Premio o dono?

Civil Servant si occupa delle assicurazioni private contro i disastri naturali e sottolinea che esse, richiedendo ingenti fondi di riserva, rendono necessario che lo stato svolga il ruolo di riassicuratore di ultima istanza, imponendo costi a carico della collettività. Civil servant si chiede se non siano più efficienti incentivi fiscali e finanziamenti per la messa in sicurezza di abitazioni e infrastrutture che, per essere atti di solidarietà senza contropartite, potrebbero anche consolidare la coesione sociale di una comunità

I disastri naturali che si sono succeduti in Centro Italia hanno riportato in auge il dibattito sulla assicurazione catastrofale, che dovrebbe essere sottoscritta dai cittadini più esposti al rischio per garantirsi la ricostruzione delle abitazioni in caso di calamità. Molti sostenitori di questa misura evidenziano soprattutto che si tratterebbe di una soluzione “di mercato”, che avrebbe il merito di avere pochi riflessi sulle finanze pubbliche. Su questa stessa rivista Basili e Franzini hanno evidenziato che il patrimonio immobiliare italiano esposto a rischio idro-geologico è immenso e solo in piccola parte sarebbe in grado di resistere a eventi naturali di un certo rilievo. Eppure in Italia solo un immobile su cento è assicurato contro i disastri naturali. Le assicurazioni contro le catastrofi avrebbero vari vantaggi. Il primo sarebbe quello di incoraggiare la messa in sicurezza degli immobili in cambio di premi più bassi. Un altro, indiretto, sarebbe l’aumento della fedeltà fiscale, perché per aspirare ad un congruo indennizzo è necessario dichiarare il valore e la proprietà reale degli immobili, compresi quelli più o meno abusivi.

Prima di tradurre queste idee in provvedimenti legislativi concreti, sarebbe opportuno riflettere su qualche aspetto teorico e su alcune esperienze internazionali. Le polizze contro le catastrofi sono infatti obbligatorie in vari paesi, come Nuova Zelanda, Romania e Turchia (dove però l’evasione è molto diffusa), o semi-obbligatorie, come in Giappone, Francia, Spagna e Belgio. In quasi tutti i paesi, però, lo stato garantisce gli indennizzi, defiscalizza le polizze o gestisce direttamente l’intero ramo.

Il problema è soprattutto finanziario. Le compagnie assicurative sono in grado di “prezzare” anche il rischio dei disastri naturali, sebbene si tratti di eventi rari e difficilmente prevedibili, anche quando sono indotti da scelte umane scellerate. In fondo, ad una compagnia basta sapere che su un arco di tempo abbastanza lungo qualche catastrofe avverrà sicuramente e porterà distruzioni abbastanza prevedibili, data la conformazione del territorio. A quel punto il premio annuale che garantisce l’equilibrio economico è più o meno il valore dei beni assicurati diviso per il numero di anni entro il quale la compagnia vuole garantirsi il pareggio di bilancio. A differenza di altri rami, è evidente che questo calcolo presenta parecchi elementi soggettivi.

Il vero problema è tuttavia di natura finanziaria. Le compagnie del ramo, infatti, devono essere pronte a liquidare, da un momento all’altro, danni molto ingenti e quindi devono accumulare riserve liquide elevatissime oppure riassicurarsi e il costo di queste precauzioni, unito ai normali oneri di gestione, è molto elevato. E’ per questo che lo stato svolge il ruolo di riassicuratore di ultima istanza per il ramo catastrofale in quasi tutti i paesi, a cominciare dai liberalissimi USA. Quindi l’onere finale della ricostruzione finisce comunque per gravare sui contribuenti: direttamente se non interviene una assicurazione catastrofale oppure indirettamente se la solvibilità delle compagnie del ramo deve essere garantita dallo stato.

C’è di più: mentre le compagnie devono mantenersi liquide, la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio, che sono le uniche misure in grado di ridurre almeno il costo umano e materiale delle catastrofi, richiedono investimenti a lunga scadenza. Quindi le risorse raccolte tramite le polizze finiscono per essere distolte proprio da quei finanziamenti a lungo termine che sono indispensabili per ridurre i rischi. Non a caso, il mercato dei cat-bond, ossia dei titoli che non garantiscono il rimborso del capitale in caso di disastri naturali in una particolare area, non è particolarmente fiorente. Alcuni dei pochissimi titoli di questo tipo emessi in Italia sono addirittura vincolati a disastri che possono avvenire all’estero, e quindi difficilmente servono a ricoprirsi contro i rischi del portafoglio nazionale.

Etica e pragmatismo. In generale, il principale merito delle assicurazioni è quello di distribuire l’onere dei risarcimenti nel tempo e su una platea più ampia delle sole vittime designate. Tuttavia, a differenza di altri rischi, quello di essere coinvolto in una catastrofe è molto piccolo e soprattutto è concentrato su pochi soggetti: per esempio chi vive in zone sismiche, franose o a rischio di alluvioni. Tutti gli altri avrebbero pochissimi incentivi a sottoscrivere una polizza catastrofale, se questa non è obbligatoria. E’ probabile, inoltre, che le compagnie pratichino condizioni migliori proprio a chi corre meno rischi, sia perché risiede in aree relativamente tranquille, sia perché ha messo in sicurezza la propria abitazione o azienda. Alla fine, un’assicurazione catastrofale su base volontaria finisce dunque per ripartire i rischi quasi esclusivamente tra le vittime più probabili. Di conseguenza i premi sono decisamente elevati.

Come se non bastasse, un’assicurazione catastrofale non incentiverebbe comportamenti virtuosi proprio tra i maggiori responsabili della sicurezza ambientale, ossia le amministrazioni pubbliche, a cui sarebbe difficile chiedere di sottoscrivere delle polizze [1. Devo questa puntualizzazione ad un collega e amico]. Eppure solo alcune opere pubbliche potrebbero salvaguardare il territorio da frane e alluvioni. In ogni caso, le polizze contro i disastri, soprattutto se molto costose, non impedirebbero a qualche furbetto di esporsi volontariamente a rischi maggiori del dovuto contando proprio su un sicuro indennizzo, oppure non scoraggerebbero qualche compagnia dal piazzare polizze sotto costo preparandosi alla bancarotta se le cose si mettono male. Ma questo è un moral hazard che incombe su qualsiasi contratto tra umani. Naturalmente c’è da chiedersi che valore avrebbe la ricostruzione di una singola abitazione o azienda coperta da una assicurazione in mezzo ad un cumulo di macerie non assicurate. Ma per evitare questa eventualità sarebbe necessario rendere l’assicurazione catastrofale sostanzialmente obbligatoria per tutti, facendola somigliare pericolosamente ad una imposta patrimoniale, seppure versata a compagnie private invece che all’erario.

C’è poi una questione squisitamente etica: che senso ha far gravare il costo della ricostruzione soprattutto sui soggetti più a rischio, che come abbiamo visto sarebbero i principali sottoscrittori (volontari) delle polizze e pagherebbero anche i premi più elevati degli altri? Senza contare che non è troppo prudente fare affidamento su una base imponibile che rischia di essere distrutta da una catastrofe più di altri. Una soluzione pragmatica, prima che etica, sarebbe quella di riconoscere che la ricostruzione dovrebbe essere un dono, o se si preferisce un bonus, che la collettività offre ai propri membri in difficoltà, senza aspettarsi nessuna altra ricompensa se non la reciprocità in caso di bisogno. Come abbiamo visto, intermediare questo legame solidaristico tramite una assicurazione catastrofale più o meno obbligatoria potrebbe essere addirittura controproducente. Si incoraggerebbe l’azzardo morale sia da parte dei cittadini che delle compagnie di assicurazione. Si deresponsabilizzerebbero le amministrazioni pubbliche incaricate di tutelare il territorio e, soprattutto, si indebolirebbe ulteriormente la coesione sociale, intesa come ragione ultima per rimanere in una comunità, condividendo anche i momenti peggiori … e perfino il dispiacere di pagare le tasse. A meno di non sentirsi a proprio agio all’interno di una comunità virtuale formata dai clienti e dai finanziatori della propria compagnia di assicurazione. Una volta tanto, etica e pragmatismo convergerebbero dunque verso conclusioni simili.

E se invece … Vale la pena di sopportare i costi amministrativi e le inefficienze del mercato assicurativo invece di finanziare soccorso e ricostruzione con una piccola addizionale sulla fiscalità generale? Secondo l’ufficio studi della CGIA di Mestre, le vituperate accise sui carburanti, introdotte per far fronte a disgrazie che vanno dal terremoto del Belice e la strage del Vajont degli anni sessanta fino ai nostri giorni, hanno raccolto più di due volte quello che è stato speso per la ricostruzione, ruberie comprese: circa 150 miliardi contro 70. Quasi sicuramente nessuna compagnia di assicurazione avrebbe potuto fare di meglio a costi inferiori. Quindi lo stato sembra aver funzionato decentemente almeno come assicuratore contro i disastri, anche se non ha funzionato affatto per scoraggiare gli insediamenti in zone troppo pericolose o per incentivare le opere per la messa in sicurezza degli immobili. Comunque, per il terremoto in Val Nerina del 1997 e quello in Molise del 2002 pare che la nobile tradizione delle accise sui carburanti sia stata abbandonata.

Posto che un sistema di garanzie pubbliche è sostanzialmente indispensabile per la natura e l’entità dei rischi da fronteggiare, la vera questione da risolvere non è se sia opportuno incoraggiare una assicurazione catastrofale di massa, ma piuttosto se l’entità dei danni e il costo complessivo del soccorso e della ricostruzione possano essere ridotti attraverso un meccanismo assicurativo. Se la risposta a questo interrogativo fosse negativa, sarebbe semplicemente stupido montare un costoso carrozzone finanziario e burocratico senza risparmiare una singola vita, un solo mattone e un solo euro.

Ad esempio, potrebbe essere molto più vantaggioso incentivare fiscalmente la messa in sicurezza degli immobili, come raccomandano anche Basili e Franzini nell’articolo citato. Ciò non renderebbe meno urgente un programma di investimenti pubblici per la salvaguardia del territorio, che difficilmente potrebbe essere garantita da qualche compagnia di assicurazioni. Tuttavia si potrebbero utilizzare proprio i cat-bond, eventualmente assistiti da garanzie pubbliche, per finanziare gli interventi di consolidamento e risanamento del territorio e del patrimonio immobiliare sia pubblico che privato. Questa soluzione avrebbe anche il vantaggio di avvicinare la durata dei bond a quella dei lavori di prevenzione, riducendo la necessità di intermediare tra strumenti finanziari con scadenze diverse, che comporta inevitabilmente oneri aggiuntivi per la collettività e profitti facili per gli intermediari internazionali.

 

Schede e storico autori