Le politiche per la domanda nell’Annual Growth Survey della Commissione Europea: un riconoscimento formale?

Aster esamina l’Annual Growth Survey 2015, pubblicata da poco dalla Commissione europea. Dopo avere ricordato che si tratta di un documento importante, che apre il ciclo di governance europea, Aster ne analizza i contenuti soffermandosi sul ruolo attribuito alle politiche per la domanda nella complessiva strategia di crescita. L’analisi mette in evidenza, in particolare, la debolezza, e anche la limitata coerenza, degli interventi suggeriti per sostenere la domanda.

In Europa il nuovo anno è già iniziato. L’Annual Growth Survey 2015 [1. http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/2015/ags2015_en.pdf]pubblicata il 28 novembre scorso, infatti, sancisce formalmente l’apertura del nuovo ciclo economico di governance europea presentando le priorità della neo-insediata Commissione per il 2015. Si tratta di un importante documento che merita più attenzione di quanta ne riceva.

Alla sua quinta edizione, la Annual Growth Survey (AGS) si inserisce nell’ambito della Strategia europea per la crescita di lungo periodo (la Strategia Europa 2020),  tracciando le misure e gli obiettivi prioritari che la Commissione intende perseguire nel corso dell’anno; inoltre, esso apre il nuovo Semestre europeo, vale a dire il processo di coordinamento annuale delle politiche economiche e di bilancio all’interno dell’Unione europea che rappresenta  la lente attraverso cui la Commissione valuta  la performance degli Stati membri in termini di politiche per la crescita.

Prima di esaminare l’AGS per il 2015, è utile ricordare come questo documento si collochi nell’ambito della governance europea fondata sul Semestre europeo. Istituito nel 2011, il Semestre europeo è nato con l’obiettivo di guidare gli Stati membri verso un percorso di crescita coerente con la Strategia Europa 2020 e, al contempo, di garantire che essi adottino politiche di bilancio in linea con il Patto di Stabilità e Crescita e prevengano squilibri macroeconomici. Il Semestre europeo rappresenta, quindi, la massima espressione dello sforzo di sincronizzazione delle politiche economiche degli Stati membri, coordinato dalle Istituzioni europee. Tale sincronizzazione si basa sull’identificazione da parte della Commissione di direttrici comuni per le politiche economiche e le riforme nazionali sollecitate in base alle priorità dell’ AGS e attraverso la definizione di un percorso di monitoraggio scandito da una tempistica comune. Così, ad esempio, tutti gli Stati membri sono tenuti a predisporre annualmente i Programmi nazionali di riforma tenendo conto degli obiettivi individuati nell’AGS e devono sottoporli al giudizio della Commissione europea entro il mese di aprile. Il monitoraggio e l’attività di indirizzo confluiscono nelle raccomandazioni che la Commissione rivolge agli Stati membri a giugno di ogni anno.

Per il 2015, l’AGS parte dalla constatazione che, malgrado gli sforzi compiuti, la ripresa economica tarda ad arrivare ed è più debole di quanto ci si attendesse  solo un anno fa. Le cause principali  di questo deludente andamento sono ricondotte al contesto internazionale oltre che  alla frammentazione dei mercati finanziari europei, all’indebitamento pubblico e privato e all’incertezza sull’attuazione delle riforme strutturali. Per stimolare la crescita, la Commissione afferma che è necessario un approccio integrato in grado di agire sia dal lato dell’offerta che dal lato della domanda. A tal fine, i principali interventi raccomandati per il 2015 si concentrano in tre aree: sostegno agli investimenti; promozione delle riforme strutturali; rafforzamento della responsabilità fiscale degli Stati membri.

Relativamente al sostegno agli investimenti, oltre ai fondi strutturali europei già stanziati per il periodo 2014-2020 (corrispondenti a circa 350 miliardi), l’AGS 2015 annuncia l’istituzione di un nuovo piano di investimenti per l’Europa (il cosiddetto piano Juncker) attraverso l’istituzione di un Fondo per gli investimenti strategici (EFSI) alimentato inizialmente con 21 miliardi (provenienti dal bilancio europeo e dalla Banca europea per gli investimenti).  Si ritiene che questo Fondo fornirà garanzie per nuovi investimenti in infrastrutture in grado di attrarre risorse pubbliche e private per oltre 315 miliardi di euro. Per quanto riguarda le riforme strutturali, la Commissione sollecita interventi quali: liberalizzazioni del mercato dei servizi e dei prodotti, maggiore efficienza nella P.A., qualità della spesa per Ricerca e Sviluppo. Inoltre vengono sollecitate riforme del mercato del lavoro volte a ridurre la segmentazione, stimolare le formazione continua e la mobilità dei lavoratori su scala europea, eliminare i disincentivi fiscali all’offerta di lavoro e promuovere la crescita dei salari in linea con la produttività, anche attraverso la decentralizzazione della contrattazione. Infine, relativamente al rafforzamento della responsabilità fiscale, si suggerisce agli Stati membri di portare avanti il processo di consolidamento fiscale tenendo, però, conto anche  delle esigenze di crescita. Pertanto, si sollecitano riforme fiscali volte a ridurre le imposte sul lavoro (ritenute un ostacolo alla crescita), ad incrementare le imposte indirette su consumi e beni immobiliari (ritenute meno distorsive) e a promuovere una spesa pubblica più efficiente.

Le priorità individuate per il 2015 sono complessivamente in linea con quelle degli anni scorsi. Tuttavia, rispetto alle versioni precedenti, l’AGS 2015 esplicita la necessità di un approccio integrato “acting both on the demand and supply side or our economies”, che agisca, cioè, non solo dal lato dell’offerta, ma anche dal lato della domanda. Se, rispetto al passato, il riconoscimento della necessità di promuovere anche politiche della domanda è certamente apprezzabile,  una serie di elementi  fa dubitare che la Commissione europea abbia definitivamente preso coscienza del fatto che, per tornare a crescere, agire solo sull’offerta non basta. In primo luogo, la debole dinamica della domanda interna non è elencata tra gli elementi alla base della scarsa crescita registrata in Europa. Inoltre, l’obiettivo di stimolare la crescita attraverso gli investimenti si scontra con l’oramai palese debolezza del nuovo piano Juncker, legata soprattutto all’incertezza circa l’entità delle risorse che il nuovo fondo sarà effettivamente in grado di attrarre (su questo punto si sono espresse varie voci, tra cui il think tank Bruegel [2. http://www.bruegel.org/nc/blog/detail/article/1491-junckers-investment-plan-no-risk-no-return/?utm_source=Bruegel+Updates&utm_campaign=817defb2f6-Bruegel+Update&utm_medium=email&utm_term=0_eb026b984a-817defb2f6-278040617http:/] e Fitoussi [3. http://www.repubblica.it/economia/rapporti/osserva-italia/mercati/2014/12/04/news/il_piano_juncker_non_esiste_l_ue_deve_cambiare_strada-102098582/?ref=HRLV-4]).

In realtà, tra le ragioni della debole dinamica degli investimenti in Europa, l’AGS 2015 include la difficoltà di accesso al credito, la debole domanda e l’elevato indebitamento delle famiglie. Tuttavia, questa analisi mal si concilia con i continui suggerimenti di ulteriore flessibilizzazione del mercato del lavoro e di decentramento della contrattazione anche a livello d’impresa. Queste politiche, da una lato, sono discutibili dal punto di vista teorico e politico poiché sollevano difficoltà in merito alla effettiva misurabilità della produttività del singolo individuo e al fatto che la sua dinamica, al livello di settore o di impresa, sia imputata sempre e solo al lavoratore; dall’altro, provocano un inevitabile indebolimento della posizione contrattuale dei lavoratori e un conseguente effetto deflattivo sui salari che si ripercuote sulla componente consumi della domanda interna.

Ancora, benché si faccia riferimento ad una responsabilità fiscale differenziata a seconda delle specificità nazionali e si sollecitino gli Stati membri che hanno spazio di manovra a sostenere  la crescita, non si richiede ai paesi in surplus di finanza pubblica o di bilancia commerciale di stimolare la domanda interna. Come è noto, malgrado nelle raccomandazioni rivolte nel 2014 ad alcuni Stati membri (in primis la Germania) fossero contenute indicazioni in tal senso, la governance europea è, nei fatti, caratterizzata da una netta asimmetria nel trattamento delle situazioni di surplus e di deficit (estero o interno).

Inoltre, ben scarsa è l’attenzione riservata alle politiche di contrasto alla povertà, nonostante  le analisi dei  progressi fin qui compiuti per raggiungere gli obiettivi della strategia Europa 2020 [4. http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/europe2020stocktaking_en.pdf] rendano pressochè certo che l’obiettivo di sollevare dallo stato di povertà almeno 20 milioni di persone entro il 2020 non sarà raggiunto. Al contrario, il numero di persone a rischio povertà nell’Unione europea è aumentato, tra  il 2009 e il  2012, di 10 milioni di unità. Anche i riferimenti ai sistemi di Welfare riguardano soprattutto il controllo della spesa  e degli incentivi a ridurre l’offerta di lavoro da parte dei percettori di sussidi di disoccupazione.  E’, invece, assente qualsiasi riflessione  sul problema della reale efficacia o qualità dei servizi offerti. Infine, manca qualsivoglia  accenno alle diseguaglianze, all’opportunità di contrastarle e al fatto che un loro inasprimento può ostacolare la stessa crescita, come mostra anche un recente lavoro dell’ OCSE [5. http://www.oecd.org/els/soc/Focus-Inequality-and-Growth-2014.pdf].

In conclusione, l’AGS 2015 esplicita la necessità di stimolare la crescita con interventi non solo dal lato dell’offerta, ma anche dal lato della domanda. Tuttavia, gli interventi proposti in termini di stimolo alla domanda appaiono poco significativi se non talvolta poco coerenti tra loro. L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, cantava Lucio Dalla. Noi speriamo che l’anno prossimo ci sia qualche vera novità.

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