La politica economica oltre l’homo oeconomicus. Un recente rapporto della Banca Mondiale

Eugenio Levi si sofferma sul recente rapporto della World Bank per il 2015: “Mind, Society, Behavior” che ha l’ ambizioso obiettivo di modificare l’approccio alle politiche di sviluppo suggerendo un framework metodologico basato sulle acquisizioni dell’economia comportamentale e orientato a utilizzare i nudges cioè politiche non coercitive che sfruttino l’influenza sulle decisioni individuali delle euristiche cognitive, delle norme sociali, della cultura. Levi sottolinea il grande interesse del Rapporto ma anche qualche deludente conclusione a cui esso conduce.

Quali sono le conseguenze della povertà? Le prime che vengono in mente, forse anche sulla scorta dei grandi romanzi francesi ottocenteschi di Victor Hugo ed Emile Zola, sono quelle sociali. Difficilmente pensiamo alle conseguenze psicologiche sui singoli individui, eppure queste sono certamente rilevanti. Basti ricordare che in una recente ricerca (Mani et al., Science, 341, 2013) è stato dimostrato che la povertà ha, insospettabilmente, anche l’effetto indiretto di limitare le capacità cognitive. Questa conseguenza è, quindi, un elemento in più da tenere in considerazione quando si decidono le politiche contro la povertà. Ma questo risultato si va ad aggiungere a molte altre evidenze che mostrano i limiti delle politiche economiche che adottano come riferimento l’homo oeconomicus invece che l’individuo per quello che è, cioè un essere limitato sul piano cognitivo e soggetto ad influenze sociali.

Questo è uno dei punti di partenza del recente rapporto della World Bank per il 2015: “Mind, Society, Behavior”. Si tratta di un documento ambizioso che propone un framework metodologico per politiche comportamentali di sviluppo e include una corposa rassegna di possibili best practices su problemi associati alla povertà, alla finanza domestica, alla produttività del lavoro, all’educazione infantile, alla salute, all’ambiente e ai cambiamenti climatici.

L’obiettivo di fondo del rapporto è modificare l’approccio complessivo alle politiche dello sviluppo. Nell’Introduzione si legge:

Il titolo di questo Report, “Mente, società, comportamento”, cattura l’idea che considerare come gli uomini pensano (i processi della mente) e come la storia e il contesto influenzano il pensare (l’influenza della società) può migliorare il design e l’implementazione delle politiche di sviluppo e degli interventi rispetto alle scelte e alle azioni dell’uomo (comportamento). Per dirla in maniera diversa, le politiche per lo sviluppo devono ripensare se stesse alla luce di una considerazione più attenta dei fattori umani”.

A questo proposito, le proposte del Report sono influenzate da varie discipline, fra le quali “la neuroscienza, le scienze cognitive, la psicologia, l’economia comportamentale, la sociologia, le scienze politiche e l’antropologia”. Proprio per questa rinnovata attenzione agli elementi psicologici, sociologici e culturali, il Report si rifà esplicitamente all’insegnamento di alcuni economisti di metà ‘900 quali Herbert Simon, Gunnar Myrdal, Friederich Hayek, John M. Keynes e Albert Hirschman, la cui impostazione si differenzia da quella della teoria delle scelte razionali che si è affermata successivamente.

L’idea di base è quella dei nudge (di cui mi sono occupato in un articolo precedente per il Menabò): indurre le persone a migliorare i loro comportamenti sociali attraverso politiche non coercitive che sfruttino l’influenza sulle decisioni individuali delle euristiche cognitive, delle norme sociali, della cultura. Questo approccio, come sottolineano molti dei suoi sostenitori, non necessariamente porta a rigettare politiche più tradizionali, ma può suggerire interventi ad esse complementari.

Un aspetto particolarmente interessante del Report è l’individuazione di tre categorie generali nei giudizi individuali (pensare automatico, pensare sociale, pensare con schemi mentali) e la presentazione di alcuni esempi di politiche comportamentali per lo sviluppo.

Sotto la categoria del pensare automatico vi sono i giudizi intuitivi con tutte le proprietà che li caratterizzano, dall’importanza del framing della scelta e del punto di riferimento, alle euristiche cognitive e all’avversione alle perdite.

Ad esempio, un elemento specifico del pensare automatico nel campo della finanza familiare è la immediata categorizzazione di entrate e spese diverse da parte degli individui in conti mentali, in un procedimento che assomiglia fortemente alla suddivisione dei soldi in barattoli che si usava nelle case occidentali negli anni ’50. In Kenya, visto che molte famiglie lamentavano l’assenza di liquidità per l’acquisto di prodotti di prevenzione medica, quali le reti anti-zanzare, si è pensato di agire educando le persone a questa procedura contabile. In un esperimento, alcune famiglie sono state dotate di una cassetta di metallo e di alcune etichette su cui apporre nomi di prodotti di prevenzione per la salute. A seguito di questo semplice intervento, l’acquisto di tali prodotti è aumentato del 66-75%.

Sotto la categoria del pensare sociale, vi sono le motivazioni sociali dell’agire umano, quali la reciprocità, le spinte alla cooperazione e le norme sociali. Da una parte, esse creano meccanismi virtuosi che favoriscono la fiducia e le relazioni economiche, dall’altra favoriscono il consolidarsi di meccanismi degenerativi, come la corruzione, il diffondersi di stereotipi o la segmentazione sociale.

In positivo, si pensi al “buon esempio” che può essere dato da figure particolarmente influenti in un contesto sociale. A Bogotà, in Colombia, nel 1997, una delle misure adottate dalla municipalità per indurre i cittadini a risparmiare acqua, in previsione di una siccità, fu uno spot televisivo in cui il sindaco e sua moglie comparivano sotto la doccia, incoraggiando i cittadini a fare la doccia in coppia e a chiudere il rubinetto durante l’insaponamento. Sembra che queste misure abbiano funzionato e abbiano continuato a dare i loro effetti anche a siccità ormai passata.

Norme sociali sbagliate possono certamente avere molto peso nel rafforzare fenomeni di corruzione, ma è anche vero che si può contribuire a combattere questo fenomeno agendo sul controllo sociale e favorendo modelli normativi virtuosi, come stanno provando a fare in India con la promozione di una piattaforma online di denunce pubbliche (ipaidabribe.com)

Pensare con schemi mentali è la conseguenza di tutte le convinzioni che derivano dalla cultura, dalle istituzioni, dalla storia, e, più in generale, dalle interazioni sociali. Esse hanno l’effetto di incidere nel lungo periodo sulla struttura stessa delle istituzioni, e possono consolidare i sistemi economici sottostanti, favorendo un loro corretto funzionamento. Allo stesso tempo, possono favorire il permanere di profonde disuguaglianze, in special modo quando le credenze che sostengono questi schemi sono sbagliate e funzionali esclusivamente al mantenimento del potere di piccole élite.

Ad esempio, in un esperimento in India che simulava un esame scolastico, si è verificato come i membri delle caste inferiori avessero performance peggiori solo se l’appartenenza di casta veniva preliminarmente resa esplicita, mentre i membri della casta più elevata raggiungevano buoni risultati esclusivamente nell’ambito di una competizione fra caste.

Un esempio che, al contrario, dimostra il potenziale valore delle tradizioni viene da una pratica sperimentale di alcune imprese africane. Nell’Autorithy dell’acqua del Togo e nella Compagnia elettrica del Camerun, si è ottenuto il sorprendente risultato di migliorare sia la cooperazione fra lavoratori sia la loro fiducia nel management diffondendo un voluminoso manuale che descriveva minuziosamente tutte le procedure che lavoratori, quadri e dirigenti dovevano seguire nell’attività lavorativa. Studi etnografici hanno dimostrato come questi manuali assomigliassero fortemente a delle regole scritte, i tontines, che in alcune comunità dell’Africa centrale e occidentale guidavano nel dettaglio la vita di queste comunità.

L’ultima parte del Report si sofferma sui limiti dei pianificatori pubblici, a partire dagli stessi dipendenti della Banca Mondiale, nel formulare giudizi e nel decidere le azioni. In un esperimento condotto durante i lavori preparatori del Report, è stato dimostrato come anche i professionisti dello sviluppo, nonostante la loro educazione e competenza, non siano immuni da giudizi sbagliati: rispondendo a un questionario, essi hanno sottovalutato sistematicamente la fiducia nel futuro degli abitanti dei paesi meno sviluppati e ne hanno ampiamente sopravvalutato l’ignoranza. Insomma, i pianificatori spesso sono vittime di schemi mentali sbagliati sugli schemi mentali degli individui a cui le loro politiche sono destinate, e ciò rischia di avere effetti controproducenti e di far sprecare risorse. Per questi motivi, ogni istituzione che si occupi di sviluppo deve essere più consapevole che i problemi sono complessi, che i membri che la rappresentano hanno convinzioni personali non sempre corrette e che gli incentivi interni all’organizzazione contano molto. In più, prevedere procedure standardizzate di analisi approfondita, di sperimentazione sistematica, di periodica revisione e adattamento delle politiche può aiutare ad evitare errori.

In conclusione, questo Report propone una revisione degli strumenti di politica economica che, reintroducendo idee economiche antiche attraverso la lente di recenti risultati interdisciplinari, punta a recuperare la dimensione della complessità dell’agire umano e dei contesti sociali in cui è immerso. Questo approccio può essere utile non solamente per le politiche di sviluppo, ma in generale per migliorare l’efficacia degli interventi pubblici nell’economia e per rinnovarli. Sotto questo aspetto, ci si poteva forse aspettare qualcosa di più dal Report. In molti casi le politiche suggerite hanno carattere complementare rispetto a quelle più tradizionali o sono soltanto di contorno.

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