitz. In un lavoro pubblicato nel 1976, Atkinson e Stiglitz analizzano la relazione fra la tassazione indiretta (sui beni) e quella diretta (sul reddito) e mostrano come i governi possano, sotto condizioni precise, contare solamente sulla tassazione diretta. Interpretando la tassazione sul capitale come un’imposta sul consumo futuro, numerosi ricercatori hanno dibattuto per anni sulle implicazioni e l’utilità di un’imposta sul capitale.

Negli anni precedenti, Tony offre ulteriori contributi fondamentali alla disciplina economica e, nel suo stile migliore, all’intera comunità accademica. Fra tutti, nel 1971, Tony fonda il prestigioso Journal of Public Economics e resta in qualità di editor fino al 1997. Un anno prima aveva, invece, già pubblicato, sulla rivista Jounal of Economic Theory, un articolo che resta fino ad oggi uno dei suoi articoli più citati ed uno dei più importanti contributi moderni all’economia del benessere: On the Measurement of Inequality.

L’articolo rivoluziona lo studio della disuguaglianza economica, costruendo un ponte teorico fra la sua misurazione e l’economia del benessere. Le classiche misure di disuguaglianza economica, come il coefficiente di Gini, sono solitamente descritte come una rappresentazione neutrale di dispersione del reddito e della ricchezza. Tony ci ha mostrato, invece, che la scelta di un indice di disuguaglianza spesso sottende una scala di valori specifici circa la giustizia sociale e l’uguaglianza. L’indice di Atkinson nasce esattamente dalla necessità di rendere espliciti questi principi normativi che spesso restano nascosti, in quanto impliciti agli indicatori stessi. Variando il cosiddetto parametro di “avversione alla disuguaglianza” si può scegliere il grado di sensitività dell’indicatore di Atkinson al variare della condizione economica e di benessere dei meno abbienti nella popolazione. Più è alto tale grado di avversione, maggiore è il peso che si da alle differenze di reddito o di ricchezza esistenti fra la parte « bassa » e la parte « alta » della distribuzione. Come ha scritto Thomas Piketty, che ha più volte pubblicamente riconosciuto l’eredità intellettuale di Tony Atkinson, “questi contributi da soli giustificherebbero diversi premi Nobel”.

Tony ha sempre creduto nel ruolo sociale dell’economista e dello studioso. Per lui, come per Keynes, l’ Economia era una «scienza morale», una disciplina tesa verso la risoluzione di problemi concreti della società, dopo averli attentamente compresi ed analizzati, che si adopera a fornire i suggerimenti e gli strumenti per la loro risoluzione. Sotto molti aspetti, il suo ultimo libro, Disuguaglianza: che cosa si può fare?  (« dedicato alle persone meravigliose che lavorano per il servizio sanitario nazionale » che lo hanno accompagnato nella sua lotta contro il cancro) è l’epitome della sua vita da studioso misurato, che credeva nel ruolo delle istituzioni e di tutti i cittadini nell’influenzare il percorso di benessere della società. Tony era fermamente convinto che una « buona società » fosse incompatibile con un’ampia sperequazione delle risorse e lo sosteneva anche e soprattutto quando il pensiero dominante, sotto l’influenza del Thatcherismo e del Reaganismo, suggeriva il contrario. L’insieme delle 15 ricette da lui avanzate per contrastare la disuguaglianza, molte delle quali da lui descritte come « radicali » ma non utopiche, arriva al margine della sua vita (il libro lo scrive in pochi mesi dopo aver scoperto la sua malattia) ed in seguito a più di 50 anni di studi sulle disuguaglianze. Conoscendolo, gli saranno sembrati anche pochi.

Solo uno piccola parte di queste ricette riguarda la mera redistribuzione fiscale. Egli auspica di sicuro un miglioramento della progressività del sistema di imposizione del reddito (con un aumento dell’aliquota marginale per i super redditi), l’allargamento della rete di assistenza sociale, l’istituzione di un imposizione fiscale progressiva sulle eredità e le donazioni accumulate nel corso dell’arco della vita, l’istituzione di un reddito minimo per tutti i minori e quella di un reddito minimo di partecipazione (Tony è stato un sostenitore di questa proposta a partire dai primi anni 90). Ma le proposte sottolineano con forza il ruolo importante delle politiche di promozione della concorrenza economica, il riequilibrio del potere contrattuale dei lavoratori e l’istituzione di organismi governativi che sostengano e promuovano la piena occupazione e gli investimenti pubblici con l’istituzione di un fondo di investimento sovrano, solo per citarne alcune. Nel descrivere le sue ricette « testamentarie », fa un utilizzo magistrale della storia, mostrando la vacuità della retorica dell’impossibilità dell’azione e dell’ineluttabilità dei processi economici, come la globalizzazione ed il progresso tecnico. Il governo ha il potere, come del resto ha sempre fatto, di influenzare il processo di sviluppo tecnologico in direzioni che garantiscano la creazione di condizioni ed opportunità lavorative soddisfacenti per tutti ed una distribuzione più equa della proprietà delle risorse e del controllo dell’attività produttiva (capitale). Non siamo in balia degli eventi, come amiamo raccontarci. La sua lezione, in contrasto con il pensiero dominante, sul processo di sviluppo tecnologico è di una semplicità disarmante, almeno quanto quella espressa in un suo importante articolo scritto con Joseph Stiglitz nel lontano 1969. Lo sviluppo tecnologico è altamente specifico e localizzato e può influenzare solo le tecniche produttive attualmente in uso, non tutti i processi produttivi in maniera omogenea e proporzionale, così come assunto in maniera semplicistica nei modelli di crescita. Oggi questa visione, allora eretica, sta prendendo piede nella disciplina macroeconomica.

Come tutti i testi di Tony, anche nel suo ultimo libro si rimane sempre sorpresi dal cambio di prospettiva e dalla proposta di una visione alternativa. La sfida dell’ortodossia, la resistenza al conformismo ed il rifiuto delle teorie uniche e dominanti sono tratti evidenti nei suoi scritti, sempre distillati con eleganza e rispetto per le idee altrui. I dettagli di un modello teorico sono spesso analizzati in congiunzione con l’evidenza empirica, solitamente originale ed in chiave di comparazione storica. I dati che ha assemblato sulla dispersione salariale negli Stati Uniti mostrano come l’aumento del divario distributivo sia iniziato negli anni 50. Ciò non può essere, dunque, spiegato unicamente dalla teoria dell’avanzamento tecnologico e del concomitante aumento di domanda per i cosiddetti “skilled workers”. La sua visione era informata e sorretta dai fatti, ricercati e assemblati ad arte, dopo mesi e anche anni di lavoro. Altresì, Tony valorizzava umilmente e con sincera generosità la collaborazione attiva e lo sforzo congiunto nella ricerca. Circa un mese fa, commentando tutte le difficoltà incontrate nell’arco dell’ultimo anno per la stesura del nostro lavoro sull’evoluzione della concentrazione di ricchezza nel Regno Unito, Tony ha affermato che « nessuno dovrebbe far mai ricerca da solo ». Nell’analisi della dinamica storica degli aspetti distributivi, ritenuta fondamentale per comprendere l’evoluzione delle economie moderne, Tony segue e ri-fonda la traccia classica della politica economica Ricardiana, poi re-interpretata da Simon Kutznets.

Architetto principale, insieme a Thomas Piketty di uno dei progetti di ricerca economica collegiali più vasti ed ambiziosi degli ultimi anni: Il World Top Income Database, oggi diventato World Wealth and Income Database grazie anche allo sforzo congiunto di Facundo Alvaredo, Lucas Chancel, Emmanuel Saez e Gabriel Zucman. Alla base di questo progetto vi è l’utilizzo dei dati fiscali e di contabilità nazionale (persino in ex-colonie imperiali remote) al fine di acquisire informazioni precedentemente inesplorate sulla distribuzione dei redditi e della ricchezza; se il tema della disuguaglianza è “esploso” nel dibattito pubblico mondiale lo si deve anche a questo progetto. Lo slogan, “siamo il 99%” nasce con questi studi innovativi, capaci di mettere sotto la lente investigativa gli individui più abbienti delle nostre economie, i quali spesso sfuggono alle più comuni fonti statistiche dei dati.

La sua concretezza e il suo pragmatismo si sono estesi al linguaggio utilizzato nei suoi scritti. Come membro della Commissione Sarkozy sulla misura della performance dell’economia e del progresso sociale (conosciuta come Commisione Fitoussi-Sen-Stiglitz) la sua preoccupazione era legata all’utilizzo sempre più comune di misure di reddito aggregato (come il Prodotto Interno Lordo) distanti da ciò che le persone comuni in « strada » chiamano reddito. «Putting people first» ha ispirato il suo modo di operare e non a caso quella espressione è presente nel titolo di un suo articolo recente. Il suo gergo accademico, doveva fare i conti e rapportarsi con il suo valore e significato aldilà dell’accademia (In un mondo accademico dove le equazioni vengono sfoggiate anche ove non necessario, Tony cercava il più possibile di evitarle). Non è un caso che anche associazioni come Oxfam elogino la sua vita da studioso unendosi al coro di accademici da ogni angolo del mondo.

Il suo profondo rispetto per il lettore guidava queste scelte in modo naturale. Allo stesso tempo, poneva una cura estrema alla bibliografia accertandosi di aver citato (dopo averle ricercate e lette) tutte le fonti anche le più remote ed in lingue diverse (era consapevole che la ricerca accademica fosse particolarmente limitata dall’utilizzo di fonti anglofone). Citazioni dei primi anni del 1900 sconosciute ai più, di fonti istituzionali o di autori in altre discipline, non sono rare nei suoi libri ed articoli, a testimonianza di un’erudizione, curiosità e soprattutto di un rispetto per la proprietà intellettuale fuori dal comune.

Come molti, oggi ho il privilegio di esser stato seguito nei miei studi prima e aver, successivamente, collaborato con Tony fino a stringere con lui un’amicizia sincera. Tutto questo lo devo alla sua disponibilità, unica, di accogliere e ascoltare gli studenti, di qualsiasi provenienza. Il tributo alla sua magnanimità e generosità umana è evidente in ogni ricordo pubblicato in questi giorni da tutte le persone che lo hanno conosciuto e stimato.

La sua morte ha avvilito molti e rattristato i suoi familiari, i collaboratori e gli amici di una vita. La speranza è che la sua vasta eredità intellettuale e la sua fama di intellettuale mite, riformista e fiducioso nelle istituzioni e nell’azione collettiva degli individui continui ad affascinare molti giovani studiosi e a stimolare i processi di policy e di cambiamento.

Il suo pensiero lungo farà strada.

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