La ricchezza e la mobilità intergenerazionale in Italia: una stima

Francesco Bloise si occupa di trasmissione intergenerazionale della disuguaglianza utilizzando la ricchezza invece che – come si usa fare - il reddito. Dopo aver spiegato i vantaggi di questo approccio Bloise, utilizzando i dati dell’indagine della Banca d’Italia, mostra che nel nostro paese la trasmissione intergenerazionale della ricchezza è elevata - e, a causa di alcune limitazioni dei dati, nella realtà potrebbe essere ancora più elevata – e che i trasferimenti diretti di ricchezza tra le generazioni hanno un ruolo rilevante in questa trasmissione.

Un Paese in cui gli individui, se meritevoli, sono in grado di raggiungere occupazioni ben retribuite o alti livelli di istruzione, a prescindere dal proprio background familiare, appare senz’altro preferibile ad un altro in cui, invece, le possibilità di istruirsi o di raggiungere uno status socio-economico elevato dipendono fortemente dalle risorse economiche della famiglia. Gli studi sulla mobilità intergenerazionale, prevalentemente di natura empirica e molto in voga negli ultimi 20 anni, hanno permesso di confrontare vari Paesi sotto questo aspetto.

L’associazione tra le opportunità socio-economiche di figli e genitori è stata misurata in diversi modi: i sociologi si sono concentrati sui livelli di istruzione o sul tipo di occupazione, gli economisti hanno privilegiato il grado di correlazione tra i redditi o le retribuzioni di genitori e figli. L’indicatore più usato in questo caso è l’elasticità intergenerazionale del reddito che misura l’associazione percentuale tra il reddito dei figli e quello dei genitori. Essa è ottenuta a partire da una semplice regressione del logaritmo del reddito dei figli sul logaritmo del reddito dei genitori ed è compresa generalmente tra 0 e 1. In sintesi, più l’elasticità intergenerazionale è prossima allo 0, più il livello di mobilità intergenerazionale è alto. Al contrario, un’elasticità intergenerazionale elevata è indice di un alto grado di persistenza nello status economico tra le generazioni.

Dagli studi condotti fino ad oggi sui Paesi industrializzati (per una sintesi dei quali si può vedere J. Blanden, “Cross‐country rankings in intergenerational mobility”, Journal of Economic Surveys, 2013), risulta, come oramai è ben noto, che le Nazioni nordeuropee sono le più mobili, mentre nei paesi anglosassoni (in particolare gli Stati Uniti) le opportunità economiche dei figli sono fortemente correlate a quelle dei genitori.

Il nostro Paese, pur non essendo un anglosassone, tende ad avere dei livelli di mobilità intergenerazionale relativamente bassi e non lontani da quelli degli Stati Uniti. In particolare, l’elasticità intergenerazionale misurata da P. Piraino (Comparable estimates of intergenerational income mobility in Italy. The BE Journal of Economic Analysis & Policy, 2007), S. Mocetti (Intergenerational Earnings Mobility in Italy. The B.E. Journal of Economic Analysis & Policy, 2007) oscilla tra 0.44 e 0.50. Cioè mediamente il reddito dei figli cresce in una misura compresa tra il 4,4 e il 5% quando il reddito dei genitori cresce del 10%. Tali risultati sono confermati anche da nuove stime effettuate da T. Barbieri, F. Bloise e M. Raitano utilizzando dati amministrativi più recenti e di migliore qualità (Intergenerational Earnings Inequality in Italy, New Evidences and Main Mechanisms, Work in Progress).

Di recente si è diffuso un diverso approccio alla stima della mobilità intergenerazionale: si tratta dell’uso della ricchezza invece del reddito come variabile di riferimento. I motivi di tale scelta sono molteplici. Innanzitutto, quando si guarda ai livelli di mobilità intergenerazionale, sarebbe preferibile guardare all’associazione nello status economico permanente delle diverse generazioni e cioè alla somma di tutti i redditi percepiti durante l’intera carriera lavorativa. Sfortunatamente, però, dati simili non sono generalmente disponibili e ciò espone al rischio di sovrastimare la mobilità intergenerazionale. L’utilizzo della ricchezza, invece, permette di tenere meglio conto dello status economico permanente degli individui perché, in uno specifico momento, lo stock di ricchezza reale e finanziaria detenuto dagli individui risente di tutte le risorse economiche percepite e accumulate in passato e non soltanto dai flussi economici dell’ultimo periodo. Inoltre, la ricchezza, a differenza del reddito, può essere direttamente trasferita tra le generazioni con donazioni o lasciti ereditari. Quest’ultimo canale di trasmissione permette anche di considerare che lo status economico di un individuo può prescindere dal reddito percepito, soprattutto se si proviene da famiglie estremamente ricche. Più precisamente, i genitori molto facoltosi, attraverso trasferimenti diretti di ricchezza, possono assicurare ai propri figli standard di vita elevati senza che debbano offrirsi sul mercato del lavoro o anche accettando occupazioni gradite ma a bassa retribuzione.

Sfortunatamente, le stime sulla trasmissione intergenerazionale della ricchezza sono disponibili soltanto per pochi Paesi: Stati Uniti, Francia e alcuni paesi nordeuropei. Infatti, non è semplice disporre per due generazioni di dati sulle attività reali e finanziarie. Per superare questo problema si può imputare la ricchezza dei genitori utilizzando le informazioni socio-economiche di background fornite dai figli e due dataset indipendenti sufficientemente distanti nel tempo. Questa metodologia econometrica, chiamata two-sample two-stage least squares (TSTSLS), che è già ampiamente utilizzata negli studi sulla trasmissione intergenerazionale del reddito, permette di valutare la mobilità intergenerazionale della ricchezza in assenza di quei dati e, dunque, anche in Italia. In particolare, i microdati della Survey on Household Income and Wealth (SHIW) forniti da Banca d’Italia, permettono di imputare la ricchezza dei genitori utilizzando il loro titolo di studio, il tipo di occupazione intorno ai 40 anni e la regione di residenza approssimativamente nello stesso periodo. Anche la ricchezza dei figli è stata misurata quando questi avevano all’incirca 40 anni, in modo da calcolare la persistenza intergenerazionale ad un’età mediana per entrambe le generazioni.

La tabella 1 confronta i risultati da me ottenuti utilizzando questa tecnica di imputazione per l’Italia con quelli di altri Paesi. L’associazione intergenerazionale della ricchezza è stata misurata attraverso due indicatori diversi: l’elasticità intergenerazionale della ricchezza (IWE), che esprime l’associazione percentuale tra ricchezza di figli e genitori, e il così detto rank-rank slope (R2R), che esprime invece l’associazione tra i percentili di ricchezza dei figli e quelli dei genitori. Quest’ultima misura è molto importante perché, non avendo bisogno di una trasformazione logaritmica per essere calcolata, non esclude dall’analisi gli individui con ricchezza nulla o indebitati, che si collocano nella coda bassa della distribuzione della ricchezza.

I risultati mostrano, sulla base di entrambi gli indicatori appena richiamati, che i livelli di persistenza della ricchezza tra le generazioni in Italia sono alti, comparabili con quelli che studi recenti hanno riscontrato negli Stati Uniti e in Svezia, cioè in due Paesi in cui la disuguaglianza nella ricchezza è estremamente elevata, principalmente per l’alta percentuale di ricchezza finanziaria negli Stati Uniti (notoriamente distribuita in modo molto disuguale) e per l’ alto numero di famiglie indebitate in Svezia (J. B. Davies, “Wealth and Economic Inequality” In The Oxford handbook of economic inequality, a cura di W. Salverda, B. Nolan, e T. Smeeding. Oxford University Press 2009; OECD, Wealth Distribution Database, 2016).

Un altro modo di guardare ai livelli di persistenza intergenerazionale della ricchezza è quello di valutare la probabilità di appartenere ad uno specifico quintile della ricchezza dato il quintile di ricchezza a cui appartenevano i genitori alla stessa età dei figli. La figura 1 mostra come la probabilità per i figli di appartenere allo stesso quintile dei genitori, quale che esso sia, è molto elevata. La persistenza intergenerazionale è, però, particolarmente alta nella coda bassa e nella coda alta della distribuzione della ricchezza: il 32% dei figli i cui genitori appartenevano al primo quintile di ricchezza, restano intrappolati nello stesso quintile e soltanto il 12% dei figli con un background molto basso riescono a raggiungere il quintile più elevato; nella coda alta della distribuzione, invece, il 38% dei figli i cui genitori appartenevano al quintile più ricco restano nello stesso quintile e addirittura il 58% nei due quintili più alti.

 

Un ulteriore aspetto interessante è quello legato all’incidenza delle donazioni e dei lasciti ereditari. I dati SHIW presentano informazioni soltanto sulle donazioni e sui lasciti ereditari, ricevuti dai genitori e a livello personale, relativi alla ricchezza immobiliare. La figura 2 confronta la probabilità di appartenere ad uno specifico quintile di ricchezza immobiliare di coloro che non possiedono ricchezza immobiliare ricevuta in eredità o donazione con quella di coloro che invece hanno goduto di queste eredità e donazioni. E’ evidente che questi ultimi hanno una maggiore probabilità di appartenere alla coda alta della distribuzione. In particolare, la probabilità di appartenere ai due quintili più elevati è di oltre il 50% per chi ha beneficiato di eredità o donazioni immobiliare mentre è soltanto di circa il 30% per chi non ha goduto di questo beneficio.

Ad ogni modo, è importante sottolineare che l’incidenza dei trasferimenti diretti di ricchezza è probabilmente sottostimata poiché la maggior parte degli individui a 40 anni non ha ancora ricevuto tutti i lasciti ereditari dai genitori. Per questo motivo, un’analisi più completa dell’incidenza del canale legato a eredità e donazioni dovrebbe considerare individui più anziani – ed in questa direzione intendo estendere il presente lavoro.

In conclusione, gli studi empirici condotti finora e basati principalmente sul reddito hanno evidenziato come i Paesi anglosassoni e l’Italia siano scarsamente mobili se confrontati con altri Paesi industrializzati. L’utilizzo della ricchezza – cioè di una grandezza indicativa dello status economico permanente e che permette di tenere conto dei trasferimenti diretti intergenerazionali – consente di acquisire una conoscenza più accurata della persistenza intergenerazionale. Da questa prima analisi, l’Italia sembra essere un Paese a bassa mobilità intergenerazionale anche considerando la ricchezza come variabile di status economico. In particolare, la persistenza intergenerazionale raggiunge livelli vicini a quelli rilevati in studi molto recenti per gli Stati Uniti e la Svezia – un Paese, quest’ultimo, che sembra essere molto meno mobile quando si consideri il reddito invece della ricchezza.

Inoltre, la persistenza intergenerazionale della ricchezza sembra essere almeno in parte associata ai lasciti ereditari e alle donazioni dei genitori, ma una maggiore precisione a questo riguardo potrà essere raggiunta disponendo dei dati su tutti i lasciti ereditari e le donazioni effettuate dai genitori e non soltanto su quelli che hanno avuto luogo non oltre il quarantesimo anno di età dei figli.

* Questo articolo sintetizza i principali risultati di un capitolo della mia tesi di dottorato in Economia e Finanza, nell’ambito della Scuola di Dottorato in Economia della Sapienza, discussa il 28/09/2017.

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