La dirigenza Pubblica tra internazionalizzazione ed esterofilia; la vicenda della nomina dei nuovi direttori dei musei italiani

Luigi Salvia esamina le sentenze con cui il TAR del Lazio ha annullato le nomine dei dirigenti di alcuni importanti musei italiani, in attesa di una pronuncia definitiva del Consiglio di Stato sull’appello proposto dal MIBACT. Salvia evidenzia le criticità della procedura di nomina sotto i profili della trasparenza, dell’imparzialità e dell’accesso al concorso per gli stranieri e sottolinea come l’approccio adottato dall’Amministrazione sembri scontare alcune contraddizioni nella fase esecutiva della scelta dei candidati.

All’interno del più ampioprocesso di modernizzazione e di efficientamento della Pubblica Amministrazione italiana, si sono recentemente susseguiti diversi interventi di riformain materia di dirigenza pubblica e pubblico impiego, a testimonianza del ruolo cruciale che assume la scelta degli organismi di vertice negli enti pubblici, nel tentativo costante di superare logiche burocratiche e rendite di posizione in favore di una gestione votata all’efficienza, alla competitività ed all’internazionalizzazione.

La vicenda giudiziaria, a cui è stato dato ampio risalto mediatico, in ordine alle nomine dei direttori di alcuni tra i più importanti e prestigiosi musei italiani sembra fornire alcuni spunti per una riflessione sulle  conseguenze dell’approccio teso alla valorizzazione del merito e dei risultati ma in alcuni aspetti latamente «esterofilo», che appare essere posto alla base dei recenti interventi sulla gestione dei vertici delle Pubbliche Amministrazioni.

La vicenda ha avuto inizio con i ricorsi presentati da alcuni candidati per l’annullamento degli atti relativi alla procedura selettiva indetta dal Ministero per il conferimento dell’incarico di direttore dei 20 musei aventi qualifica di ufficio dirigenziale,accolti dal TAR del Lazio con le sentenze n. 6170 e 6171 del 24 maggio 2017.

Tali provvedimenti giurisdizionali, aspramente criticati in particolare dal Ministro che si era fatto promotore della procedura,sono attualmente oggetto di appello al Consiglio di Stato, che in via cautelare ne ha sospeso l’esecutività con le ordinanzen. 2471 e 2472 del 15 giugno 2017. Il supremo organo di giustizia amministrativa ha motivato la sospensione in via cautelare valorizzando da un lato il danno che l’immediata esecutività del decisumin primo grado avrebbe rappresentato per gli attuali direttori, soccombenti in primo grado, che si sarebbero ritrovati improvvisamente privi della retribuzione dopo aver trasferito le loro residenze ed abbandonato i loro precedenti impieghi in virtù della nomina poi annullata dal TAR, dall’altro l’irrilevanza di una immediata esecutività delle sentenze anche per le parti vittoriose in primo grado, in considerazione del fatto che essi ricoprono attualmente altri incarichi, in attesa di una decisione nel merito che sarà resa all’esito dell’udienza pubblica in programma per il prossimo 26 ottobre.

Le motivazioni sulle quali i giudici del TAR del Lazio hanno fondato la decisione di annullamento sono riconducibili a tre distinte censure. In primo luogo si rimprovera alla Commissione esaminatrice di aver utilizzato criteri magmatici nell’attribuzione dei punteggi ottenuti dai candidati in sede di colloquio. È stata infatti ritenuta superflua e ingiustificata la scelta della Commissione di raggruppare in tre classi i soggetti sottoposti a colloquio valutativo, in sostanza producendo un macchinoso e poco trasparente «sdoppiamento» nell’espressione della valutazione; più in particolare, i candidatiammessi al colloquio sarebbero stati valutati con un punteggio numerico, per un massimo di 20 punti, ed in seguito inquadrati in tre distinte classi, rispettivamente per i punteggi fino a 10, da 11 a 14, e da 15 a 20. Nella ricostruzione dei giudici tale seconda classificazione risulterebbe inidonea a far trasparire i criteri di attribuzione dei punteggi, a differenza del semplice giudizio numerico che sarebbe risultato sufficiente ad esprimere con chiarezza e precisione le valutazioni svolte.

Il secondo punto su cui il Tribunale accoglie i motivi di ricorso attiene alle modalità di svolgimento dei colloqui, che sarebbero state contrarie ai principi di trasparenza ed imparzialità nell’espletamento di procedure concorsuali. Le prove si sarebbero infatti tenute a porte chiuse, senza consentire la presenza di soggetti terzi – circostanza resa evidente dal fatto che alcuni colloqui sono stati svolti in collegamento skypeed alla presenza della sola Commissione – in contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene necessario, per assicurare la trasparenza e l’imparzialità della procedura, che sia consentito l’accesso alle prove non solo a soggetti terzi ma soprattutto ad altri candidati (cfr. ad esempio Cons. Stato, Sez. V, 27 marzo 2015 n. 1626).

In terzo luogo, ed è tale il motivo che ha ricevuto maggiore risalto nella narrazione mediatica della vicenda, il Tribunale Amministrativo non ha ritenuto legittima la nomina di soggetti non aventi cittadinanza italiana, stante la disposizione normativa di cui all’art. 38 del D.Lgs. 165/2001, che esclude i non cittadini italiani dalla nomina a posizioni che comportano l’esercizio di un pubblico potere o a tutela dell’interesse nazionale. Come specificato dal «Regolamento recante norme sull’accesso dei cittadini degli Stati membri dell’Unione europea ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche» (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 7 febbraio 1994, n. 174), tali posizioni «riservate» ai cittadini italiani dovrebbero comprendere anche «i posti dei livelli dirigenziali delle amministrazioni dello Stato» (art.1 comma 1 lett. a))

In relazione a tale requisito, deve ricordarsi infatti come la libertà di stabilimento garantita dal diritto dell’Unione Europea(artt. 49 e ss. TFUE) imponga agli Stati membri un onere di non discriminazione, che può tuttavia essere limitato nei casi di impieghi nelle Pubbliche Amministrazioni. Tale deroga viene interpretata dalla Corte di Giustizia in modo molto restrittivo, assimilando la nozione di Amministrazione rilevante ai fini di questa disposizione essenzialmente ai ruoli che comportano un esercizio diretto di un pubblico potere, in modo tale da assicurare la massima apertura possibile alla mobilità dei lavoratori all’interno dell’Unione (si veda sul punto la decisioneHaralambidis/Casilli,10 settembre 2014, C-270/2013, con cui la Corte ha ritenuto, su rinvio pregiudiziale proposto dal Consiglio di Stato, non compatibile con il diritto comunitario il requisito della cittadinanza italiana richiesto per il ruolo di Presidente di un’autorità portuale).

Proprio in merito a tale aspetto, molti tra icritici delle decisioni del TAR hanno rilevato l’inadeguatezza di una soluzione che porta ad escludere a priori la possibilità per gli stranieri di ricoprire tali funzioni, considerando che, come autorevolmente sostenuto da Sabino Cassese, «fin dal 1957 esiste la libera circolazione dei lavoratori in Europa» e che dunque «il diritto europeo consente la nomina di cittadini stranieri come direttori di musei anche statali».

In risposta a tali argomentazioni si sottolinea d’altro canto come difficilmente potrebbe considerarsi «comunitariamente imposta» l’apertura di posizioni dirigenziali apicali di amministrazioni statali agli stranieri, in quanto tale ruolo pare senza dubbio comportare l’esercizio di un pubblico potere (anche nella nozione restrittiva accolta dalla CGUE nelle decisioni sopra citate) e dunque ricadere nella deroga espressa di cui all’art. 45 TFUE.

A ciò si aggiunga quanto rilevato dal TAR in ordine alla portata applicativa delle previsioni derogatorie in materia di reclutamento dei dirigenti del MIBACT (di cui all’art. 14, comma 2 bis, del d.l. 83/2014, conv. in l. 106/2014),per cui se è vero che il legislatore avrebbe introdotto un’eccezione per il reclutamento dei dirigenti nel Ministero per i Beni Culturali, in ogni caso tale eccezionalità non sarebbe tale da estendersi ai limiti posti dalla disciplina generale, che risulterebbero sempre applicabili e pertanto precluderebbero l’accesso dei cittadini stranieri alle posizioni dirigenziali. (cfr. la disciplina generale dettata dal citato art. 38 D.Lgs. 165/2001 per cui «i cittadini degli Stati membri dell’Unione europea possono accedere ai posti di lavoro presso le amministrazioni pubbliche che non implicano esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale»).

In attesa della decisione sull’impugnazione pendente al Consiglio di Stato, pare comunque opportuno svolgere alcune considerazioni in merito alla vicenda brevemente riassunta; le sentenze del TAR sembrano confermare la difficoltà a percorrere, nell’amministrazione nazionale, nuove strade per l’adozione delle nomine dirigenziali in senso spiccatamente fiduciario,anche a causa della denunciata interferenza della giustizia amministrativa in scelte sensibili e di natura politica.

A conferma di un tale atteggiamento da parte dei giudici possono leggersi alcune affermazioni contenute nelle sentenze in esame, da cui sembraemergere una sorta di valutazione negativa in merito all’operazione complessivamente messa in atto dal Ministero, in particolare dove si dichiara che «il perseguimento degli “standard internazionali”, secondo le chiare intenzioni del legislatore [..], si ottiene evidentemente migliorando gli aspetti sostanziali e contenutistici dell’offerta museale italiana, appunto rapportandola e adeguandola agli analoghi servizi offerti dai migliori istituti di altri Paesi [..] e non certamente con interventi formali e di immagine».

Tuttavia non può non rilevarsi come i difetti di trasparenza e chiarezza nella procedura concorsuale sembrino smentire proprio le ragioni di efficienza e meritocrazia poste quali ispirazione fondamentale dell’intera procedura di rinnovamento organizzativo del MIBACT, in cui la creazione dei poli museali e la nomina dei relativi dirigenti si inseriscono.

A ciò si aggiunga che l’«esterofilia» e la ricerca di risorse al di fuori dell’amministrazione non sembrano essere sempre la scelta migliore per realizzare obiettivi di efficienza ed internazionalizzazione nelle Pubbliche Amministrazioni(si veda quanto sostenuto anche in merito al nuovo processo di abilitazione scientifica nazionale, su cui Bellavista A.,Reclutamento universitario e dintorni: tempi difficili, scelte tragiche, incubi giuridici, in Munus, n. 3, 2016, 628), e la possibilità di acceso per gli stranieri a capo dei poli museali sembrapoter avere un rilievo piuttosto modesto, se non accompagnato da un diverso modo di intendere la valutazione degli organi di vertice delle amministrazioni, che dovrebbe manifestarsi fin dal principio attraverso procedure di selezione trasparenti.

In conclusione pare che dai rilievi del TAR, che pone l’accento sulla gestione della selezione e sul difficile coordinamento tra discipline generali e derogatorie, possa trovarsi conferma di quanto già evidenziato in dottrina, per cui «se l’attuale governo intendesse realmente agire in modo innovativo, dovrebbe quantomeno cominciare dalla tecnica di elaborazione dei documenti legislativi» (Bellavista A., Alcune considerazioni sulla riforma del governo Renzi della Pubblica Amministrazione, in Il Lavoro nelle Pubbliche Amministrazioni, 2, 2014, pag. 314).

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