Miracolo a Varano? Il ruolo della “Rete Politecnica” dell’Emilia-Romagna

Franco Mosconi illustra il nuovo sistema della formazione tecnica superiore lanciato dalla Regione Emilia-Romagna (“Rete Politecnica”) e mostra che i risultati straordinari, soprattutto in termini di occupazione, ottenuti in alcuni distretti/cluster devono molto alle più strette relazioni fra scuola e mondo del lavoro. Sulla base di questa esperienza, Mosconi sostiene che tutto il sistema-Paese – secondo in Europa per importanza della manifattura – dovrebbe convergere verso il modello tedesco imperniato sulle “Fachhochschule”

“Miracolo a Varano, la vallata senza disoccupati” titolava un bel reportage di Antonio Mascolo pubblicato, nei giorni scorsi, sulle pagine dell’edizione di Parma del quotidiano la Repubblica (http://parma.repubblica.it, 11 febbraio). Nell’Italia del tasso di disoccupazione giovanile al 40% (e oltre), dei due milioni (abbondanti) di NEET e delle crescenti diseguaglianze nella distribuzione dei redditi e della ricchezza (i dati resi noti dalla Caritas fanno sobbalzare sulla sedia), beh, potrebbe sembrare il titolo di una fiction più che il racconto della realtà … E invece no, è proprio ciò che sta accadendo a Varano Melegari, sull’Appennino parmense (Valceno, per essere ancora più accurati).
Gli ingredienti del successo, come l’articolo pone in risalto, sono molti. Ma è difficile sfuggire all’impressione – una giusta impressione – che il ruolo chiave sia quello giocato da imprese tecnologicamente evolute, operanti sia nella filiera automotive che nella lavorazione del carbonio. E’ qui che ci s’imbatte nella Dallara Automobili, da decenni attiva a Varano con le sue produzioni di qualità, che ha rappresentato anche una sorta di “vivaio” per molti dei nuovi imprenditori della Vallata. Oggi la Dallara è impegnata a progettare e attuare – d’intesa con la Regione Emilia-Romagna e numerosi altri soggetti pubblici e privati – tutta una serie di percorsi nella formazione e istruzione tecnica superiore.
La domanda dunque diviene: che la disoccupazione diminuisca, sin quasi a scomparire, laddove funziona questo fondamentale asse del sistema educativo, è un caso o è, piuttosto, proprio la conseguenza di quelle scelte formative?
Per rispondere a questa domanda, prima illustrerò il disegno che la Regione, sotto la guida di Patrizio Bianchi, ha voluto dare alla cosiddetta “ER-Educazione e Ricerca” e poi ritornerò, per così dire, a Varano per meglio comprendere ciò che la Dallara e le altre stanno facendo. Nella conclusione, andando al di là del caso emiliano, formulerò alcune considerazioni sul sistema-Paese nel suo insieme.

La “Rete Politecnica” dell’Emilia-Romagna. Un albero stilizzato, dai molti colori e ricco di frutti, fa bella mostra di sé sulla prima pagina del documento Imparare è crescere dell’Assessorato Scuola, Formazione professionale, Università e Ricerca, Lavoro della Regione Emilia-Romagna (disponibile on line all’indirizzo Internet: http://formazionelavoro.regione.emilia-romagna.it/er-educazione-ricerca/allegati/ER_Educazione_Ricerca.pdf ). Fra i frutti di cui poc’anzi si diceva – citiamo testualmente: “Alta formazione, ricerca, diritto allo studio universitario; Lavoro e competenze; Istruzione e Formazione Professionale; Rete Politecnica” – ci soffermiamo proprio su quest’ultima.

Nel dettaglio, l’offerta è costituita da tre tipologie di percorsi formativi e da quattro poli tecnico-professionali; segnatamente:

  1. percorsi realizzati da Istituti Tecnici Superiori (ITS), che fanno capo a Fondazioni: i corsi sono biennali e post-diploma di alta specializzazione per formare – si argomenta – “tecnici superiori in grado di portare nei settori strategici del sistema economico produttivo competenze altamente specialistiche e capacità d’innovazione”. Un esempio può aiutare a chiarire la portata di questi Istituzioni/Fondazioni: oggi, fra le province di Bologna, Modena e Reggio Emilia, esiste un unico ITS, denominato “ITSMAKERS – Istituto Superiore Meccanica Meccatronica Motoristica e Packaging”. E’ nato nel settembre 2013 dall’unione delle tre Fondazioni che operavano in ognuna delle tre città con la propria specializzazione; soci fondatori della nuova Fondazione sono un buon numero di Scuole superiori, Enti di formazione, le Università di Bologna e di Modena-Reggio Emilia, i Comuni e un nutrito gruppo di imprese private assai rappresentative dell’industria meccanica emiliana. Dicevamo che all’inizio, giusto qualche anno fa, erano tre Fondazioni, ma è bastato un breve rodaggio per comprendere che il background comune (la formazione nel campo della meccanica di precisione) deponeva a favore dell’unione delle forze, superando campanilismi che in tanti altri ambiti della vita collettiva sono duri a morire; anche in Emilia: pensiamo alla duplicazione di fiere, aeroporti, centri agro-alimentari, e via dicendo. Naturalmente ogni città ha conservato il corso (o i corsi) che più si sposano con la vocazione produttiva del luogo: a Bologna si tiene il corso per “Tecnico superiore per l’automazione industriale e il packaging”; a Modena quelli per “Tecnico superiore dei materiali per la progettazione e produzione meccanica” e per “Tecnico superiore del veicolo”; a Reggio Emilia quello per “Tecnico superiore in sistemi meccatronici”. Per quanto importante essa sia, l’industria meccanica (in tutte le sue specializzazioni) non esaurisce la forza della manifattura emiliana, una delle più robuste e aperte al mondo di tutto il Paese (ne ho scritto nel volume La metamorfosi del ‘Modello emiliano’, Il Mulino 2012 e, più di recente, nel saggio Che ne è del modello emiliano?, “il Mulino”, n. 1/2015). Lungo la Via Emilia – risalendo da Rimini a Piacenza – troviamo così altre Fondazioni ITS dedicate, rispettivamente, a Turismo e benessere, Industrie creative, Territorio ed energia, Nuove tecnologie della vita, Agro-alimentare, Mobilità sostenibile.
  2. Percorsi di Istruzione e Formazione Tecnica Superiore (IFTS), volti a formare “tecnici specializzati capaci di presidiare i processi organizzativi e produttivi d’impresa anche connessi alle innovazioni tecnologiche e all’internazionalizzazione dei mercati”. Durano 800 ore, e al termine del percorso viene rilasciato il “certificato di specializzazione tecnica superiore valido a livello nazionale”.
  3. Percorsi di Formazione Superiore, che “costituiscono un’opportunità per giovani e adulti che intendono inserirsi nel mercato del lavoro o qualificarsi”. La durata varia fra le 300 e le 500 ore, ed al termine è possibile conseguire un certificato di competenze o una qualifica professionale riferiti al “Sistema Regionale delle Qualifiche”.
  4. Poli tecnico-professionali, infine, sono “luoghi formativi gestiti insieme da Istituti Tecnici, Istituti Professionali, Enti di formazione, ITS e imprese che (…) permettono l’apprendimento di giovani e adulti”. I Poli, a tutt’oggi, sono stati avviati in via sperimentale nei settori agroalimentare e ristorazione, pesca, meccanica e aeronautico.

Un disegno complesso e articolato, ma con un filo rosso molto visibile; argomenta al riguardo l’Assessore Bianchi: “L’avvio di un’offerta formativa tecnica di rango superiore – postsecondaria ma non disposta dalle Università – risponde al bisogno, già sistematicamente affrontato in altri paesi dell’Unione europea, di sostenere processi di crescita di comparti produttivi in grado di qualificare lo sviluppo del paese, attraverso la definizione di profili professionali ‘strategici’ “(Cfr. Il ruolo della formazione tecnica e professionale nello sviluppo del Paese, in AA.VV. [2012], “Tra scuola e lavoro. Come aiutare i diplomati tecnici e professionali a trovare lavoro”, in Studi e documenti degli annali della pubblica Istruzione, 139, Firenze, Le Monnier). Dal disegno generale è giunto il momento di passare al caso concreto – un vero e proprio case-study – menzionato all’inizio.

Valceno, miracolo o scelta deliberata? Se le performance di Varano non sono frutto del caso, molto – per giudizio condiviso – lo si deve al ruolo della Dallara, guidata oggi dal fondatore Gianpaolo Dallara, che ne è tuttora presidente, e dall’Amministratore Delegato Andrea Pontremoli. Quest’ultimo, in più di un Seminario tenuto nella nostra Università, qui a Parma, si è soffermato – come esempio cruciale per meglio comprendere le (nuove) relazioni fra un’impresa di eccellenza e il suo territorio di tradizionale insediamento – su ciò che dall’inizio degli anni Duemila è stato costruito nel campo della formazione tecnica: “Ci sta molto a cuore la formazione per i giovanissimi (almeno diplomati), che sono disoccupati; la facciamo appoggiandoci agli Enti di formazione”. Come esempi fondamentali, Pontremoli ha spiegato che “Dallara è il partner principale per l’organizzazione, presso il plesso scolastico di Fornovo di Taro, sia del corso di ‘Tecnologo di Prodotto/Processo nella meccanica’, che del corso di ‘Disegnatore meccanico’. Abbiamo poi costituito in partnership con Acmi, A-Due, Barilla, Cedacri e Turbocoating il ‘Comitato tecnico scientifico presso l’I.I.S.S. Carlo Emilio Gadda’ volto, per l’appunto, a individuare un efficace raccordo tra gli obiettivi didattici e formativi dell’Istituto e le esigenze delle imprese del territorio. Da ultimo, nel quadro delle misure nazionali di promozione dell’istruzione tecnico-professionale, è nato – con delibera regionale – il ‘Polo per la Meccanica di Fornovo’ di cui fanno parte il già menzionato I.I.S.S. Gadda e l’I.T.I.S. Berenini di Fidenza, nonché tre Enti di formazione (Forma Futuro, Centro Servizi PMI e Cisita) e, insieme a noi, altre imprese private come Bercella e Carbon Fiber”.
Va poi aggiunto che nel luglio scorso, con una delibera della Giunta regionale dell’Emilia-Romagna, sono stati approvati i ‘Percorsi di istruzione e formazione tecnica superiore a valere sul piano triennale della Rete Politecnica regionale’ (di cui s’è detto al punto precedente). Ebbene, il progetto di cui Dallara è il partner principale – I.F.T.S. Tecnico di produzione dei materiali compositi per manufacturing avanzato, Fornovo di Taro – si è classificato al primo posto.
Un po’ di (sano) orgoglio fa dire a Pontremoli: “Ecco, in conclusione, un altro segno delle potenzialità del nostro territorio. La nostra più grande e profonda soddisfazione risiede nelle percentuali di assunzione dei giovani – diplomati e laureati – che escono dai vari percorsi tecnico-professionali. Sono percentuali strabilianti per l’Italia, che vanno dall’80% in su; anche del 100% in alcuni casi. Addirittura, in un caso, è stato necessario organizzare un’asta fra le aziende per assumere tutti i giovani usciti dal corso.”

Qualche insegnamento. Che cosa insegna, dunque, quest’esperienza – o esperimento, se si vuole – emiliano?
Per tentare una pur breve risposta, dobbiamo forse partire da ciò che hanno rappresentato gli ultimi anni che abbiamo vissuto, anni di una crisi apparentemente senza fine. Con tutte le principali macro-componenti della domanda aggregata col segno “meno” (pensiamo a consumi e investimenti) e con i vincoli che da anni attanagliano l’altra grossa macro-componente (spesa pubblica), non è fuori luogo affermare che sono state le esportazioni a salvare il Paese; esportazioni che in larga misura provengono dall’industria manifatturiera, così come sono a essa riconducibili la maggior parte delle spese in ricerca e sviluppo. Parliamo, si badi bene, nel caso di tutti i paesi industrializzati dell’Occidente (quelli dell’UE fra questi), di un’incidenza della manifattura sul totale dell’export e della R&S nell’ordine del 75-80%.
Ora, se le cose stanno così, alla manifattura vanno dedicate cure particolari da parte dei poteri pubblici. E’ giusto quindi osservare che siamo, in Europa, la “seconda manifattura dopo la Germania”: una sorta di mantra degli ultimi anni fra politici di ogni schieramento. Ma è necessario fare anche il passo successivo: adeguare istituti e politiche per l’intervento pubblico nell’economia in direzione del modello tedesco che – per restare al campo oggetto di quest’articolo – è articolato nelle “Fachhochschule” (per l’istruzione tecnica superiore) e nel “Fraunhofer Institute” (per la ricerca applicata e lo sviluppo pre-competitivo dei prodotti.
La Rete Politecnica dell’Emilia-Romagna rappresenta, crediamo, un buon punto di partenza per avvicinare il nostro sistema educativo al benchmark renano-germanico delle “Fachhochschule”, che non accidentalmente gli stessi tedeschi, quando devono illustrarlo all’esterno, lo chiamano University of Applied Sciences.
Beninteso, lungo è il cammino che resta da compiere per generalizzare e consolidare l’esperienza emiliano-romagnola sia all’interno della regione medesima, sia soprattutto a livello nazionale. Servirà, con tutta probabilità, un attento dosaggio delle competenze fra Stato centrale e Regioni in tema di formazione/educazione, e la riscrittura – attualmente in corso – del Titolo V della Costituzione può rappresentare un’opportunità. Lo stesso può dirsi per le competenze in tema di innovazione e trasferimento tecnologico, ove un’eccessiva frammentazione di interventi a livello regionale – com’è stato col Titolo V del 2001 – ha portato alla dispersione di risorse e a mancare sistematicamente l’obiettivo di costruire poli tecnologici di eccellenza (qui, la pietra di paragone tedesca del “Fraunhofer” è un obiettivo davvero lontano).
I toni e i contenuti del discorso pubblico nell’Italia dei nostri giorni non fanno ben sperare. La cura della manifattura di qualità e l’implementazione di nuove politiche industriali (grandemente incentrate sugli “investimenti in conoscenza”), richiedono la fatica di comprendere i fenomeni dell’economia reale e abbisognano di una visione di medio-lungo termine; due ingredienti che sembrano mancare a una buona fetta dell’attuale classe dirigente. Un motivo in più per continuare, come ricercatori, il nostro lavoro: che è quello di scavare sotto la superficie per trarne poi utili indicazioni per l’azione pubblica.

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