L’uscita dall’euro: perché non è centrata l’analisi di Rodano (II parte)

Salvatore Biasco conclude la sua analisi critica delle tesi sostenute da Rodano sugli effetti di un’eventuale uscita dall’euro. In particolare, Biasco si sofferma sui numerosi squilibri che si produrrebbero nei mercati finanziari e nei valori patrimoniali rispetto ai quali considera difficilmente realizzabile un efficace intervento pubblico di contrasto. Biasco prende poi in considerazione gli effetti macroeconomici degli aggiustamenti nei salari reali e conclude con una valutazione molto negativa sulle conseguenze dell’eventuale uscita dall’euro.

Ripercussioni perverse

Anche se lo Stato godesse di un periodo di grazia (a causa del consolidamento del debito) e le conseguenze dell’uscita ri­cadessero solo sui privati che operano nel mercato secondario (e che su questo misurino la loro ricchezza), potremmo considerare irrilevanti tali con­seguenze? Chi sono i privati? Banche e assicurazioni, l’estero, altre istitu­zioni finanziarie (tra cui fondi di investimento e pensioni), imprese, persone fisiche.

Le banche nazionali, cariche all’attivo di titoli di Stato, subireb­bero perdite notevoli, insopporta­bili senza l’aiuto del settore pubblico. For­se qualche banca italiana con pesanti ricapitalizzazio­ni si salve­rebbe (dipende anche da ciò che av­viene all’estero, dove non è escluso un contagio e altre crisi bancarie), ma il resto andrebbe nazionalizza­to. Come si può pensare allora che il mercato del credito rimanga flui­do? Alle perdite patrimoniali si ag­giunge il deterioramento del por­tafoglio di prestiti (già pericolosamente alti in Italia: il 14% dei crediti) e la caduta del valore delle azioni (o anche qui dobbiamo assumere l’“a parità di altre condizioni”?). Aggiungiamoci anche le perdite su debiti contrat­ti all’estero (ad esempio con la Bce) che non potranno essere ridenomi­nati in lire. Si ricordi che gli attivi delle banche sono oggi in Italia circa 4 volte il Pil e che il loro deterioramento ha un moltiplicatore insostenibile (di fronte a tutto ciò, non capisco proprio il riferimento a una situazione stabilizzata – punto di partenza di Rodano – se non nell’ambito del divertissement di cui ho detto).

Se i tassi di interesse non possono essere tenuti a un livello irrealistico, quanto più si avvicina­no al livello che avrebbero in una mercato aperto tanto più il con­trollo dei movimenti di capitale è un palliativo, con qualche effetto calmieratore solo nel breve perio­do. Prima o poi i mercati dei capitali dovranno essere aperti, a meno di obbligare i residenti esteri che hanno in­vestito in Italia a utilizzare i loro averi solo nel no­stro Paese. In ogni caso, solo in situazioni rivoluzionarie si può te­nere l’economia in condizioni arti­ficiali (e più sono artificiali più sono insostenibi­li).. Prima o poi, i controlli finiscono o si atte­nuano. Dovrà esser concesso ai non residenti di smobilitare (se lo desiderano) i loro titoli, sia pure in forte perdita, prima sul mercato secondario e poi su quello dei cambi. Diversamente, la reazio­ne internazionale sarebbe fortissi­ma e non mancherebbero le rappresaglie. A quel punto, sarebbe molto facile generare movimenti di capitale dei residenti vestiti in for­ma estera. Neppure la Cina riesce a controllare, malgrado siano proibite, entità straordinarie di uscite di capitale, che stanno eguagliando il suo attivo corrente.

Si potrà obbiettare che il grosso dei de­biti esteri dell’Italia al momento dell’uscita dall’euro probabilmen­te apparterrà non ai privati, ma a istituzioni ufficiali europee. Questo vorrebbe, però, dire che il sentore dell’uscita dall’euro ha pervaso il mercato prima dell’e­vento e che chi – residente o non – ha potuto proteggersi lo ha fatto, ritirando ciò che aveva in­vestito in Italia, trovando come controparte la banca centrale o i conti di Target 2. Vorrebbe anche dire che l’uscita dall’euro avverrebbe in una convulsa situazione di fuga di capitali, che avrà come protagonisti non solo i non residenti, ma anche i residenti pre­si dal panico. Prima dell’abbandono dell’euro, la sla­vina diventerebbe una va­langa che potrebbe essere contrastata dalla Bce, se lo ritenesse opportuno, o dalla Banca d’Italia, in una forma o in un altra, o altri privati che facessero la scelta contraria. Il tutto con tassi di interesse in fortissima tensione e la borsa in pesante ca­duta, cioè in condizioni che rendono l’uscita dall’euro tutt’altro che rassicurante e propi­zia per il futuro. Quando si alza bandiera bianca le misure mone­tarie devono essere rafforzate, ma esse hanno un effetto temporaneo e comunque molti buoi sono già scappati.

Non tutti i de­tentori di titoli finanziari potranno “salvarsi”, scaricando sulle istituzioni ufficiali (che intervengono sui mercati obbligazionari) i titoli del debito pubblico (e privato) che scottano. E anche se le istituzioni ufficiali avessero assorbito quei titoli (in quan­tità comunque parziale), questo non vorrebbe dire che siano usciti di scena, perché la Bce ne pretenderebbe la restituzione in euro e la BdI do­vrebbe coprire le perdite con le fi­nanze pubbliche. Vi è poi tutto il capitolo Tar­get 2.Quest’ultimoè il sistema che incanala ora tutti i pagamenti e le riscossioni transfron­taliere tra paesi dell’euro attraverso la Bce. Qualora vi siano deficit o surplus di paesi dell’area nelle transazioni reciproche (di natura finanziaria e reale) appaiono conte­stualmente crediti e debiti delle banche centrali verso la Bce. L’Italia è debitrice per poco meno di 200 miliardi a fine 2014.A meno di un de­fault “duro”, di puro e semplice ri­pudio del debito (quello ipotizzato è, invece, soft) Target 2 comporterà perdite di un certo rilievo per il conto patrimoniale dell’Italia.

Anche parte dei risparmi finanziari che i privati non banche avranno cercato di   accumulare nel tempo, andranno distrutti. In più l’incertezza sui loro redditi futuri , specie quelli che derivano da erogazioni dello Stato, rende improbabile un’espansione dei con­sumi. E anche gli investi­menti saranno frenati dal crollo degli atti­vi patrimoniali e di borsa delle im­prese, da incertezze del futuro, nonché dall’inasprimento del ser­vizio del debito, dall’aumento dei tassi di interesse passivi e dal so­stanziale crollo del settore crediti­zio. Non dimentichiamo che parte dei contratti finanziari tra privati sono in euro con controparti estere e anch’essi non potranno essere ri­denominati, con pesanti ripercus­sioni per i debitori residenti (che mai si compensano con i guadagni dei debitori).

Vi sono valvole di sicurezza?

Chi ci tira fuori da un possibile crollo dell’economia? Secondo il modello di Rodano la riduzione dei salari reali dovuta all’inflazione (che a sua volta segue la svalutazione) e la spesa autonoma (presumibilmente pubblica). I fautori dell’uscita dall’euro menzionerebbero le esportazioni, sostenute dalla svalutazione, e la libertà di azione del settore pubblico. Nel modello di Rodano le esportazioni non giocano alcun ruolo nella domanda, servono solo a determinare l’entità della svalutazione.

In entrambi i casi, l’estero sembra avere un ruolo neutro rispetto all’uscita dall’euro (maledette “a parità di condizioni” dell’analisi statica!). Come si fa a immaginare che il con­testo mondiale non muti e non si determini un contagio, accompagnato da un ma­rasma monetario internazionale (Lehman e oltre) di cui è difficile sottostimare la di­mensione?

Borse e mercati obbligazionari mondiali, rimarrebbero stabili? Dove si collocherebbero i tassi di interesse nei paesi più problematici? Se in Italia il rapporto tra attivi bancari e Pil è di meno di 4, in alcuni altri paesi europei è molto superiore. Certo, nessuno dei contratti siglati in precedenza sa­rebbe più sicuro e difficilmen­te potrebbe non seguirne una re­cessione mondiale considerando che nessun ope­ratore potrebbe più fidarsi degli altri e le auto­rità e le banche centrali avrebbero molte munizioni in meno rispetto al 2007-8. Ol­tretutto, si acuirebbe la guerra delle valute, accompagnata da for­me occulte o palesi di protezioni­smo, dalla quale saremmo più dan­neggiati che favoriti (se vi ci impe­gnassimo anche noi). I capitali mondiali andrebbero in rifugi si­curi, con buona pace della crescita delle economie emergenti, che subirebbero for­ti deflussi e dovrebbero effettuare svalutazioni competitive.

La presunta assenza di vincoli

E veniamo all’azione statale e al­l’occupazione. Rodano giustamente rileva che la possibilità di adottare politiche economiche espansive giustificherebbe la scelta di abbandonare la moneta unica. Ma sono davvero possibili queste politiche? E come verrebbero finanziate (questione su cui il modello tace)? Con una spesa privata pressoché bloccata, si dovrebbe ipotizzare una consi­stente espansione in deficit della spesa pubblica, con un saldo nega­tivo dell’ordine (almeno) del 5­-6%,(ora è poco sotto il 3%). Ciò esclude che possa esservi un periodo di grazia durante il quale lo Stato non ricorre­ al mercato; al contrario, dovrà fare acrobazie per non indebitarsi ai valori di mercato, che lo mette­rebbero in ginocchio. Lo Stato può puntare su una consistente inflazione, e provocarla deli­beratamente ma vi sarebbero conseguenze negative nel lungo periodo e sui patrimoni. Può chiede­re un prestito forzoso (ma a quali condizioni?). Può far finanziare dalla banca centrale il fabbisogno aggiuntivo attraverso il quantita­tive easing nostrano (forse è l’ipotesi implicita di Rodano). Ma dei limiti di quest’ultimo ho già detto (e poi ho forti dubbi sull’ipotesi del modello che l’aumento dell’offerta reale di moneta faccia aumentare proporzionalmente il reddito). Può ri­correre a una patrimoniale straor­dinaria per abbattere il debito e operare con più agio (ma questa è recessiva in sé, e lo è maggiormen­te in periodi in cui tutti i valori pa­trimoniali stanno cadendo). Il mercato dovrebbe scontare almeno cento miliardi (euro­equivalenti) in più all’anno di de­bito (stock), peraltro già accresciuto rispet­to al livello pre-­uscita per gli im­pegni che non hanno potuto essere ridenominati in lire.

Vi è poi la ricapitalizzazione delle banche, le spese per l’assicu­razione dei depositi e le perdite da ripianare della BdI. La situazione di partenza è già di caduta delle entrate statali (che difficilmente potrebbero essere risollevate) e di innalzamento dei tassi di interesse. Temo che in questa situazione un deficit dell’entità indicata (anche se attuabile) servirebbe a tamponare una recessione non a provocare espansione o a ristabilire la normalità. Le aspettative di non sostenibilità si rafforzereb­bero, moltiplicando il panico finan­ziario e la cautela nella program­mazione della spesa privata. Crescerebbe il ti­more che die­tro l’angolo ci sia non un default hard e non soft. Il tentati­vo individuale di proteggersi sarebbe dannoso per tutti, perché ac­centuerebbe la caduta dei valori patri­moniali (immobili, obbligazioni, azioni, fondi, ecc).

I salari e l’occupazione

La flessibilità in basso dei salari reali potrebbe far funzionare l’uscita dall’euro (ed è giusto che Rodano lo consideri un paradosso, visti gli obbiettivi dell’uscita) ma non sarebbe così se i salari fossero introdotti non solo come costo per le imprese – come nel modello – ma, più keynesianamente, come massa salariale, determinante per la domanda. Come funzionerebbe il modello senza questa omissione? Considerando i falli­menti che vi sarebbero nel settore produttivo (per il debito privato contratto verso l’estero in precedenza, per le difficoltà di credito e la caduta della domanda) è difficile che la massa salariale possa espandersi. Inoltre, le holding di diritto estero (anche quelle che un giorno sono state italiane) probabilmente non esiterebbero a trasferire altrove le unità produttive dislocate nel no­stro paese. L’occupazione ca­lerebbe inesorabilmente, compri­mendo ulteriormente i salari reali oltre l’effetto dell’inflazione. Il tentativo, giusto in queste condizioni, di proteggerne il potere di ac­quisto con l’indicizzazione all’in­flazione provocherebbe nel modello di Rodano un circolo vizioso di svalutazioni (se si può usare questo termine in un contesto di equilibrio statico) e comunque riguarderebbe solo il mercato formale del lavoro, che si re­stringerebbe sempre di più. I rapporti di forza squilibrati, renderebbero difficile per gli altri lavoratori re­cuperare l’inflazione e il peggiora­mento delle ragioni di scambio.

Conclusioni

Beninteso, non ritengo che non sia utile impadronirsi del modello di Rodano e, d’altro canto, le sue considerazioni più generali sono di sicuro interesse. Il merito del modello è di ricordare ai fautori dell’uscita dall’euro che le variabili cui attribuiscono carattere salvifico (esportazioni, spesa pubblica, occupazione, di solito tirate in ballo in isolamento) hanno complesse interazioni con il sistema economico; in particolare, vi sono effetti di ritorno negativamente correlati agli effetti primari che possono prendere il sopravvento. Basta questo per considerare quello di Rodano un contributo importante. Tuttavia, a causa di alcune omissioni e di difetti di ottica analitica, esso concede troppo alla possibilità che l’uscita dall’euro possa non equivalere a una catastrofe epocale, . Il terreno va sgombrato da un’opzione che non abbiamo. Il che nulla toglie alle caratteristiche distruttive insite nella costruzione e nel governo di questa valuta (quelle che Rodano sottolinea e altre ancora).

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