La “stretta condizionalità” dal Fondo Monetario Internazionale all’Eurozona: ancora la sovranità in discussione?

Elena Paparella ricostruisce il processo che, in relazione al sostegno finanziario da concedere agli Stati in difficoltà, ha portato a trapiantare la "stretta condizionalità" dal FMI all'Europa – prima con i Memorandum of Understanding e poi con il Trattato sul Meccanismo Europeo di Stabilità – e sostiene che esso pone nuove sfide alla sovranità statale. In particolare, quest’ultima rischia di essere sottoposta a limitazioni non del tutto legittime e, per questo, Paparella ritiene necessario un ripensamento dell'architettura istituzionale dell'UE.

La “stretta condizionalità”, tipicamente collegata ai programmi di accesso alle risorse del Fondo Monetario Internazionale allo scopo di garantirne un uso adeguato (art. V, sec. 3, IMF Articles of Agreement; par. A.1, IMF Guidelines on Conditionality, Sept. 25, 2002), entra nell’Eurozona come la procedura più rigorosa di indirizzo e verifica delle “performances” degli Stati che richiedono sostegno finanziario alle istituzioni sovranazionali. Questo si verifica dapprima con gli aiuti concessi alla Grecia nel 2010, quindi con i primi Memorandum of Understanding stipulati tra il 2010 e il 2011 con Grecia, Portogallo e Irlanda, e, infine, con il Meccanismo Europeo di Stabilità (artt. 12.1 e 13.3, Trattato MES), dando luogo ad un ulteriore e significativo mutamento della natura delle procedure dell’Unione rivolte alle politiche nazionali.

Considerate le modalità con cui la sovranità statale è posta ancora una volta “in discussione” dalle procedure condizionali, l’intento è di indagarne l’effettiva coerenza non solo con i metodi dell’Unione, ma anche con i modi di cessione di sovranità tradizionalmente adottati dagli Stati in conformità al diritto Ue e ai rispettivi fondamenti giuridico-costituzionali.

Si ricorda che di recente, accanto al controllo sull’andamento della convergenza verso i parametri del Patto di Stabilità e alla sorveglianza sui deficit eccessivi (art. 126 TFUE), sono stati introdotti il coordinamento e la valutazione ex ante delle politiche economiche e di bilancio nazionali. E’ quanto avvenuto con l’istituzione della procedura del Semestre europeo, con cui si è giunti ad una sincronizzazione sia delle presentazioni delle relazioni da parte degli Stati membri, che delle valutazioni e raccomandazioni che vedono coinvolte la Commissione UE, l’Ecofin, il Consiglio Occupazione e Affari sociali e il Consiglio europeo, secondo una dinamica di report and respond più stringente che in passato, poiché governi e parlamenti devono ora tenerne conto nell’elaborazione e approvazione della decisione di bilancio. Ciononostante, la procedura del Semestre presenta ancora i caratteri del metodo decisionale comunitario, in virtù del coinvolgimento delle istituzioni europee e dei governi nazionali in una logica di coordinamento, e non di diretta individuazione degli obiettivi delle politiche nazionali, anche diverse da quelle fiscali.

Diverso è il caso delle procedure condizionali. La sequenza di accordi e di atti attraverso i quali la “stretta condizionalità” è stata inizialmente assorbita nel quadro istituzionale dell’Ue, non solo offre un’ulteriore conferma dell’inequivocabile virata della gestione della crisi verso modalità intergovernative, con tutti i connessi rischi di “cattura” dei processi decisionali da parte degli Stati più forti, ma consente anche di cogliere le ricadute sulla funzione di indirizzo politico dei governi coinvolti.

Si osserva, infatti, che nella Dichiarazione del 25 marzo 2010 relativa alla Grecia, i Capi di Stato e di governo della zona euro annunciano di essere pronti a contribuire con “prestiti bilaterali coordinati” rientranti in un pacchetto di finanziamenti a cui partecipano anche il FMI e l’Ue, soggetti a “stretta condizionalità” e “basati sulle valutazioni della Commissione Ue e della Banca centrale europea” (Statement by the Heads of State and Government of the Euro Area, 25/03/2010); il 23 aprile 2010, la Grecia presenta la richiesta di attivazione di un meccanismo di sostegno finanziario al presidente dell’Eurogruppo, alla Commissione e alla BCE, i quali rispondono che “il sostegno sarà basato sul programma in via di definizione da parte della Commissione, della Bce e del FMI insieme alle autorità greche” (Joint Statement Commission, ECB, Presidency of Eurogroup, 23/04/2010); il 2 maggio 2010 il FMI entra in Europa e nasce la Troika (Euro area and IMF Agreement on Financial Support to Greece); sempre il 2 maggio 2010 la Bce per la prima volta oltrepassa – in questo caso – i limiti del suo mandato, ovvero procede ad una valutazione degli aggiustamenti economici e finanziari attuati dal governo greco, spingendosi sino all’ambito delle riforme strutturali (ECB assesses the Greek Economic and Financial Adjustment Programme, 2/05/2010). Seguono tre valutazioni sulla Grecia congiunte – Commissione, BCE e IMF – tra agosto 2010 e febbraio 2011, che investono il sistema pensionistico, il mercato del lavoro, il sistema tributario, il bilancio, i trasporti, l’energia, le liberalizzazioni, le professioni, la sanità. La stessa procedura si ripeterà ben presto per l’Irlanda e per il Portogallo.

Già nel sistema del FMI la condizionalità, in tutte le sue declinazioni di strict conditionality e di relaxed conditionality, non ha mancato di suscitare, sin dai primordi della sua istituzione, dubbi e riflessioni, soprattutto in relazione a problemi di accountability. A riguardo, il punto 6 delle Revised Operational Guidance to IMF Staff on the 2002 Conditionality Guidelines, January 25, 2010 stabilisce che la definizione dei programmi concordati con il FMI e sottoposti a condizionalità è “responsabilità primaria” delle autorità statali. Questa previsione contribuisce alla chiarezza, ma non certo scioglie il nodo di politiche interne ampiamente eterodirette.

Nel quadro istituzionale della crisi nella zona euro non sembra di poter rinvenire una disposizione analoga, quindi neanche è consentito il beneficio della chiarezza. Quello che diversamente si registra è una debole approvazione della condizionalità da parte del Parlamento europeo, sia pure nell’ambito di un ancora più debole, quanto inefficace, tentativo di arginare la stipula del Trattato MES (Risoluzione PE, 23/03/2011, Sul progetto di decisione del Consiglio europeo che modifica l’art. 136 TFUE).

Su diverso versante, si deve invece notare che un attore istituzionale decisivo quale è il Tribunale costituzionale federale tedesco, nei giudizi sul MES non ha esteso il suo severo scrutinio sino alla questione della legittimità della “stretta condizionalità”. Questo suscita più di una perplessità, se si considera che l’orientamento che i giudici di Karlsrhue hanno consolidato nelle “sentenze della crisi” (BVerfG, 7/09/2011,12/09/2012,18/03/2014) è fondato sulla garanzia del principio democratico e della sovranità del parlamento nazionale.

Per concludere: gli effetti d’intromissione nella sovranità statale conseguenti agli accordi fondati sulla stretta condizionalità – e alla sua definitiva istituzionalizzazione nel Trattato MES – sono determinati dalla condizione di insolvenza degli Stati richiedenti l’assistenza, e sarebbero diretti a proteggere e garantire l’interesse “comune” alla stabilità nella zona euro. Tuttavia tali limitazioni ai poteri sovrani degli Stati sono poste in essere in assenza di qualsiasi condizione di reciprocità, o “parità”, sulla quale si fonda l’appartenenza all’Unione per molti Stati membri (tra gli altri: art. 11 Cost. italiana; art. 28.3 Cost. greca; art. 7.6, Cost. portoghese, art. 27, Cost. irlandese).

L’allontanamento da una logica di reciprocità/multilateralità e il progressivo potenziamento della bilateralità delle relazioni tra istituzioni Ue e Stati membri, da imputare all’istituzionalizzazione dell’assistenza nella gestione della crisi, rinnova l’esigenza di riflettere, oltre che sulla deriva intergovernativa, anche e soprattutto sulla nozione di sovranità e sulla sua esclusiva dimensione statale.

Le sfide poste dall’integrazione europea hanno indotto la riflessione costituzionalistica, e non solo, a spostare continuamente la frontiera nel tentativo di elaborare nuove formule per il concetto di sovranità – “condivisa”, “divisibile”, “ripartita”, “sovranità dell’ordinamento” contrapposta a quella dello Stato – non certo agevolato dai paradossi interpretativi generati dalle stesse difficoltà dei giudici costituzionali di inquadrare il fenomeno dell’integrazione europea attraverso il concetto di sovranità (tra gli altri: Conseil Constitutionnel,1976; Maastricht Urteuil, 1993).

Quello che ora appare certo è che le procedure condizionali prospettano una doppia ambiguità istituzionale che coinvolge sia la sovranità esterna, che la sovranità interna degli Stati, nei termini di una cessione di sovranità statale non solo non reciproca tra gli Stati, ma per di più effettuata nell’ambito di un rapporto bilaterale e di natura privatistica – quale è un accordo tra borrower e lender – nel quale la garanzia è costituita non da uno specifico asset, bensì da un passaggio non legittimo di poteri sovrani a soggetti istituzionali non legittimati ad esercitarli (emblematico il caso della lettera Trichet-Draghi e del suo seguito normativo sotto l’egida del governo Monti).

Forse non è del tutto casuale che di recente il Presidente della Bce, in uno dei suoi tanti ruoli interpretati sulla scena della crisi, abbia evidenziato l’esigenza di una rinnovata condivisione della sovranità: “(…) nel caso degli accordi sul bilancio, la sovranità è condivisa tra gli Stati membri. Questo dovrebbe essere fatto anche per quanto concerne il mercato del lavoro, la concorrenza, la burocrazia, gli accordi sul mercato interno. La sovranità ha bisogno di essere condivisa ad un livello diverso da quello della sfera nazionale. E qui mi fermo. Perché ora ci sono numerose soluzioni tra cui i politici potrebbero scegliere (…)”, (Mario Draghi, Intervista al giornale olandese Telegraaf, 21/06/2014).

Che l’indicazione di una sovranità da condividere “ad un livello diverso da quello della sfera nazionale” provenga dal Presidente della Bce appare appena un po’ paradossale. Si potrebbe essere indotti a pensare che la prospettiva dai vertici permette di godere di una vista migliore e che di lì siano ben visibili, per chi le vuol vedere, le incongruenze dell’architettura istituzionale dell’Unione e della gestione della crisi, che questa volta prendono la forma di cessioni di sovranità asimmetriche, congiunturali e prive di legittimazione.

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