La maternità è come un master

Riccarda Zezza ricorda che in Italia sono bassi sia i tassi di occupazione delle donne sia i tassi di fertilità. Riferendosi anche ai dati che dimostrano come da noi i tassi di occupazione femminile siano negativamente correlati al numero di figli, Zezza sostiene che un passo importante per modificare questa situazione consiste nel fare in modo che la maternità non diventi causa di disoccupazione. In realtà, la maternità permette alle donne di sviluppare capacità che possono essere di valore anche nel lavoro. Da queste considerazioni è nato il progetto maam® - maternity as a master che Zezza illustra nel suo contributo

In Italia, più che altrove, fare figli significa  ridurre sensibilmente le proprie prospettive di trovare un’occupazione o le probabilità di non perderla. Ciò, vale, naturalmente soltanto (o quasi) per le donne, come mostra il grafico seguente, riferito al 2010. Come si vede, il tasso di occupazione femminile decresce sempre all’aumentare del numero dei figli di età inferiore ai 6 anni e presenta una caduta particolarmente brusca quando i figli sono più di due.

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Al contrario, per gli uomini, il primo figlio non sembra essere un ostacolo: il loro  tasso di occupazione aumenta significativamente, raggiungendo il 90,8%, quando si passa da nessun figlio a un figlio. Quindi il tasso di occupazione cade anche se in modo decisamente più lieve e praticamente impercettibile nel passaggio da uno a due figli.

Un’analisi comparata a livello internazionale suggerisce, però, che a seguito di cambiamenti intervenuti negli ultimi venti anni del secolo scorso, la correlazione tra tasso di fertilità e tasso di occupazione potrebbe essere cambiata.

Qualche anno fa Jutting e Drechsler dell’OECD Development Center hanno messo in luce un importante cambiamento intervenuto tra gli anni ’80 e l’inizio di questo secolo relativamente al rapporto esistente tra tassi di occupazione femminile e tasso di fertilità. Mentre nei primi anni ’80 la correlazione tra queste due variabili era negativa, nel senso che i paesi con i più alti tassi di occupazione femminile erano quelli che avevano un più basso tasso di fertilità, nel 2000 il segno della correlazione risultava rovesciato: dove l’occupazione femminile era più alta, anche il tasso di fertilità era più alto.

Dai dati relativi al 2000 emerge anche che, se l’Islanda era il paese con la coppia di valori più alti per i due tassi (escludendo il Messico che aveva un tasso di fertilità abnormalmente alto in relazione al suo tasso di occupazione), l’Italia era praticamente nella posizione opposta: tasso di occupazione femminile bassissimo e tasso di fertilità ugualmente molto basso, praticamente superiore soltanto a quello della Repubblica ceca. Tutto ciò è in linea con quanto risulta dalle statistiche della Banca Mondiale: l’Italia è al 205° posto su 226 paesi per tasso di fertilità, con appena 1,4 figli per donna.

La novità sembra dunque essere che fertilità e occupazione non sono più in conflitto come in passato e si può ipotizzare che le politiche che favoriscono la partecipazione delle donne al mercato del lavoro sono anche in grado di contribuire ad elevare i tassi di fertilità. Ciò vorrebbe dire, tornando ai dati sul declino dell’occupazione femminile al crescere del numero dei figli in Italia, che il problema sta nell’elevare il tasso di occupazione; questo dovrebbe essere il primo passo di una politica diretta a ottenere risultati migliori sia nell’occupazione femminile che nella fertilità.

E’ ben nota l’importanza che anche a livello di Unione Europea viene attribuita a un più elevato tasso di occupazione femminile. Tale importanza scaturisce anche dalla consapevolezza che, come si legge in un recente studio recente pubblicato dall’OCSE, dal titolo “Babies and Bosses – Reconciling work and family life”, “in molte economie avanzate, il lavoro femminile (specialmente quello delle madri) è visto come una risorsa importante per perseguire la crescita economica e in generale per assicurare adeguate protezioni pensionistiche e sociali”.

Procedere in questa direzione significa anche, e forse soprattutto, fare in modo che la maternità non diventi occasione di perdita del posto di lavoro. Oggi è, in larga misura, così e non soltanto nel nostro paese.

Uno studio Americano citato dall’Economist sulle donne che lasciano il lavoro quando hanno figli riporta che solamente il 7% di loro non vuole tornare al lavoro; il restante 93%  vorrebbe tornare ma vi riesce appena il 74% e soltanto il 40% lo fa con un impiego full-time. E’ evidente che questa prospettiva da un lato riduce il tasso di fertilità e, dall’altro, tiene basso il tasso di occupazione femminile perché spinge a uscire dal mercato del lavoro tutte le donne con figli.

D’altro canto, il  mancato ritorno delle donne al lavoro dopo la maternità pone a carico delle imprese costi non irrilevanti. Una stima di questi costi è stata tentata in una ricerca finanziata dalla Commissione Europea (Work-life-balancing in the trouble spot of employers and employees goals: Enhancing a dialogue on the economic and social impact – BILANCIA). Secondo tali stime il costo può superare i 10.000 euro per una lavoratrice che percepisce un reddito medio. Dunque, favorire il ritorno delle lavoratrici-madri al lavoro potrebbe essere un “affare” anche sulla base di uno stretto calcolo monetario.

Ma potrebbe esserlo ancora di più se si considerano i vantaggi che la maternità può dare alla donna anche come lavoratrice.

Infatti, crescere un bambino sembra avere qualche elemento in comune con la creazione di  una start up: potrebbe essere la più formativa delle esperienze, che vale quanto un master a frequenza quotidiana e obbligatoria. Vediamo perché.

Secondo la ricerca “Inside women’s power”, condotta nel 2001 dal Wellesley Centers for Women su oltre 60 donne di successo, la maternità risulta essere una palestra di leadership. “Dieci negoziazioni con un figlio sono una palestra per qualsiasi negoziazione sul lavoro. La pazienza è una competenza che si può allenare. Così come l’ascolto, la capacità di intuire più di quanto si dice grazie all’interazione continua con figli adolescenti”: tutte qualità fondamentali alla guida di un ufficio o di un team di lavoro. Avere senso di responsabilità, essere veloci, essere intuitivi, essere capaci di sbagliare, di coinvolgere, di mostrarsi vulnerabili sono skill che si implementano da genitori, e rendono più saggi quando si tratta di prendere decisioni.

Queste idee sono sviluppate nel libro “MAAM. La maternità è un master” (che ho scritto insieme ad Andrea Vitullo per l’editore Bur) e sono alla base  del progetto maam® che si propone di offrire  corsi sulla genitorialità e su come trasferire sul lavoro le competenze relazionali che si allenano a casa (ascolto, motivazione, delega, empatia); corsi sulla rottura degli stereotipi, che consentono di liberare tutte le energie che i vecchi schemi vogliono usate “o di qua o di là” nella vita, mentre si può con successo applicarle in ogni ruolo e, infine, corsi sulla leadership generativa:  un modo di essere leader che prende spunto la maternità, usandola come palestra e come metafora di un modo diverso di guardare ai progetti e alle persone, con una visione di lungo termine e il desiderio di creare progetti che “ci sopravvivano”.

Capacità di affrontare i cambiamenti. “Come sanno tutte le mamme, niente è per sempre, anche le fatiche che appaiono insormontabili si tramutano presto in opportunità [1. Questo e i virgolettati successivi sono tratti dal libro “MAAM la maternità è un master”, A. Vitullo, R. Zezza BUR 2014]”. Fare fronte ai repentini mutamenti di un figlio è come lavorare nelle aziende: quando non si ha tempo di fare approfondite ricerche di mercato bisogna accontentarsi delle informazioni che già si hanno a disposizione. “O ti modifichi velocemente e cerchi qualcosa di nuovo oppure rischi di mettere in crisi il rapporto”. Ecco perché la parola “adattabilità” – talento che si coltiva da genitori – è diventata un mantra in tante aziende.

Meno ego. La maternità obbliga anche i genitori a farsi da parte, per lasciare spazio al nuovo arrivato. Significa farsi punto di osservazione e da lì esplorare, ascoltare senza lasciarsi influenzare da preconcetti e pregiudizi. Questo genere di atteggiamento che si scopre crescendo un figlio ha un immediato risvolto lavorativo: “Tutto ciò moltiplica le possibilità di risolvere un problema, di mettere insieme un progetto in modo creativo, di comprendere quali sono le emozioni più autentiche e gli elementi in gioco”.

Essere multitasking. Molti studi confermano che un genitore diventa capace di fare più cose e meglio nella stessa unità di tempo. Quale capo non vorrebbe una dipendente così? “La vera abilità delle mamme, infatti, è quella di spostare velocemente l’attenzione da una cosa all’altra, sapendo riconoscere da pochi indizi quale degli eventi che le circondano merita un’attribuzione veloce di priorità”.

Saper delegare. “Durante la maternità impariamo a riconoscere che non bastiamo”. Così conviene essere anche sul lavoro, uscendo da una posizione di controllo e imparando a delegare. Delegare a colleghi di cui ci si fida – così come si affida il figlio a qualcuno di totalmente fidato – fa scattare solidarietà, complicità, condivisione “senza il timore di perdere autorevolezza”, ma ottimizzando i talenti di ognuno, chiamato a essere il leader di domani.

Ovviamente, non tutti i genitori diventano automaticamente leader. Secondo gli autori, ci sono altre attività di cura che possono garantire competenze simili, come il volontariato, la cura dei propri genitori e dei propri nipotini: “La maternità è solo la più frequente e diffusa esperienza di intensa cura che le persone sperimentano, E purtroppo anche tra le più problematiche sotto il profilo lavorativo”. Ma come energie e risorse emotive possono scorrere dalla vita al lavoro, così ci sono competenze che dal lavoro possono essere trasportate e messe a frutto nella vita privata: “Noi chiamiamo questa capacità transilienza: una meta-competenza che permette alle competenze e alle energie di fluire da una parte all’altra della vita”.

Molte imprese hanno manifestato interesse per maam® e la speranza è che questo possa essere un piccolo passo lungo il percorso che conduce ad accrescere, nello stesso tempo, il tasso di occupazione femminile e quello di fertilità, permettendo al nostro paese di affrancarsi dalla posizione di fanalino di coda che occupa in Europa e alla nostra economia e alla nostra società di trarne tutti i vantaggi che possono derivarne.

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