Le nuove Camere del Lavoro

Tommaso Gianni presenta una interessante iniziativa che ha contribuito a realizzare a Roma: la creazione di tre Camere del Lavoro rivolte al Lavoro Autonomo e Precario. La ragion d’essere di tali Camere è non solo quella, per quanto importante, di fornire una tutela contrattuale a lavoratori che ne sono largamente privi. È anche quella di sperimentare nuove forme di partecipazione dei lavoratori in grado di coniugare mutualità e contrattazione, conflitto e solidarietà, in sintesi, di attivare pratiche sociali che possano costituire esempi di nuove modalità, partecipative e dal basso, di produzione

CLAP è un acronimo che sta per Camere del Lavoro Autonomo e Precario. Le Camere nascono nell’autunno 2013 in tre spazi autogestiti della città di Roma (la fabbrica recuperata Officine Zero, l’atelier autogestito Esc e lo studentato autogestito Puzzle) e da subito si connettono in una comune associazione sindacale.

Alla base di tale giovane esperimento vi è l’esigenza di riempire quel vuoto lasciato dal sindacato nella tutela del lavoro precario, autonomo, parasubordinato e migrante. Per affrontare tale problema, uno dei più gravosi del nostro tempo, CLAP ha deciso di confrontarsi con una duplice sfida, insieme innovativa ed anacronistica: trasformare gli spazi autogestiti in un nuovo dispositivo sindacale e riportare il sindacato alla forma della Camera del lavoro. Queste due scommesse, come ha scritto di recente Francesco Raparelli – il coordinatore di CLAP – convergono e corrono su un unico decisivo binario, ossia la necessità di mettere fine alla dicotomia tra pratiche mutualistiche e contrattazione, tra conflitto (verticale) e solidarietà (orizzontale). Per comprendere appieno il senso di tale esperimento, è il caso di fare un passo indietro e riferirsi alle articolate e profonde dinamiche sociali a cui esso cerca di dare una risposta.

Il dato da cui dobbiamo partire è quello dell’inesorabile declino dei sindacati nell’ultimo trentennio, le cui nocive conseguenze per la società sono state proprio in questi giorni evidenziate da F. Jaumotte e C. Osorio Buitron, due economiste del Fondo Monetario Internazionale. Nella loro ricerca pubblicata sulla rivista “Finance & Development” ed intitolata “Power from the peo­ple”, esa­minando diverse misure dell’iniquità per i paesi ad eco­no­mia avan­zata dal 1980 al 2010, giungono a confermare gli studi del pre­mio Nobel per l’economia Joseph Sti­glitz, sostenendo che l’indebolimento dei sin­da­cati riduce il potere con­trat­tuale dei lavo­ra­tori rispetto a quello dei pos­ses­sori di capi­tale, ed aumenta la remu­ne­ra­zione del capi­tale rispetto a quella del lavoro. Secondo le due economiste, proprio la crisi dei sindacati e del potere contrattuale dei lavoratori spiegherebbe la metà dell’aumento di 5 punti percentuali della concentrazione del reddito nel 10% più ricco della popolazione nei paesi avanzati dal 1980. F. Jaumotte e C. Osorio Buitron concludono il loro studio auspicando una soluzione che ci pare legata ad un’epoca fordista-taylorista: restaurare il ruolo del sindacato come corpo intermedio in grado di spingere i lavoratori a votare per i partiti che attuano politiche di redistribuzione del reddito.

Non si può che essere d’accordo con i problemi posti da F. Jaumotte e C. Osorio Buitron nel loro studio. Tale risposta sembra, tuttavia, debole per la situazione italiana. Da un lato, non appare sufficientemente in grado di tenere conto dell’evoluzione del “mosaico del lavoro” degli ultimi decenni e delle diverse e nuove istanze che ora lo compongono. Parlare di lavoro oggi significa infatti scontrarsi con una pluralità di forme ed identità lavorative, spesso duramente sfruttate, che tendono all’isolamento piuttosto che alla coalizione. Si tratta di partite IVA, lavoratori autonomi, parasubordinati e migranti, nati nella precarietà o posti in essa dalle riforme strutturali del mercato del lavoro. Sono proprio le famiglie con fonte principale di reddito da lavoro autonomo ad essere quelle più duramente colpite dall’attuale crisi economica. La Cgia di Mestre ha rilevato che nel 2013 il 24,9 per cento di queste famiglie ha vissuto con un reddito disponibile inferiore a 9.456 euro annui (soglia di povertà calcolata dall’Istat), vale a dire che una su quattro si è trovata in seria difficoltà economica, un rischio povertà quasi doppio rispetto a quello delle famiglie di lavoratori dipendenti. Dall’altro lato, il sindacato nel nostro paese, con qualche eccezione (Fiom e sindacalismo di base), continua ad insistere prevalentemente sulla figura del lavoratore subordinato in quanto tradizionalmente considerata l’unica sindacalizzabile. A tale situazione fa poi da cornice una gestione della crisi economica europea che sta affossando il welfare state e le politiche per l’occupazione.

Tutto ciò spiega perché si è avvertita l’esigenza di mettere in campo una piccola struttura sindacale che provi a misurarsi con una molteplicità di forme di precarietà abbandonate a loro stesse, rafforzando il potere dei lavoratori e ricercando nuove pratiche mutualistiche. Un’ulteriore struttura sindacale a misura dei nuovi soggetti postfordisti, nella consapevolezza che questi ultimi sono frammentati, spesso individualisti e fragili, ma anche connettibili e così rafforzabili. CLAP cerca quindi di proporre un progetto in grado di superare l’isolamento e di unificare i lavoratori senza tutele e non sindacalizzati, cercando di spiegare che la loro comune patologia si supera solo condividendo le rispettive esperienze.

Un passo fondamentale per far fronte alla presente sfida consiste nell’affermare la solidarietà. Come? Anzitutto creando luoghi fisici dove far incontrare e socializzare tutte le figure, così che possano condividere le loro difficoltà quotidiane ed intrecciare le proprie vite e lotte. In tal modo crescerà l’efficacia delle tante piccole vertenze, grazie anche alla rinnovata coniugazione del conflitto sul lavoro con il mutualismo. Una volta entrati in contatto con lavoratori bisognosi di tutela, è poi fondamentale avviare un processo, seppur lacunoso, di alfabetizzazione sindacale. Ciò avviene tramite il servizio di consulenza ed assistenza legale e fiscale, strumento utile anche per una migliore conoscenza del mondo del lavoro contemporaneo.

Ecco quindi che, quando ne ricorrono i presupposti, entrano in gioco i nuovi, sperimentali, dispositivi organizzativi. L’idea è quella di non lasciare che il lavoratori deleghino alle Camere le lotte del lavoro, ma piuttosto fare in modo che si autorganizzino o che comunque partecipino a tali lotte in prima persona. In concreto il supporto organizzativo di CLAP si è rivelato decisivo, visto che ci si rivolge ad un segmento del mondo del lavoro da cui discendono soprattutto vertenze individuali. Inchieste, campagne comunicative, organizzazione di picchetti, sino alla conquista del tavolo di trattativa istituzionale quando necessario e possibile. Tutte queste pratiche sono connotate da un marcato mutualismo delle lotte, inteso innanzitutto come formazione sul diritto del lavoro e sulla questione fiscale.

Nei suoi primi mesi di vita CLAP si è occupato di una trentina di piccole e medie vertenze: partite Iva del settore sanitario, lavoratori della logistica, precari delle centri commerciali, operatori sociali e migranti. Gli iscritti non sono ancora tanti, circa 200, ma il dato positivo è che sono per lo più di età giovanissima. Lavoratori che stanno uscendo dalla loro solitudine e che cominciano a parlare la stessa lingua, condividendo drammi e progetti, ricomponendo un tessuto associativo e sociale.

Una rilevante vertenza che CLAP sta seguendo è quella del CE.FI. Si tratta di un centro privato di riabilitazione ambulatoriale e domiciliare che operava a Ciampino e nei Castelli Romani in regime di accredito con la Regione, il quale da un anno e mezzo non pagava i compensi a 3 dipendenti e 37 partite Iva che con il centro collaboravano in qualità di psicologi, terapisti e logopedisti. Attraverso un faticoso iter, fatto prima di incontri con i lavoratori per conoscerli e farli conoscere tra loro, poi di mobilitazioni sotto il CE.FI., le Camere sono riuscite ad aprire un tavolo con il comune di Ciampino, con la Regione e con una società interessata a subentrare nell’attività del centro. Una trattativa ancora aperta, che lascia ben sperare sul pagamento del pregresso dei lavoratori e sulla riattivazione di un servizio reputato fondamentale in quel territorio, dove non ve ne sono di simili per almeno mezzo milione di abitanti.

Il 18 aprile si è svolta la prima assemblea degli iscritti a CLAP presso la fabbrica recuperata Officine Zero. All’assemblea hanno partecipato 80 lavoratori che con coraggio hanno raccontato la loro situazione lavorativa, le loro esperienze e problematiche, creando così un clima di condivisione e di solidarietà. Questo è stato un successo molto importante, perché significa che CLAP non viene percepito solo come un centro vertenziale, ma anche un luogo dove ricostruire quei legami umani che le modalità con cui si svolge il lavoro e le condizioni della società rendono flebili o inesistenti.

La solitudine nel lavoro non si sconfigge, però, senza accompagnare al processo di sindacalizzazione quello di una presa di coscienza politica. Per questo le Camere rivendicano, in un orizzonte europeo e globale, un salario minimo europeo e un reddito minimo garantito, un nuovo welfare universale e l’estensione dei diritti previdenziali al lavoro autonomo e precario. L’obiettivo è quello di rompere la dicotomia tra sindacato e società civile, costruendo coalizioni sociali. Lo Strike Meeting, a cui CLAP ha partecipato e da cui è scaturito lo sciopero sociale del 14 novembre, è un primo tentativo di coalizione sociale.

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