Perché il modello di sviluppo proposto dal partito fondamentalista indù è sbagliato per l’India

Elisabetta Basile si occupa dei risultati delle recenti elezioni in India e si interroga sulla possibilità che la ricetta proposta dal nuovo primo ministro, Narendra Modi, riesca a promuovere lo sviluppo del paese. L’esame dei problemi dell’India, da un lato, e dei risultati che Modi ha ottenuto applicando quella formula al Gujarat, lo stato in cui egli ha operato a lungo come Chief Minister, dall’altro, portano Basile a una conclusione negativa, sostenuta anche da una grande messe di dati.

Sostenuto dal Bharatiya Janata Party (BJP), il partito del fondamentalismo indù di cui è l’indiscusso leader, Narendra Modi è il nuovo primo ministro dell’India e si prepara a governare con un’amplissima maggioranza [1. Questa nota è la sintesi della relazione tenuta al seminario “La più grande democrazia del mondo a una svolta? Le cause e le conseguenze politiche delle elezioni generali in India”, Fondazione Italianieuropei, Roma, 19 giugno, 2014.]. La campagna elettorale di Modi è stata centrata sul modello di sviluppo del Gujarat – lo stato di cui è stato Chief Minister dal 2001 al 2014 – presentato come la ricetta capace di riportare l’India sulla strada della crescita sostenuta dopo la crisi degli ultimi anni. L’idoneità di questo modello di fronte ai problemi che l’India dovrà affrontare nel prossimo futuro è stata al centro di un vivace dibattito in cui considerazioni economiche e pregiudizi ideologici si sono intrecciati. In questa nota mi propongo di mostrare come – aldilà dei timori sollevati dalla forte vittoria del fondamentalismo indù nella più grande democrazia del mondo – vi siano molte considerazioni economiche e sociali che spingono a ritenere il modello di sviluppo del Gujarat inidoneo per l’India poiché aggrava – anziché risolvere – le principali criticità emerse nello sviluppo capitalistico del paese.

Il modello di sviluppo promosso e sostenuto da Modi nel Gujarat è di tipo neoliberista. In continuità con la politica economica avviata all’inizio degli anni ‘80 con le misure di apertura di Indira Gandhi e di Rajiv Gandhi e completata con le riforme del 1991, la logica pro-business e pro-market della liberalizzazione economica è portata all’estremo. L’obiettivo è il sostegno allo sviluppo industriale per mezzo della creazione di infrastrutture – strade, ponti, ferrovie, fornitura di energia – e di Zone Economiche Speciali. Va sottolineato, tuttavia, che gli interventi infrastrutturali sono finalizzati esclusivamente a rendere conveniente (per le imprese) la localizzazione nel Gujarat e non invece a sostenere la ‘modernizzazione’ del paese.

Questa scelta si è tradotta nello stanziamento di oltre il 37% degli investimenti pubblici per lo sviluppo infrastrutturale [2. I dati e le informazioni contenute in questo articolo sono di fonte governativa e sono ripresi da Basile E. (2013) “Capitalist Development in India’s Informal Economy” e, per quello che riguarda il Gujarat, da Economic and Political Weekly.]. Un esempio è la partecipazione del Gujarat al progetto del corridoio industriale Delhi-Mumbai per circa 600 km – pari a oltre il 30% del percorso totale. Lo sviluppo industriale è stato sostenuto anche con concessioni, prestiti agevolati e sussidi. Così, la Tata per il progetto Nano ha ricevuto un contributo di 1.620 milioni di dollari all’1% in 20 anni, a fronte di un investimento iniziale di 490 milioni. A ciò si è aggiunto l’accesso alla terra necessaria per gli impianti a un prezzo più basso di quello di mercato.

La logica pro-market/pro-business è stata estesa anche al settore agricolo, con forti pressioni per la riconversione verso l’agricoltura commerciale (a scapito della produzione di alimenti) e con importanti fenomeni di landgrabbing.Con questa scelta a favore delle imprese, il governo del Gujarat ha rinunciato ai poteri di controllo sugli investimenti e sulle attività economiche e a promuovere sviluppo ed equità, delegando alle imprese funzioni cruciali come l’individuazione delle priorità della crescita e la definizione del percorso di sviluppo.

Il Gujarat è uno stato ricco. Con il 5% della popolazione, contribuisce alla produzione del paese per l’8% del prodotto interno lordo (PIL) ed è al secondo posto dopo il Maharashtra. Il tasso di crescita è stabile intorno al 7-8% negli ultimi due decenni. Il peso dell’industria è elevato (37% del PIL nel 2012 contro il 27,5% dell’India) e la manifattura è passata dall’ 11% al 14% – ma se si escludesse la raffinazione di petrolio (un’attività molto export-oriented) il suo peso sarebbe in calo. Tuttavia, malgrado le politiche di apertura verso le corporations, nel 2013 il Gujarat ha attratto solo il 2,4% di investimenti diretti esteri (IDE), contro il 40% del Maharashtra.

Le politiche di sostegno indiscriminato all’industria cominciano a lasciare tracce visibili sul tessuto sociale. Gli indicatori di alfabetizzazione, speranza di vita e mortalità infantile suggeriscono una performance intorno alla media dell’India e nessun progresso durante il governo Modi. La disuguaglianza è cresciuta: migliaia di contadini, pescatori, pastori sono stati privati delle risorse distribuite alle corporations; le politiche di sostegno ai lavoratori agricoli (nell’ambito del National Rural Employment Guarantee Act – NREGA) sono state applicate peggio che in tutti gli altri stati. Ben 16.000 contadini e lavoratori delle campagne si sono suicidati. Povertà, fame e vulnerabilità (in particolare per caste basse e minoranze religiose) raggiungono livelli vicini a quelli di Bihar e Orissa (gli stati più poveri dell’India). La crescita dell’occupazione è stata negativa negli ultimi 5 anni e in precedenza era limitata al settore informale. Il tasso di occupazione è molto basso per le minoranze religiose (Musulmani). L’indice di sviluppo umano è medio e decrescente (0,519 contro 0,790 del Kerala): il Gujarat era al decimo posto fra gli stati indiani nel 2001 e ora è all’undicesimo. Le infrastrutture igienico-sanitarie sono di livello medio-basso.

Il modello di sviluppo del Gujarat è anche fiscalmente ed eticamente discutibile: la crescita si è basata sul forte indebitamento dello stato e la corruzione è in continua crescita. Con il 5% della popolazione dell’India, lo stato ha il 22% dei delitti e il 20% degli assalti agli attivisti del fronte in difesa del diritto all’informazione.

Il BJP ha costruito la candidatura di Modi sulla performance del Gujarat, mentre gli oppositori hanno cercato di mettere in discussione quei risultati. Il dibattito che si è acceso è ideologico e le argomentazioni sono fragili, principalmente a causa dell’evidenza contraddittoria e delle diverse metodologie. Ma questo dibattito è soprattutto sterile, perché trascura di valutare la capacità del modello di sviluppo del Gujarat di affrontare le sfide che l’India ha di fronte.

L’India è un paese complesso, composto di realtà fra loro molto diverse, in cui si intrecciano molti piani di disuguaglianza e molte forme di emarginazione. Dal punto di vista dell’organizzazione economica, esistono due Indie. Vi è l’India delle metropoli, in cui si trovano i centri del potere economico e politico, dove la dotazione di infrastrutture è maggiore, il tasso di crescita è elevato e il cambiamento è rapido. E poi vi è la provincia indiana, le piccole città e i villaggi in cui vive e lavora la maggioranza della popolazione, e in cui povertà ed emarginazione raggiungono il livello più alto, le infrastrutture sono scarse, la dipendenza dall’agricoltura è forte, il cambiamento è lento e il tasso di crescita è basso.

Malgrado le differenze, le due Indie sono accomunate da un modello di sviluppo in cui prevale l’organizzazione informale e le transazioni sono regolate dalle istituzioni sociali.Le imprese informali (non registrate) sono prevalentemente piccole e piccolissime. Oltre l’80% delle forze di lavoro è costituito da lavoratori autonomi espropriati di gran parte delle funzioni imprenditoriali, con una forte presenza di lavoratori marginali – donne, bambini, fuori casta – occupati a domicilio. Le tecnologie sono arretrate e ad alta intensità di lavoro (nella provincia indiana solo il 12% delle imprese impiega energia elettrica). I mercati sono non concorrenziali e non regolati.

Nel complesso, oltre il 93% dei lavoratori è impiegato all’interno di rapporti di lavoro informali, sia nel settore informale sia nelle imprese del settore formale. I lavoratori informali sono una categoria molto eterogenea, dal punto di vista dell’ istruzione e delle competenze oltre che dei contratti di lavoro e dei salari. Ma nel confronto con il lavoro formale, la bassa qualità del lavoro informale è evidente: vi è una diffusa discriminazione di genere (oltre 50% delle donne sono occupate come lavoro familiare non remunerato) e di casta (con punte elevate di segregazione nei peggiori posti lavoro per fuori-casta e tribali); un basso livello di istruzione (5,6 anni contro i 9 anni dei lavoratori nel settore formale); assenza di sicurezza sul lavoro e del lavoro; reclutamento per mezzo di network di casta e di famiglia; uso molto ridotto di contratti scritti; nessuna tutela dei lavoratori in relazione alle giornate di riposo e alle ferie. Infine, i lavoratori informali hanno una ridotta capacità di spesa e non sono in grado di sostenere la domanda interna.

L’economia delle due Indie è diffusamente regolata dal sistema castale, con punte più elevate nella provincia. Le istituzioni della società civile – e in particolare la casta – hanno occupato lo spazio lasciato libero dallo Stato. Con l’introduzione di misure di compensazione per le caste basse, il sistema castale ha subito un profondo cambiamento, assumendo ruoli politici ed economici. Le caste sono diventate gruppi di pressione e hanno dato origine ad associazioni che influenzano l’organizzazione sociale ed economica. La casta opera come istituzione e come ideologia: regola l’organizzazione produttiva e organizza il consenso dei lavoratori sull’egemonia del capitale e sul forte sfruttamento.

L’India contemporanea sta percorrendo la via bassa del capitalismo: le condizioni di lavoro non sono dignitose; l’informalizzazione è una strategia per aumentare la flessibilità e agevolare la segmentazione del mercato del lavoro e la marginalizzazione di gruppi di lavoratori; la concorrenza fra le imprese è sui bassi costi del lavoro (e non sul progresso tecnico); la bassa produttività spiega i bassi salari e i bassi standard di vita.

Per percorrere la via alta del capitalismo all’India occorre uno sviluppo inclusivo e sostenibile capace di generare un solido mercato interno che, a sua volta, richiede: crescita in industria e in agricoltura; politiche di sostegno all’occupazione, in particolare nelle piccole imprese; attenzione alle attività rurali non-agricole; politiche mirate contro la povertà e l’emarginazione delle minoranze; politiche di empowerment e di partecipazione; politiche per l’accesso alle risorse, per l’energia, per le innovazioni (in particolare, le innovazioni “frugali” per consumatori e produttori a basso reddito); politiche per lo sviluppo umano (igiene e sanità, istruzione e formazione professionale).

Il modello economico del Gujarat non consente la transizione alla via alta. Le politiche a favore delle corporations hanno scarse ricadute sull’occupazione e sulle piccole e medie imprese e favoriscono un modello di crescita che non crea occupazione. L’espropriazione delle terre determina l’impoverimento dei contadini e rompe definitivamente l’equilibrio fra produzione alimentare e consumo alimentare, aggravando dipendenza alimentare e malnutrizione. Le attività export-oriented non creano occupazione. Il ridotto o nullo investimento nell’istruzione non consente la crescita del capitale umano. Senza controlli sulle transazioni, la corruzione “mangia” quote crescenti di PIL. Per ridurre povertà e disuguaglianza sono necessarie politiche rivolte ai ceti vulnerabili e alle minoranze. Queste politiche sono costose e complesse da gestire perché devono intervenire sui meccanismi all’origine della discriminazione delle minoranze sulla base di etnia, religione, casta e genere. Ma queste politiche sono necessarie. Senza uno sviluppo inclusivo e sostenibile, l’India continuerà a essere un gigante con i piedi di argilla.

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