Ripercussioni perverse
Anche se lo Stato godesse di un periodo di grazia (a causa del consolidamento del debito) e le conseguenze dell’uscita ricadessero solo sui privati che operano nel mercato secondario (e che su questo misurino la loro ricchezza), potremmo considerare irrilevanti tali conseguenze? Chi sono i privati? Banche e assicurazioni, l’estero, altre istituzioni finanziarie (tra cui fondi di investimento e pensioni), imprese, persone fisiche.
Le banche nazionali, cariche all’attivo di titoli di Stato, subirebbero perdite notevoli, insopportabili senza l’aiuto del settore pubblico. Forse qualche banca italiana con pesanti ricapitalizzazioni si salverebbe (dipende anche da ciò che avviene all’estero, dove non è escluso un contagio e altre crisi bancarie), ma il resto andrebbe nazionalizzato. Come si può pensare allora che il mercato del credito rimanga fluido? Alle perdite patrimoniali si aggiunge il deterioramento del portafoglio di prestiti (già pericolosamente alti in Italia: il 14% dei crediti) e la caduta del valore delle azioni (o anche qui dobbiamo assumere l’“a parità di altre condizioni”?). Aggiungiamoci anche le perdite su debiti contratti all’estero (ad esempio con la Bce) che non potranno essere ridenominati in lire. Si ricordi che gli attivi delle banche sono oggi in Italia circa 4 volte il Pil e che il loro deterioramento ha un moltiplicatore insostenibile (di fronte a tutto ciò, non capisco proprio il riferimento a una situazione stabilizzata – punto di partenza di Rodano – se non nell’ambito del divertissement di cui ho detto).
Se i tassi di interesse non possono essere tenuti a un livello irrealistico, quanto più si avvicinano al livello che avrebbero in una mercato aperto tanto più il controllo dei movimenti di capitale è un palliativo, con qualche effetto calmieratore solo nel breve periodo. Prima o poi i mercati dei capitali dovranno essere aperti, a meno di obbligare i residenti esteri che hanno investito in Italia a utilizzare i loro averi solo nel nostro Paese. In ogni caso, solo in situazioni rivoluzionarie si può tenere l’economia in condizioni artificiali (e più sono artificiali più sono insostenibili).. Prima o poi, i controlli finiscono o si attenuano. Dovrà esser concesso ai non residenti di smobilitare (se lo desiderano) i loro titoli, sia pure in forte perdita, prima sul mercato secondario e poi su quello dei cambi. Diversamente, la reazione internazionale sarebbe fortissima e non mancherebbero le rappresaglie. A quel punto, sarebbe molto facile generare movimenti di capitale dei residenti vestiti in forma estera. Neppure la Cina riesce a controllare, malgrado siano proibite, entità straordinarie di uscite di capitale, che stanno eguagliando il suo attivo corrente.
Si potrà obbiettare che il grosso dei debiti esteri dell’Italia al momento dell’uscita dall’euro probabilmente apparterrà non ai privati, ma a istituzioni ufficiali europee. Questo vorrebbe, però, dire che il sentore dell’uscita dall’euro ha pervaso il mercato prima dell’evento e che chi – residente o non – ha potuto proteggersi lo ha fatto, ritirando ciò che aveva investito in Italia, trovando come controparte la banca centrale o i conti di Target 2. Vorrebbe anche dire che l’uscita dall’euro avverrebbe in una convulsa situazione di fuga di capitali, che avrà come protagonisti non solo i non residenti, ma anche i residenti presi dal panico. Prima dell’abbandono dell’euro, la slavina diventerebbe una valanga che potrebbe essere contrastata dalla Bce, se lo ritenesse opportuno, o dalla Banca d’Italia, in una forma o in un altra, o altri privati che facessero la scelta contraria. Il tutto con tassi di interesse in fortissima tensione e la borsa in pesante caduta, cioè in condizioni che rendono l’uscita dall’euro tutt’altro che rassicurante e propizia per il futuro. Quando si alza bandiera bianca le misure monetarie devono essere rafforzate, ma esse hanno un effetto temporaneo e comunque molti buoi sono già scappati.
Non tutti i detentori di titoli finanziari potranno “salvarsi”, scaricando sulle istituzioni ufficiali (che intervengono sui mercati obbligazionari) i titoli del debito pubblico (e privato) che scottano. E anche se le istituzioni ufficiali avessero assorbito quei titoli (in quantità comunque parziale), questo non vorrebbe dire che siano usciti di scena, perché la Bce ne pretenderebbe la restituzione in euro e la BdI dovrebbe coprire le perdite con le finanze pubbliche. Vi è poi tutto il capitolo Target 2.Quest’ultimoè il sistema che incanala ora tutti i pagamenti e le riscossioni transfrontaliere tra paesi dell’euro attraverso la Bce. Qualora vi siano deficit o surplus di paesi dell’area nelle transazioni reciproche (di natura finanziaria e reale) appaiono contestualmente crediti e debiti delle banche centrali verso la Bce. L’Italia è debitrice per poco meno di 200 miliardi a fine 2014.A meno di un default “duro”, di puro e semplice ripudio del debito (quello ipotizzato è, invece, soft) Target 2 comporterà perdite di un certo rilievo per il conto patrimoniale dell’Italia.
Anche parte dei risparmi finanziari che i privati non banche avranno cercato di accumulare nel tempo, andranno distrutti. In più l’incertezza sui loro redditi futuri , specie quelli che derivano da erogazioni dello Stato, rende improbabile un’espansione dei consumi. E anche gli investimenti saranno frenati dal crollo degli attivi patrimoniali e di borsa delle imprese, da incertezze del futuro, nonché dall’inasprimento del servizio del debito, dall’aumento dei tassi di interesse passivi e dal sostanziale crollo del settore creditizio. Non dimentichiamo che parte dei contratti finanziari tra privati sono in euro con controparti estere e anch’essi non potranno essere ridenominati, con pesanti ripercussioni per i debitori residenti (che mai si compensano con i guadagni dei debitori).
Vi sono valvole di sicurezza?
Chi ci tira fuori da un possibile crollo dell’economia? Secondo il modello di Rodano la riduzione dei salari reali dovuta all’inflazione (che a sua volta segue la svalutazione) e la spesa autonoma (presumibilmente pubblica). I fautori dell’uscita dall’euro menzionerebbero le esportazioni, sostenute dalla svalutazione, e la libertà di azione del settore pubblico. Nel modello di Rodano le esportazioni non giocano alcun ruolo nella domanda, servono solo a determinare l’entità della svalutazione.
In entrambi i casi, l’estero sembra avere un ruolo neutro rispetto all’uscita dall’euro (maledette “a parità di condizioni” dell’analisi statica!). Come si fa a immaginare che il contesto mondiale non muti e non si determini un contagio, accompagnato da un marasma monetario internazionale (Lehman e oltre) di cui è difficile sottostimare la dimensione?
Borse e mercati obbligazionari mondiali, rimarrebbero stabili? Dove si collocherebbero i tassi di interesse nei paesi più problematici? Se in Italia il rapporto tra attivi bancari e Pil è di meno di 4, in alcuni altri paesi europei è molto superiore. Certo, nessuno dei contratti siglati in precedenza sarebbe più sicuro e difficilmente potrebbe non seguirne una recessione mondiale considerando che nessun operatore potrebbe più fidarsi degli altri e le autorità e le banche centrali avrebbero molte munizioni in meno rispetto al 2007-8. Oltretutto, si acuirebbe la guerra delle valute, accompagnata da forme occulte o palesi di protezionismo, dalla quale saremmo più danneggiati che favoriti (se vi ci impegnassimo anche noi). I capitali mondiali andrebbero in rifugi sicuri, con buona pace della crescita delle economie emergenti, che subirebbero forti deflussi e dovrebbero effettuare svalutazioni competitive.
La presunta assenza di vincoli
E veniamo all’azione statale e all’occupazione. Rodano giustamente rileva che la possibilità di adottare politiche economiche espansive giustificherebbe la scelta di abbandonare la moneta unica. Ma sono davvero possibili queste politiche? E come verrebbero finanziate (questione su cui il modello tace)? Con una spesa privata pressoché bloccata, si dovrebbe ipotizzare una consistente espansione in deficit della spesa pubblica, con un saldo negativo dell’ordine (almeno) del 5-6%,(ora è poco sotto il 3%). Ciò esclude che possa esservi un periodo di grazia durante il quale lo Stato non ricorre al mercato; al contrario, dovrà fare acrobazie per non indebitarsi ai valori di mercato, che lo metterebbero in ginocchio. Lo Stato può puntare su una consistente inflazione, e provocarla deliberatamente ma vi sarebbero conseguenze negative nel lungo periodo e sui patrimoni. Può chiedere un prestito forzoso (ma a quali condizioni?). Può far finanziare dalla banca centrale il fabbisogno aggiuntivo attraverso il quantitative easing nostrano (forse è l’ipotesi implicita di Rodano). Ma dei limiti di quest’ultimo ho già detto (e poi ho forti dubbi sull’ipotesi del modello che l’aumento dell’offerta reale di moneta faccia aumentare proporzionalmente il reddito). Può ricorrere a una patrimoniale straordinaria per abbattere il debito e operare con più agio (ma questa è recessiva in sé, e lo è maggiormente in periodi in cui tutti i valori patrimoniali stanno cadendo). Il mercato dovrebbe scontare almeno cento miliardi (euroequivalenti) in più all’anno di debito (stock), peraltro già accresciuto rispetto al livello pre-uscita per gli impegni che non hanno potuto essere ridenominati in lire.
Vi è poi la ricapitalizzazione delle banche, le spese per l’assicurazione dei depositi e le perdite da ripianare della BdI. La situazione di partenza è già di caduta delle entrate statali (che difficilmente potrebbero essere risollevate) e di innalzamento dei tassi di interesse. Temo che in questa situazione un deficit dell’entità indicata (anche se attuabile) servirebbe a tamponare una recessione non a provocare espansione o a ristabilire la normalità. Le aspettative di non sostenibilità si rafforzerebbero, moltiplicando il panico finanziario e la cautela nella programmazione della spesa privata. Crescerebbe il timore che dietro l’angolo ci sia non un default hard e non soft. Il tentativo individuale di proteggersi sarebbe dannoso per tutti, perché accentuerebbe la caduta dei valori patrimoniali (immobili, obbligazioni, azioni, fondi, ecc).
I salari e l’occupazione
La flessibilità in basso dei salari reali potrebbe far funzionare l’uscita dall’euro (ed è giusto che Rodano lo consideri un paradosso, visti gli obbiettivi dell’uscita) ma non sarebbe così se i salari fossero introdotti non solo come costo per le imprese – come nel modello – ma, più keynesianamente, come massa salariale, determinante per la domanda. Come funzionerebbe il modello senza questa omissione? Considerando i fallimenti che vi sarebbero nel settore produttivo (per il debito privato contratto verso l’estero in precedenza, per le difficoltà di credito e la caduta della domanda) è difficile che la massa salariale possa espandersi. Inoltre, le holding di diritto estero (anche quelle che un giorno sono state italiane) probabilmente non esiterebbero a trasferire altrove le unità produttive dislocate nel nostro paese. L’occupazione calerebbe inesorabilmente, comprimendo ulteriormente i salari reali oltre l’effetto dell’inflazione. Il tentativo, giusto in queste condizioni, di proteggerne il potere di acquisto con l’indicizzazione all’inflazione provocherebbe nel modello di Rodano un circolo vizioso di svalutazioni (se si può usare questo termine in un contesto di equilibrio statico) e comunque riguarderebbe solo il mercato formale del lavoro, che si restringerebbe sempre di più. I rapporti di forza squilibrati, renderebbero difficile per gli altri lavoratori recuperare l’inflazione e il peggioramento delle ragioni di scambio.
Conclusioni
Beninteso, non ritengo che non sia utile impadronirsi del modello di Rodano e, d’altro canto, le sue considerazioni più generali sono di sicuro interesse. Il merito del modello è di ricordare ai fautori dell’uscita dall’euro che le variabili cui attribuiscono carattere salvifico (esportazioni, spesa pubblica, occupazione, di solito tirate in ballo in isolamento) hanno complesse interazioni con il sistema economico; in particolare, vi sono effetti di ritorno negativamente correlati agli effetti primari che possono prendere il sopravvento. Basta questo per considerare quello di Rodano un contributo importante. Tuttavia, a causa di alcune omissioni e di difetti di ottica analitica, esso concede troppo alla possibilità che l’uscita dall’euro possa non equivalere a una catastrofe epocale, . Il terreno va sgombrato da un’opzione che non abbiamo. Il che nulla toglie alle caratteristiche distruttive insite nella costruzione e nel governo di questa valuta (quelle che Rodano sottolinea e altre ancora).