L’Italicum: aspetti essenziali

Marco Polese, prendendo le mosse dalla riforma costituzionale, esamina la legge elettorale approvata nel 2015 (c.d. italicum) e le sue principali caratteristiche, quali il premio di maggioranza, la soglia di sbarramento, nonché il voto di preferenza e i capilista bloccati. Polese ricorda anche la pendenza di una questione di legittimità costituzionale relativa a tale legge e la possibilità che il testo sia comunque modificato. Infine, si interroga sul quadro normativo che risulterà applicabile in base all’esito referendario.

Manca ormai poco alla data del 4 dicembre, giorno in cui si terrà il referendum costituzionale sulla riforma della Carta fondamentale, riforma fortemente voluta dal Governo Renzi e su cui in questa Rivista già sono stati pubblicati articoli e schede esplicative.

Scopo del presente contributo non sarà, tuttavia, l’analisi di una o più delle molteplici disposizioni della Costituzione oggetto di modifica, ma l’esame della legge elettorale attualmente vigente (n. 52/2015, c.d. italicum). Tale provvedimento ha infatti anticipato sotto alcuni profili uno dei tratti distintivi della riforma costituzionale, rappresentato dal superamento del bicameralismo perfetto e dell’elezione diretta dei senatori. Ciò in quanto una caratteristica fondamentale dell’italicum è data proprio dalla sua idoneità a regolare solo l’elezione della Camera dei deputati, nulla stabilendo in merito alla composizione dell’altro ramo del Parlamento, essendo, all’epoca della sua approvazione, già in corso il procedimento di revisione costituzionale, conclusosi lo scorso aprile.

La legge elettorale attualmente vigente presenta, invero, ulteriori peculiarità sia in ordine al procedimento di approvazione, sia per quanto concerne il suo contenuto precettivo, peculiarità che giova analizzare. Cominciando dal primo dei profili ora menzionati, deve osservarsi che l’iter parlamentare dell’italicum si è caratterizzato per alcune singolarità, tutte accomunate dalla finalità di “blindare” il testo e fra cui possono essere richiamate le seguenti: anzitutto, il ricorso al Senato a quello che giornalisticamente viene chiamato “super-canguro”, c’est à dire l’approvazione di un emendamento finalizzato a far decadere in un colpo solo tutti gli altri emendamenti presentati al disegno di legge; vi è stata, poi, la sostituzione di dieci componenti del Partito democratico in seno alla Commissione Affari costituzionali della Camera; si è fatto ricorso, infine, alla questione di fiducia per la votazione finale alla Camera.

Per quanto concerne il contenuto del provvedimento, inoltre, ogni considerazione deve prendere le mosse dalla “storica” sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale – dichiarativa dell’illegittimità di alcune disposizioni della precedente legge elettorale (n. 270/2005) – che, se da un lato ha reso non più rinviabile l’adozione di una nuova disciplina, dall’altro ha anche fornito indicazioni al legislatore, alcune delle quali sono state recepite all’interno dell’italicum.

Più in generale, il sistema elettorale disegnato dalla l. n. 52/2015 si caratterizza (a) per essere di tipo proporzionale ma con premio di maggioranza, (b) per la previsione di una clausola di sbarramento e (c) per la presenza del voto di preferenza, accanto ai capilista bloccati.

Quanto al premio di maggioranza – che, diversamente dal sistema previgente, spetta alla lista e non più alla coalizione – la sua attribuzione è subordinata al raggiungimento di una soglia minima di voti validi pari al 40% e determina l’assegnazione di 340 seggi in seno alla Camera. Qualora nessuna lista raggiunga tale percentuale di consenso, per l’ottenimento del medesimo numero di seggi è previsto il c.d. ballottaggio, che si svolge fra le due liste più votate.

Se nel primo turno la presenza di una soglia minima di voti per beneficiare del premio rappresenta l’adeguamento a quanto stabilito dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1/2014, che aveva sanzionato la possibile eccessiva divaricazione fra la composizione del Parlamento e la volontà degli elettori, diverse considerazioni devono essere fatte per il turno di ballottaggio. In tale evenienza, infatti, potrebbe reiterarsi una forte sproporzione fra i voti conquistati della lista al primo turno e i seggi ottenuti, eventualità probabile se si considera lo scenario politico attuale, dove ad alcuna lista è attribuita una percentuale di voto anche solo prossima al 40%.

Accanto al premio, un ulteriore correttivo in senso maggioritario è dato dalla presenza di un’unica soglia di sbarramento pari al 3%. Anche in tale circostanza, inoltre, vi sono differenze rispetto al previgente sistema, che prevedeva soglie differenziate a seconda che la lista fosse inserita o meno all’interno di una coalizione e a seconda che il riferimento fosse a quest’ultima ovvero alla singola formazione.

La medesima ratio che accomuna il premio di maggioranza e la soglia di sbarramento ha indotto parte della dottrina ad interrogarsi, per la seconda, circa l’opportunità di una cifra relativamente contenuta. Ed invero, l’interazione dei due correttivi determinerebbe en même temps una composizione dell’organo rappresentativo che vedrebbe, da un lato, la presenza di un’unica forza politica di sostegno al governo rappresentata dalla lista beneficiaria del premio e, dall’altro, la polverizzazione delle numerose liste di opposizione, notevolmente frammentate fra di loro; deve però osservarsi che la presenza di una soglia di sbarramento più corposa non scongiurerebbe automaticamente tali rischi, poiché, in quest’ipotesi, le singole liste potrebbero confluire in un unico soggetto, per poi dividersi nuovamente dopo le elezioni. Anche per tale ragione vi è in dottrina chi ha sostenuto (AINIS) l’opportunità di un premio di minoranza, da assegnarsi al maggior partito di opposizione, in guisa da individuare un primus inter pares da contrapporre alla lista di maggioranza.

Una terza caratteristica dell’italicum è rappresentata, infine, dalla contemporanea presenza del voto di preferenza e di cento capilista bloccati. La possibilità per l’elettore di effettuare una scelta rappresenta, anche in questo caso, il recepimento delle indicazioni della Consulta, che, nella già ricordata sentenza n. 1/2014, aveva obliterato le liste bloccate della precedente legge elettorale, sia pure precisando che non sempre la mancata possibilità di esprimere un voto di preferenza è da considerarsi illegittima.

La scelta che l’elettore può compiere consiste ora nell’indicazione di una doppia preferenza, che però deve essere alternata per genere, a pena di invalidità della seconda indicazione. Si tratta di una misura che rientra fra i meccanismi finalizzati ad assicurare quanto più possibile le pari opportunità e che, nella legge elettorale vigente, si accompagna anche al divieto per ciascuna formazione di candidare più del 60% di persone dello stesso sesso e all’alternanza uomo/donna fra i candidati all’interno di ogni lista.

Oltre al voto di preferenza, vi sono cento capilista bloccati, che possono presentare contemporaneamente la propria candidatura fino ad un massimo di dieci collegi (su cento totali). La presenza di queste personalità individuate da ciascun partito rischia di determinare, tuttavia, una diversa legittimazione dei diversi gruppi presenti alla Camera, atteso che, mentre per la formazione beneficiaria del premio di maggioranza almeno 240 deputati sarebbero pur sempre individuati sulla base della preferenza espressa dagli elettori (ma il numero è destinato ad aumentare nel caso di numerose multicandidature, che ridurrebbero la componente nominata al di sotto delle cento unità); per le opposizioni i parlamentari potrebbero essere anche integralmente individuati fra i capilista bloccati, a seconda dei seggi spettanti ad ogni singola lista.

Se questi sono i tratti fondamentali della legge elettorale novellata nel 2015, la possibilità che tale disciplina subisca delle modifiche prima di trovare applicazione non è peregrina. Deve osservarsi, infatti, che lo scorso febbraio è stata sollevata dal Tribunale di Messina una questione di legittimità costituzionale avente ad oggetto proprio l’italicum. L’ordinanza di rimessione – che si caratterizza per una pressoché totale identità rispetto al giudizio a quo della sentenza n. 1/2014 – ha ritenuto non manifestamente infondata la questione con riferimento, tra il resto, all’attribuzione del premio di maggioranza (sia nel caso di raggiungimento del 40% dei voti, perché la soglia viene calcolata sui voti validi e non sugli elettori, sia nel caso di ballottaggio), alla previsione della clausola di sbarramento, alla presenza dei capilista bloccati (perché le opposizioni rischierebbero di essere largamente composte dai capilista bloccati) e alla sua applicazione solo per l’elezione della Camera dei deputati.

Anche a prescindere dalla questione di legittimità sollevata – la cui udienza, originariamente prevista per il 4 ottobre è stata dalla Consulta rinviata in data successiva al referendum – qualora l’iter della riforma si concluda positivamente, la legge elettorale in esame potrebbe essere oggetto di uno scrutinio di costituzionalità, in forza della disciplina transitoria dettata dalla riforma costituzionale, che consente alle minoranze parlamentari, di sottoporre le leggi elettorali di Camera e Senato al giudizio preventivo della Corte costituzionale, sulla falsariga di quanto previsto dal “nuovo” art. 73, 2° comma Cost..

La possibilità che si pervenga a una modifica del testo dell’italicum non è tuttavia limitata ad un intervento del giudice delle leggi, dal momento che una commissione istituita all’interno del Partito democratico ha raggiunto un accordo in merito al superamento del ballottaggio e al premio di governabilità da assegnare non più alla lista ma alla colazione, alla sostituzione delle liste bloccate con i collegi uninominali e alla elezione diretta da parte dei cittadini dei componenti del nuovo Senato.

Una notazione conclusiva che sembra opportuno svolgere in questa sede riguarda il diverso quadro normativo applicabile a seconda dell’esito referendario e, più in particolare, come pervenire all’individuazione dei senatori, posto che, come già precisato, l’italicum disciplina soltanto l’elezione della Camera dei deputati. Per tale ragione, nel caso di vittoria del sì, occorrerà attendere la legge di attuazione prevista dall’ultimo comma del “nuovo” art. 57 Cost., fermo restando – in assenza di ulteriori interventi del legislatore – il carattere non più diretto dell’elezione del Senato; qualora invece fosse il no a prevalere, l’elezione dei deputati e dei senatori sarà regolata diversamente, poiché per quest’ultimi troverà applicazione la disciplina prevista dalla l. n. 270/2005 – nella formulazione risultante dalla declaratoria di illegittimità costituzionale (sent. n. 1/2014) – che delinea un sistema di tipo proporzionale senza attribuzione di alcun premio, rendendo elevato il rischio di maggioranze diverse all’interno dei due rami del Parlamento.

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