La giustizia sociale nei paesi europei secondo il Rapporto Bertelsmann

Chiara Assunta Ricci si occupa del Rapporto pubblicato di recente dalla Fondazione Bertelsmann sulla situazione della giustizia sociale nei paesi europei ed illustra sia la concezione di giustizia sociale adottata nel Rapporto sia le caratteristiche dell’indicatore utilizzato per misurarla, che è composto di dati quantitativi e di opinioni soggettive. Di tale indicatore Ricci mette in luce alcune debolezze.

La fondazione Bertelsmann, il centro studi legato all’importante azienda editoriale tedesca, ha recentemente pubblicato un Rapporto che ha l’ambizioso obiettivo di misurare la giustizia sociale nei paesi europei.
Nell’accezione della fondazione Bertelsmann la giustizia sociale è uguaglianza di opportunità e possibilità di autorealizzazione per gli individui; questa è la definizione che il Rapporto adotta per comparare i Paesi membri dell’Unione.

Cosa debba intendersi esattamente per giustizia sociale non è, in realtà facile a dirsi né pacifico. Lo prova la varietà di teorie della giustizia sociale di cui disponiamo, che definiscono in modo diverso i diritti e i doveri dei membri della società e valutano con criteri diversi la loro equa ripartizione (Arnsperger e Van Parijs, “Quanta diseguaglianza possiamo accettare?”, Il Mulino, 2003).

Il Rapporto muove dalla duplice premessa che la giustizia sociale, concepita nel modo di cui si è detto, sia un elemento costitutivo di legittimità e stabilità per ogni comunità e che, nonostante le difficoltà a tradurre un concetto complesso in un indice sintetico, vi sia l’esigenza di misurare i progressi di ciascuno stato membro verso gli obiettivi fissati dalla Strategia Europa 2020 per una crescita più inclusiva e solidale.

L’indice finale prescelto è costruito aggregando 27 variabili quantitative e 8 indicatori qualitativi, ognuno associato ad una delle sei dimensioni in cui è declinato il concetto di giustizia sociale sulla base del framework teorico sviluppato da Merkel (Berliner Journal für Soziologie,, 2001 e Soziale Gerechtigkeit– eine Bestandsaufnahme a cura di S.Empter e R.B. Vehrkamp, 2007): i) contrasto alla povertà; ii) istruzione inclusiva; iii) accesso al mercato del lavoro; iv) coesione sociale e assenza di discriminazioni; v) salute; vi) giustizia intergenerazionale.

I dati quantitativi derivano principalmente dal database di Eurostat e dall’indagine statistica sul reddito e le condizioni di vita dell’Unione Europea (EU-SILC). I dati qualitativi riflettono, invece, le valutazioni, su una scala da 1 a 10, di oltre cento esperti intervistati nell’indagine Sustainable Government Indicators (anch’essa condotta dalla fondazione Bertelsmann) sulle politiche adottate in diversi ambiti nei Paesi OCSE e UE. Al fine di garantire la comparabilità tra tutti gli indicatori, i valori delle variabili quantitative sono riportati in base alla distanza dalla migliore e dalla peggiore performance media dei Paesi calcolata sul lungo periodo e poi riclassificati da 1 a 10.

Il rapporto propone due diverse classifiche dei Paesi membri: nella prima, le diverse dimensioni hanno tutte lo stesso peso; nella seconda i pesi sono diversi e, in particolare, la lotta alla povertà, considerata la dimensione più importante, ha un peso pari a 3 mentre il peso dell’istruzione e dell’accesso al mercato del lavoro è di 2 e quello delle tre restanti macrocategorie è pari a 1 (Figura 1).

Fig. 1 - Dimensioni e indicatori dell’indice di giustizia sociale
Fig. 1 – Dimensioni e indicatori dell’indice di giustizia sociale

Dai risultati emerge che i Paesi dell’Unione presentano significative differenze nella loro capacità di creare una società inclusiva (Figura 2).

Fig. 2 -  Graduatoria dei paesi in base all'indice di giustizia sociale (valori pesati)
Fig. 2 – Graduatoria dei paesi in base all’indice di giustizia sociale (valori pesati)

In particolare – come, del resto, era prevedibile – si nota un ampio squilibrio tra i Paesi del nord Europa (Svezia, Finlandia e Danimarca ai primi posti in classifica considerando i valori dell’indice pesato),da un lato, e quelli dell’Europa meridionale e di recente ingresso nell’Unione (Bulgaria, Romania e Grecia), dall’altro. Inoltre, i valori del 2014 sono peggiori di quelli del 2008 per la maggior parte dei Paesi dell’UE. Solo in tre di essi – Polonia, Germania e Lussemburgo –l’indice di giustizia sociale è superiore nel 2014 rispetto al 2008 e al 2011. Il più marcato peggioramento si ha in Grecia, Irlanda, Spagna, Ungheria e Italia.

La situazione del nostro Paese appare particolarmente preoccupante. Su 28 Paesi, l’Italia si posiziona al 23esimo posto nella classifica pesata, insieme alla Lettonia, e al 24esimo di quella non pesata. In base all’indice aggregato per dimensione, l’Italia è sempre al di sotto della media europea e, in particolare, occupa la penultima posizione nella graduatoria per la giustizia intergenerazionale.

Sul risultato finale incidono molto, oltre alle valutazioni soggettive degli esperti, l’elevato debito pubblico italiano e l’alto indice di dipendenza degli anziani, che sono inclusi nell’ultima dimensione. Tuttavia, dall’analisi dei valori estratti da Eurostat e EU-SILC emergono forti segnali negativi anche nelle altre categorie: la quota di individui soggetti a deprivazione materiale è, infatti, passata dal 6,8% del 2008 al 12,4% del 2014; sono quasi raddoppiati i tassi di disoccupazione totale (dal 6,8% al 12,4%), giovanile (dal 21,3% al 40%) e di lungo termine (dal 3,1% al 6,9%); infine, la quota di NEET (i giovani tra i 20 e i 24 anni che non lavorano e non svolgono alcun percorso di formazione) nel 2014 è la più alta d’Europa, raggiungendo il 32%.

Alla luce del crescente divario sociale osservato all’interno dei Paesi membri e tra di essi, il Rapporto auspica, nelle sue conclusioni, che le politiche europee prestino una maggiore attenzione alla giustizia sociale. In particolare, si osserva come, negli ultimi anni, le rigide politiche di austerità messe in atto nell’Unione abbiano indebolito il tessuto sociale e trascurato la richiesta di una maggiore inclusione, limitando il dibattito politico ai temi del salvataggio dell’euro, del risanamento di bilancio e della ripresa economica. Viene anche sottolineato che queste politiche, implicando in particolare tagli in settori come l’istruzione o la ricerca e sviluppo, avranno ripercussioni negative nel lungo periodo anche sulla crescita economica.
Che la fondazione Bertelsmann, in passato accusata di posizioni eccessivamente liberali rispetto all’istruzione e al mercato del lavoro, giunga a queste conclusioni non è privo di significato ed è possibile che questo Rapporto contribuisca a ripensare le priorità dell’agenda politica europea. Il Rapporto ha, inoltre, il duplice pregio di analizzare un tema complesso con un approccio multidimensionale e di permettere di comparare gli Stati europei prescindendo dalla loro dimensione economica e dalla loro crescita in termini di Pil.

La costruzione dell’indice presenta, però, alcune debolezze dal punto di vista metodologico e teorico. In particolare, molte delle variabili che entrano nell’indicatore finale sono tra loro strettamente correlate e ciò determina una perdita di eterogeneità delle informazioni fornite; inoltre, non è chiaro su cosa si basino le opinioni degli esperti chiamati a dare una valutazione qualitativa delle politiche.

Infine, il Rapporto trascura alcune dimensioni della giustizia sociale ampiamente discusse a livello teorico, come il riconoscimento e la tutela dei diritti, le relazioni sociali, la qualità di molti servizi e l’accesso ad essi.

Schede e storico autori