La predistribuzione e le sue ragioni

FraGRa si propongono di illustrare in cosa consiste la predistribuzione e le ragioni per perseguirla. Dopo aver osservato che il peggioramento della disuguaglianza negli scorsi decenni è largamente dovuto al funzionamento dei mercati, indotto non da cause ‘naturali’ ma da scelte politiche, FraGRa chiariscono che la predistribuzione comprende tutte le misure in grado di contrastare disuguaglianze di mercato alte e non accettabili. Offrono poi esempi di tali politiche e sostengono che senza di esse il sistema economico non sarà né giusto nè dinamico.

La convinzione che l’alta disuguaglianza economica di questa nostra epoca sia l’esito di forze “naturali” quali il progresso tecnologico e la globalizzazione sta, fortunatamente, perdendo terreno. Il lavoro di studiosi quali Stiglitz (Il prezzo della disuguaglianza, Einaudi 2013) e Atkinson (Disuguaglianza. Cosa si può fare, Cortina 2015) ha reso evidenti le responsabilità delle scelte politiche adottate a livello nazionale e internazionale negli scorsi decenni nel favorire l’aggravarsi delle distanze economiche tra gli individui e l’emergere di nuovi – e piuttosto preoccupanti –meccanismi di arricchimento o di impoverimento.

Tali scelte non sono soltanto quelle che hanno fortemente attenuato la progressività del sistema fiscale o ridotto e rimodulato la spesa sociale, frequentemente con danno per i gruppi più deboli. La disuguaglianza è stata favorita anche da altre politiche, ad esempio quelle che hanno: i) modificato il funzionamento dei mercati (da quello del lavoro a quelli finanziari); ii) alterato i rapporti di forza tra capitale e lavoro, indebolendo i sindacati e permettendo radicali modifiche nella distribuzione del potere all’interno delle imprese; iii) rafforzato alcuni diritti di proprietà, in particolare quelli intellettuali; iv) inciso sulle dotazioni di cui ciascuno dispone e sulla possibilità di derivarne rendimenti comparabili, come avviene in particolare per l’istruzione spesso remunerata più per il “dove” si sia svolta che non per il “cosa” ha consentito di apprendere.

Proprio alcuni giorni fa il Fondo Monetario Internazionale ha pubblicato a firma di tre suoi autorevoli economisti una nota dal titolo Neoliberalism: Oversold? nella quale si legge: “Invece di produrre crescita alcune politiche neoliberali hanno accresciuto la disuguaglianza che, a sua volta, ha reso più fragile l’espansione”. Il Menabò tornerà sugli argomenti e il significato di questa analisi degli economisti del FMI, ma è degno di nota che la responsabilità delle politiche – e non solo quelle redistributive – nel favorire la disuguaglianza venga riconosciuta in ambiti variegati.

L’affermarsi di queste convinzioni ha, naturalmente, implicazioni molto rilevanti anche per individuare le più appropriate politiche di contrasto della disuguaglianza. Se quest’ultima fosse dovuta a forze ineluttabili, le uniche politiche possibili sarebbero quelle di carattere tradizionalmente redistributivo, consistenti, in particolare, nel rendere più progressivo il prelievo fiscale e più orientata verso gli svantaggiati la spesa sociale.

Ma se non è così, politiche ben diverse sono possibili, in particolare quelle che mirano a contenere ex ante la disuguaglianza che si produce nei mercati. La “predistribuzione”, almeno nella nostra accezione del termine, ha proprio questo scopo e si avvale di tutte le politiche in grado di condurre all’esito che abbiamo appena enunciato. Essa, dunque, non è in contrasto con la redistribuzione ma si pone, sotto molti aspetti, un obiettivo più ambizioso: rimuovere o attenuare le cause della disuguaglianza che  si produce nei mercati piuttosto che limitarsi a attenuarne gli effetti una volta che si è prodotta.

Anche se non esattamente nell’accezione che qui proponiamo,la predistribuzioneè entrata nel dibattito di politica economica nel 2011 a seguito del contributo di un brillante scienziato politico americano, Jacob Hacker (The Institutional Foundation of Middle-Class Democracy, Policy Network). Il dibattito, in realtà, è rimasto piuttosto anemico; l’unica rilevante eccezione è, forse, costituita dalla discussione sviluppatasi sulsito Policy Network dopo cheil segretario del Labour Party, Ed Miliband, usò il termine predistribuzione, facendolo proprio, in un discorso tenuto a Londra nel settembre del 2012.

In realtà, l’interpretazione che Milibanddiede della predistribuzione suona piuttosto restrittiva. A suo parere, infatti,“La predistribuzione consiste nel dire: non possiamo permetterci di essere permanentemente bloccati in un’economia di bassi salari”.

Accrescere i salari correggendo la tendenza piuttosto generalizzata alla contrazione della quota di prodotto nazionale che va al lavoro, affermatasi negli ultimi decenni, è certamente importante ed una misura (predistributiva) in grado di farlo è l’introduzione o l’innalzamento del salario minimo. Ma la questione non è soltanto questa: la disuguaglianza è alta e crescente anche tra i percettori di salario e, più in generale, la tendenza all’aumento della disuguaglianza di mercato, è un fenomeno tanto importante quanto sottovalutato. Per illustrarlo iniziamo osservando rapidamente i dati contenuti nella tab. 1 sulla disuguaglianza in alcuni paesi europei e negli Stati Uniti, nell’arco di circa 3 decenni, misurata con l’indice di Gini e con riferimento ai redditi disponibili equivalenti, cioè ai redditi calcolati dopo l’intervento redistributivo dello Stato.

Tab. 1 – Disuguaglianza nei redditi disponibili equivalenti, indice di Gini

Schermata 05-2457539 alle 23.36.04Fonte: elaborazioni su dati OCSE

Come si vede, questa disuguaglianza, tra il 1985 e il 2010,è aumentata in tutti i paesi considerati, attestandosi nel 2010 su valori compresi tra il 25,2% della Danimarca e il 38% degli Stati Uniti.

I dati contenuti nella Tab. 2 si riferiscono, invece, alla disuguaglianza nei redditi di mercato equivalenti, determinati – cioè – prima che lo Stato intervenga con il prelievo fiscale, da un lato,e con i trasferimenti, dall’altro. E’ facile notare che anche in questo caso il peggioramento è generalizzato (con la sola eccezione dei Paesi Bassi), ma l’intensità del peggioramento è decisamente superiore, soprattutto in alcuni paesi.Per l’Italia il peggioramento èstato tale da portare l’indice di Gini al di sopra del 50%, superando anche gli Stati Uniti.Comparando i dati contenuti nelle due tabelle è facile trarre la seguente conclusione: nei mercati si sono sprigionate potenti forze disugualitarie.

Tab. 2 – Disuguaglianza nei redditi di mercatoequivalenti, indice di Gini

Schermata 05-2457539 alle 23.36.17Fonte: elaborazioni su dati OCSE

Dunque la disuguaglianza crescente di questa fase storica è l’esito di processi di mercato largamente conseguenti a politiche che ne hanno facilitato l’affermazione. Porre il problema delle politiche predistributive equivale a richiedere interventi che, in contrasto con quelli degli scorsi decenni, riducano e non accrescano la disuguaglianza di mercato, in particolare quella che si forma nel mercato del lavoro e dei capitali.

Se così, appare insoddisfacente ridurre la predistribuzione a una mera politica di alti salari così com’è insoddisfacente interpretarla come una politica di eguagliamento tendenziale delle opportunità prima che il gioco di mercato abbia inizio (levelling the playing field). Questa è l’interpretazione che di essa danno alcuni autori (M. O’Neil e T. Williamson The promise of pre-distribution, Policy Network, 2012; P. Diamond P. Pre-distribution, education and human capital, Policy Network,2014) che poi di fatto considerano il capitale umano (spesso inteso anche in modo restrittivo come istruzione formale) l’unica dimensione rilevante delle opportunità.

La predistribuzione, a nostro parere, dovrebbe occuparsi di molto altro, ossia, del complesso dei fattori alla base delle crescenti disuguaglianze di mercato. Ciò significa occuparsi delle dotazioni di altri capitali, oltre a quello umano; delle regole di funzionamento dei mercati del lavoro, dei prodotti e dei capitali; dei modelli di governance dell’impresa e, più in generale, dell’estensione dei diritti di proprietà, anche quelli intellettuali. Cerchiamo ora di argomentare brevemente queste affermazioni edi fornire qualche esempio di politiche predistributive che potrebbero essere adottate.

La disuguaglianza nei redditi di mercato dipende,anche dal reddito che proviene dalla ricchezza nelle sue varie forme eche è variabile per due ragioni:perché sono diverse le dotazioni di ricchezza eperché sono diversi i rendimenti che se ne ottengono, anche in funzione dell’entità della ricchezza. Ridurre le disuguaglianze nelle dotazioni di ricchezza è, dunque, una misura predistributiva (anche se per conseguirla si usasse uno strumento fiscale come l’imposta di successione che ha implicazioni redistributive), così come lo è una regolamentazione diretta a evitare che nei mercati finanziari siano possibili, almeno per alcuni, rendimenti stratosferici (e, massimo privilegio, poco rischiosi, perché il rischio si trasferisce ad altri).

Il funzionamento dei mercati, il loro essere più o meno concorrenziali, può poi condurre alla formazione di rendite che hanno un impatto notevolissimo sulle disuguaglianze. Le rendite, come noto, implicano un pagamento in eccesso a quanto sarebbe sufficiente per effettuare una determinata prestazione lavorativa o per impiegare il proprio capitale in una specifica attività. Esse sono possibili solo in presenza di difetti  nel meccanismo della concorrenza dovuti a barriere di diverso tipo: da quelle tradizionali che impediscono l’accesso ai mercati a quelle più nuove, e largamente sottovalutate, collegate a meccanismi di fama e notorietà (cfr. il nostro Dobbiamo preoccuparci dei Ricchi, Il Mulino 2014).

Una volta formatesi, le rendite vengono distribuite e la loro distribuzione può avere caratteri arbitrari e inaccettabili: può privilegiare i manager che dispongono, peraltro, del potere di assegnarle a se stessi; può favorire i percettori di profitti e anche discriminare i lavoratori, favorendo alcuni di essi, in particolare non chi è più ricco di capitale umano, ampiamente inteso, ma chi è più dotato di quello che si potrebbe chiamare “capitale relazione”.

Le politiche che hanno consentito il formarsi di monopoli in vari mercati hanno, dunque, contribuito al formarsi di rendite. Un obiettivo prioritario delle politiche predistributive dovrebbe allora essere quello di rendere i mercati meno esposti al rischio di generare rendite e, dunque, più “correttamente” competitivi. In questa stessa prospettiva di contenimento delle rendite rientra anche una revisione delle norme che regolano i diritti di proprietà intellettuali, il cui straordinario rafforzamento è certamente responsabile di una crescente disuguaglianza oltre che di un indebolimento degli investimenti privati.

La predistribuzione si dovrebbe anche occupare di introdurre altre misure in grado di contenere la formazione di redditi molto elevati, e poco giustificati da una vera concorrenza. Tra di esse, potrebbe rientrare la fissazione (ragionevole) di tetti o, in modo più “gentile”, l’esclusione dalla possibilità di partecipare a gare e appalti pubblici di imprese che tollerino troppo elevate disuguaglianze retributive al proprio interno.

In conclusione, la disuguaglianza dei nostri giorni ha dinamiche e caratteristiche che rendono inadeguata, per chisi preoccupasse di contrastarla, una politica basata esclusivamente o quasi su misure di carattere redistributivo. E’ così per diversi motivi: perché le tendenze in atto nei mercati richiedono una redistribuzione di complessità e intensità difficilmente realizzabili per assicurare una disuguaglianza giusta e contenuta; perché, anche se fosse realizzabile, un’estesa redistribuzione sarebbe negativa per la crescita economica che invece non sembra affatto risentiredi una bassa disuguaglianza di mercato (Ostry et al., Redistribution, Inequality and Growth,IMF Staff Discussion Note, 2014); perché rendere meno diseguali attraverso i trasferimenti dello stato i redditi di individui simili per abilità, ma diversi per capacità di appropriarsi delle rendite sarebbe anche poco rispettoso della dignità umana.

Sono queste le buone ragioni della predistribuzione. La speranza è che presto possano essere prese in seria considerazione anche dalle classi dirigenti mondiali.

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