Le critiche al Reddito di Cittadinanza. Proviamo a fare chiarezza

FraGRa intervengono, con un articolo in due parti, nella discussione pubblica che si è riaccesa in questi giorni sul Reddito di Cittadinanza, sostenendo che il dibattito è piuttosto confuso e manca di distinguere chiaramente le questioni e i piani analitici. Gli autori si propongono di fare un po’ di chiarezza iniziando con l’individuare due questioni critiche che chiamano, rispettivamente, del “mancato bersaglio” e della “spinta all’indolenza”. Questa prima parte dell’articolo si focalizza sul “mancato bersaglio”.

Mai del tutto sopita, la discussione pubblica sul reddito di cittadinanza (RdC) si è riaccesa in questi giorni, alimentata soprattutto da critiche tanto veementi quanto, abbastanza spesso, ambigue e da repliche tanto risentite quanto, altrettanto spesso, piuttosto vaghe. Il nostro obiettivo è fare un po’ di chiarezza e lasciar emergere i veri problemi a cui siamo di fronte, superando l’offuscante coltre polemica che avvolge, con rare eccezioni, questa discussione.

Semplificando possiamo ricondurre le critiche a due tipologie che chiameremo del ‘mancato bersaglio’ e della ‘spinta all’indolenza’. Critiche del primo tipo sono quelle secondo cui del RdC non beneficerebbero molti poveri mentre ne beneficerebbero altri che poveri non sono e che in buon numero vengono collocati, con prevedibili conseguenze emotive, nella categoria degli evasori o, comunque, degli opportunisti. Critiche del secondo tipo sono, invece, quelle che trovano una ricorrente – e oramai un po’ trita – rappresentazione metaforica nel giovane, o meno giovane, sdraiato sul divano a guardare la TV nel vuoto motivazionale, verso la ricerca di lavoro, creato dal RdC. Dunque, ferite gravissime sia per la giustizia sociale sia per l’efficienza, che – almeno in alcune accezioni – non può tollerare incentivi a sdraiarsi sui divani.

In questa prima parte del nostro articolo ci occuperemo del problema del ‘mancato bersaglio’. Nella seconda parte, che sarà pubblicata sul prossimo Menabò, affronteremo la questione della ‘spinta all’indolenza’.

Il nostro scopo è chiarire quale sia il bersaglio che viene mancato e le ragioni di questo insuccesso. Tutto ciò anche con beneficio per l’individuazione delle politiche che potrebbero porvi rimedio. A nostro parere occorre, innanzitutto, chiedersi se si tratti di una critica ‘interna’ o ‘esterna’ alla misura. In altri termini: il bersaglio mancato è quello che il RdC, per come è disegnato, si proponeva di colpire oppure è un altro, quello che – con buone o meno buone ragioni – i critici avrebbero preferito fosse perseguito da una misura di sostegno al reddito?

Rispetto alla critica interna, la questione è se il RdC riesca effettivamente a selezionare coloro che vorrebbe includere nella misura e che, per le semplici ragioni che diremo tra breve, non possono essere immediatamente identificati con i poveri, come normalmente (e in modo non univoco) definiti. La concreta possibilità è che vi siano falsi negativi – ovvero soggetti che avrebbero diritto al sostegno ma non presentano domanda (o se la vedono rifiutata) – e/o falsi positivi – ovvero soggetti che ricevono il reddito senza averne diritto.

Il fenomeno dei falsi negativi sembra essere tutt’altro che marginale. Con la cautela imposta dal fatto che non sempre si dispone di tutte le informazioni necessarie per ricostruire i redditi e le varie forme di patrimonio prese in considerazione nel RdC, si stima che circa il 30% dei nuclei familiari non richieda il reddito pur soddisfacendo i molteplici requisiti necessari per accedervi. Si tratta del noto fenomeno del mancato take up che, secondo la competente letteratura, in presenza di misure selettive di welfare sarebbe sistematico e assai consistente: si valuta in almeno 1/5 (dunque un valore non lontano da quello precedentemente indicato per il RdC) la quota dei potenziali beneficiari che non presenta richiesta.

Al di là delle polemiche occorre chiedersi cosa vi sia alla base del mancato take up e, quindi, di una delle cause del mancato bersaglio. Le ragioni possono essere diverse e diverse possono essere le implicazioni per l’eventuale ri-disegno della misura. Anzitutto, la mancanza di informazioni rilevanti sui trasferimenti cui si avrebbe diritto e sui numerosi (e non chiarissimi) requisiti di accesso previsti. Si ricordi che, per ricevere il RdC, bisogna soddisfare requisiti monetari rispetto a ISEE, reddito, patrimonio mobiliare, patrimonio immobiliare ed alcune forme di consumo; e per i vari requisiti è diverso il valore della scala di equivalenza da applicare a nuclei con più di un componente. Possono, poi, svolgere un ruolo gli effetti stigma, cioè il timore che, percependo il reddito, si finisca per segnalare il proprio stato di indigenza o povertà, un timore presumibilmente avvertito soprattutto da coloro che avrebbero titolo a ricevere un sussidio di importo limitato. Ancora, può trattarsi di una scelta deliberata per non dover sottostare alle forme di condizionalità al lavoro previste dalla misura o per non correre rischi, anche penali, nel caso in cui si lavorasse al nero. Si tratta, dunque, di un lungo e variegato elenco e per migliorare la possibilità di centrare il bersaglio attuale del RdC occorrerebbe predisporre una batteria di interventi, con ovvia priorità per quelli che più contribuiscono a ingrossare le fila dei falsi negativi.

Veniamo ora ai falsi positivi. Escludendo, di nuovo, errori nella valutazione delle domande che eventualmente richiederebbero una più efficace azione di verifica amministrativa, le possibilità sono che essi derivino da sottostime involontarie nelle dichiarazioni individuali relative ai molti requisiti da soddisfare oppure da volontarie sotto-dichiarazioni di alcune componenti di reddito o patrimonio allo scopo di mettere in atto veri e propri comportamenti evasivi o elusivi che consentano di rispettare i requisiti per il RdC (ad esempio, una volta note le soglie massime concesse per il patrimonio mobiliare, è relativamente facile per chi non supera di molto tali soglie occultare la quota in eccesso). Un’ulteriore possibilità nasce dall’incentivo che la stessa misura dà a disgiungere il nucleo familiare in modo da rendere eleggibile per il reddito ciascuno dei gruppi che ne risulta. Questo comportamento è più facilmente attuabile da chi dispone di seconde case in cui poter trasferire la residenza. Come per i falsi negativi, i passi da compiere per porre rimedio a questa ulteriore causa di insuccesso sono di facile enunciazione: individuare l’importanza delle varie possibili cause, predisporre i correttivi più idonei per neutralizzare ciascuna di esse.

Un punto importante da sottolineare è, comunque, il seguente: verificare, anche nelle indagini empiriche, il soddisfacimento dei requisiti richiesti – in particolare quelli patrimoniali – è tutt’altro che semplice; pertanto i falsi positivi non possono essere considerati tutti elusori/evasori. Occorre un approfondimento che vada oltre gli aneddoti, per quanto gravi e inaccettabili. In particolare, per formarsi un’idea più precisa sulla composizione dei falsi positivi e per stabilire l’incidenza relativa dell’evasione inaccettabile, da un lato, e di errori legati anche alla molteplicità delle soglie, dall’altro, sarebbe interessante conoscere in quale misura i falsi positivi superano le soglie di reddito e patrimonio e, conseguentemente, quale sia l’importo del trasferimento ricevuto dai falsi positivi (si ricordi che il RdC viene erogato a integrazione del reddito dichiarato dai nuclei).

Per far fronte, invece, ai rischi legati alla divisione dei nuclei familiari si potrebbero introdurre forme di individualizzazione del beneficio, laddove, attualmente, requisiti e importo del RdC sono legati unicamente alle condizioni socioeconomiche familiari. Ad ogni modo, il rafforzamento dei controlli di congruenza delle domande appare necessario e potrebbe essere realizzato con relativa facilità, integrando le varie banche dati sui redditi e sui patrimoni in possesso delle diverse Amministrazioni pubbliche. Muovere in questa direzione è, dunque, possibile e importante per raggiungere il bersaglio che si è scelto, rimuovendo un ostacolo che è anche una ferita per la giustizia sociale.

Concludendo la discussione delle critiche interne non si può non rilevare che tra tanti virus in circolazione c’è anche quello dell’asimmetrica indignazione. È il virus che porta ad indignarsi per il fatto che gli evasori ricevono qualche centinaio di euro al mese come RdC e a non indignarsi per il fatto che contemporaneamente essi evadono imposte di ammontare senz’altro maggiore.

Le critiche esterne chiamano, invece, in causa, in un modo o nell’altro, i poveri perché ad essi si fa riferimento immediato quando si parla di misure come il RdC. Se il bersaglio è contrastare la povertà, non vi è dubbio che il bersaglio sia stato – anch’esso – mancato e in misura probabilmente più eclatante di quanto non si avvenuto rispetto alla selezione della popolazione eleggibile per il RdC. Ad esempio, secondo le stime di Di Nicola presentate sul Menabò, circa la metà dei beneficiari del RdC non si troverebbe in uno stato di povertà relativa.

Prima di procedere nel ragionamento, occorre ricordare che non esiste una definizione di povertà univoca. L’identificazione dei poveri, come si è già argomentato sul Menabò, dipende dalla dimensione economica, tra le molte possibili, a cui ci si riferisce, dall’altezza e dal modo in cui si stabilisce la soglia, da come si compara il benessere di individui che vivono in nuclei di diversa dimensione. In Europa, si usa, ad esempio, una soglia pari al 60% del reddito mediano equivalente, mentre l’Istat, sia per il calcolo della povertà relativa che assoluta, fa riferimento alla spesa per consumi. Inoltre, in Italia la soglia della povertà assoluta – che non è calcolata negli altri paesi UE – è differenziata anche in base al luogo di residenza.

Diversamente da quanto spesso si afferma in modo approssimativo, il RdC non è una misura di contrasto della povertà secondo nessuna delle soglie esistenti. Dunque, il suo successo non dovrebbe essere valutato in base ai movimenti che si registrano negli indicatori di povertà. Il RdC è stato disegnato avendo come riferimento un bersaglio diverso e anche se non ci fossero falsi negativi e positivi, migliorerebbe la condizione dei nuclei che rispettano i molteplici requisiti previsti, e soltanto la loro, con effetti nulli per chi risulta povero secondo una delle possibili accezioni ma non rispetta i requisiti per il RdC. La ragione più semplice di questa discrasia è che l’individuazione dei beneficiari della misura guarda anche al patrimonio familiare (come accadeva, peraltro, anche per il REI), che non è, invece, considerato nelle definizioni correnti di povertà.

Pertanto, la questione da discutere sarebbe se non sia il caso di ridefinire il bersaglio del RdC rivedendo i requisiti in modo da tutelare coloro che, in base a ragionevoli criteri, si ritiene debbano ricevere un supporto monetario che oggi è loro precluso. Si tratterebbe di affrontare temi, anch’essi già discussi sul Menabò, riguardanti i limiti della scala di equivalenza utilizzata nel RdC per stabilire beneficiari e importi – che penalizza i nuclei numerosi e con minori –; le norme vessatorie che escludono dall’accesso al RdC coloro che non risiedono in Italia da almeno 10 anni; la scarsa trasparenza di alcuni requisiti patrimoniali aggiuntivi rispetto all’ISEE che già tiene conto del patrimonio.

In conclusione, quando si imputa al RdC di mancare il bersaglio è bene distinguere fra avere mancato il bersaglio che il Rdc si era dato oppure avere scelto un bersaglio sbagliato. Non si tratta solo di una richiesta di purezza analitica, peraltro desiderabile. A seconda del tipo di obiezione variano anche i possibili correttivi. Il vantaggio complessivo sarebbe quello di superare poco utili polemiche

Nella seconda parte di questo articolo ci occuperemo dell’altra obiezione secondo cui il RdC avrebbe effetti incentivanti distorsivi e finirebbe per spingere all’indolenza, con danni per l’efficienza e anche per la giustizia.

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