La filosofia forzante dell’Italicum

Stefano Gorelli e Claudio Tancredi Palma si occupano del nuovo sistema elettorale, l’Italicum, per verificarne la coerenza con il contesto italiano e osservano che esso è rivolto ad assicurare la governabilità ma è ispirato a una filosofia che appare forzante e poco coerente con il sistema multipolarepressoché perfetto che si delinea nel voto.Gli autori elencano, poi, alcuni correttivi che permetterebbero al sistema elettorale di condurre, senza dirigismi e semplificazioni, verso un sistema bipolare, considerato dai più ottimale.

Osservando cos’è accaduto in Europa negli ultimi anni si sarebbe tentati di dare ragione agli avversari del grande politologo francese Maurice Duverger: i sistemi elettorali maggioritari o dagli effetti maggioritari non assicurano un sistema bipolare, tanto meno bipartitico. In Inghilterra, in Francia, in Spagna, così come in Italia, il bipolarismo è in crisi da tempo, malgrado la presenza di sistemi elettorali considerati idonei a produrlo.

Per molti il bipolarismo – e quindi un meccanismo elettorale che lo favorisca – costituisce un valore in quanto considerato presupposto della governabilità. La fondatezza della tesi è dubbia, perché la governabilità deriva anzitutto da un certo grado di omogeneità del sistema partitico – Leopoldo Elia, a tale proposito parlava di aequum foedus – nonché dalla qualità dei partiti stessi, intesa come capacità di essere rappresentativi e “responsivi”.

Ciò non significa che non si possa affidare allo strumento elettorale il compito di indirizzare il sistema verso un assetto bipolare, purché non si determinino, come ha già ammonito la Corte costituzionale, eccessive distorsioni tra voti espressi e seggi assegnati. Alle ultime elezioni politiche, infatti, il tasso di disproporzionalità ha assunto un valore allarmante, ben superiore a quelli registrati in Gran Bretagna o in Francia quando il bipartitismo era la cifra del sistema politico.Un tasso così elevato da condurre la Corte a dichiarare incostituzionale il premio del Porcellum.

L’Italicum guarda dritto alla governabilità, ma con una filosofia “forzante” e incoerente con il contesto italiano nel quale si sta affermando un sistema multipolare pressoché perfetto, stando alle intenzioni di voto per le elezioni politiche e a quanto emerso dalle recente elezioni amministrative.

In primo luogo, con l’Italicum vi è il rischio – allo stato attuale non astratto – di una vittoria casuale, assegnando la vittoria e la maggioranza dei seggi in Parlamento, sempre stando alle intenzioni di voto, a questa o a quella forza politica a seconda di quali due (sulle tre) raccolgano anche solo un voto in più della terza. Si rischia insomma – come ha ben argomentato Luca Ricolfi sul Sole 24 Ore – di trovarsi più o meno nelle condizioni di un sorteggio, che mal si concilia con l’obiettivo di promuovere un’elevata partecipazione al ballottaggio e di una competizione elettorale imperniata su due autentici  progetti di governo.

In secondo luogo, l’Italicum non scongiura il rischio di un premio di maggioranza abnorme, ad esempio assegnando il 54% dei seggi a una lista (non a una coalizione) che al primo turno consegue molto meno del 40%, addirittura il 30-32% dei voti, sempre stando alle tendenze di voto. In tal caso, il secondo turno si svolgerebbe tra liste che rappresentano meno dei due terzi dell’elettorato.Percentuali che non appaiono tollerabili alla luce della sentenza della Corte costituzionale sull’Italicum.

In terzo luogo, coerentemente con la medesima logica “unificante”, o più correttamente forzante, l’Italicum conferma un tratto essenziale della legge elettorale previgente, il Porcellum: ovvero la ripartizione dei seggi a livello nazionale. Si tratta di un aspetto sottaciuto e meritevole di essere approfondito, poiché secondo la vulgata l’Italicum introdurrebbe nell’ordinamento elettorale i collegi piccoli, “alla spagnola”, dai quali risulterebbero eletti in media 5-6 deputati. Le cose non stanno esattamente così. Infatti la ripartizione dei seggi fra le coalizioni continuerà ad avvenire sul piano nazionale, con conseguente restituzione dei seggi prima al livello delle circoscrizioni (che coincidono grossomodo con i territori regionali) e successivamente ai collegi. Per ragioni di natura matematica, che non è possibile approfondire in questa sede, questo doppio “travaso” di seggi ai livelli inferiori farà sì che in un determinato collegio non necessariamente risultino eletti tutti i deputati ad esso assegnati, con una serie di “slittamenti” e quindi di conseguenze tutt’altro che trascurabili dal punto di vista dell’eguaglianza territoriale e del voto sancita dalla Costituzione (si tratta di un problema annoso della scienza elettorale, anche noto come dilemma della “quadratura del circolo”, affrontato negli anni cinquanta da uno dei massimi studiosi della materia, Giovanni Schepis). Sarebbe auspicabile, a tale riguardo, che il legislatore si ponga finalmente l’obiettivo di introdurre dei “veri” collegi piccoli, ovverosia di prevedere la ripartizione dei seggi effettivamente e direttamente all’interno dei collegi medesimi.

Tornando agli aspetti connessi al premio di maggioranza e al rischio di un “azzardo elettorale”, l’Italicum affronta questo delicato nodo prevedendo un doppio turno su base nazionale, un unicum nel panorama democratico, dove esso è utilizzato diversamente.

In Francia il doppio turno è di collegio e l’accesso al secondo turno è riservato a tutti i candidati che abbiano ottenuto almeno il 12,5% degli aventi diritto di voto. In Italia questo sistema darebbe luogo (quasi sempre) a competizioni triangolari, che l’Italicum invece converte forzatamente in una competizione bipolare,per giunta di dimensione nazionale, mortificando la rappresentanza dei singoli territori. Inoltre in Francia la formazione di una maggioranza parlamentare costituisce una pura eventualità, non una certezza ope legis, perché dipende dalla capacità di una forza politica di ottenere realmente la maggioranza assoluta dei collegi.

 In sostanza il nuovo modello elettorale potrebbe trarre una sua maggiore legittimazione in un contesto bipolare, ancor meglio bipartitico, oggi però sconosciuto nel Paese.Di fronte a questo dato di realtà, le soluzioni possono essere diverse.

La prima ipotesi è l’introduzione di una doppia soglia per l’accesso al secondo turno: 40-45% dei consensi di almeno una delle forze in campo e 70-75% complessivamente delle due forze che si candidano al ballottaggio (legittimazione del risultato a monte).

La seconda ipotesi è l’introduzione di una soglia minima sul modello del referendum abrogativo, in modo che il premio sia attributo soltanto se la lista vincente al ballottaggio ottenga almeno il 40% degli aventi diritto, norma che avrebbe il pregio di favorire la partecipazione (legittimazione del risultato a valle).

Nella medesima direzione può essere vista con interesse la proposta di assegnare il premio alla coalizione, anziché alla lista, ma bisogna essere consapevoli dei rischi che deriverebbero da questa scelta proprio in termini di omogeneità delle maggioranze parlamentari, e quindi di stabilità degli esecutivi. Il premio alla coalizione, infatti, da un lato risponde ad un’istanza pluralistica, dall’altro rischia di favorire la frammentazione, soprattutto alla luce di regolamenti parlamentari “a maglie larghe” che certo non prevengono la formazione di micro-gruppi all’interno delle Camere e quindi non operano efficacemente contro i fenomeni di frammentazione e di cd. trasformismo. C’è chi obietta che anche con il premio alla lista la frammentazione non sarebbe scongiurata, per quanto l’incorporazione di minoranze all’interno di una lista (e quindi di un’ipotetica maggioranza) sia oggettivamente più complessa rispetto al metodo dell’apparentamento.

Al di fuori delle due suddette ipotesi, ovverosia in mancanza di un certo grado di legittimazione del risultato elettorale, riteniamo che si debba prendere atto di un risultato senza vincitori e ricorrere alle dinamiche tipiche della forma di governo parlamentare, com’è accaduto in Gran Bretagna, com’è da tempo in Germania e come rischia di accadere in Francia.

In entrambi le ipotesi, infatti, la necessità è quella di assegnare al sistema elettorale una funzione di indirizzo verso un assetto bipolare giudicato da tutti come ottimale, tuttavia senza dirigismi, semplificazioni e forzature. E, soprattutto,senza stravolgere il risultato elettorale e rispettando il principio della “non eccessiva disproporzionalità”. In questa prospettiva, persino il vituperato Porcellum avrebbe potuto essere utile allo scopo, purché depurato dei suoi vizi peggiori: selva di soglie di accesso alla rappresentanza e assenza di una soglia minima per conseguire il premio.

Se la realtà del sistema partitico italiano è una e riconoscibile, si può contribuire a farla evolvere in una certa direzione, ma non si può stravolgerla nell’immediato.

In gioco è la legittimazione del risultato elettorale, quindi della stessa democrazia rappresentativa.

* Questo contributo costituisce lo sviluppo di un articolo pubblicato su Huffington Post il 15 giugno 2016.

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