La deregolamentazione del lavoro e l’indebitamento privato in Europa: una correlazione “sospetta”

Massimo De Minicis richiama l’attenzione su una possibile causa della crescita dell’indebitamento privato nei paesi dell’Ue: la precarietà del lavoro. Al riguardo De Minicis esamina l’andamento dell’indice della protezione dell’occupazione, della quota di lavoratori temporanei e della qualità delle transizioni contrattuali e osserva che nei paesi dove i dati sono peggiori sotto questi aspetti l’indebitamento privato sembra essere cresciuto di più in rapporto al PIL. De Minicis conclude auspicando studi più approfonditi per verificare questa ipotesi.

Un fenomeno che emerge con estrema nitidezza nelle rappresentazioni della situazione economica della maggior parte dei paesi dell’Unione Europea negli ultimi anni è il costante aumento del livello di indebitamento privato delle famiglie in rapporto al reddito disponibile (v. Figura 1). Tale dinamica appare in costante aumento già prima dello scatenarsi della crisi economica/finanziaria del 2008.

Per spiegare questa tendenza si fa spesso riferimento a vari fattori, tra i quali: la deregolamentazione finanziaria nelle forme di accesso al credito, la contrazione delle prestazioni dei sistemi pubblici di welfare, la complessità delle forme di riproduzione sociale degli individui e, come elemento di interpretazione complessiva, la sempre più evidente fisionomia finanziaria del capitalismo contemporaneo (Cfr. tra gli altri A. Ross, Creditocrazia, e il rifiuto del debito illegittimo, Ombre Corte, 2015; D. Graeber, Debito. I primi 5.000 anni, Il Saggiatore, 2011).

Un’ulteriore possibile causa di tale dinamica forse non adeguatamente esaminata è, però, la sempre maggiore deregolamentazione del lavoro in Europa. In particolare, come vedremo, alcuni dati suggeriscono che vi sia una correlazione tra aumento dell’esposizione al credito delle famiglie europee e aumento del livello di precarizzazione dei suoi componenti soprattutto più giovani. Rispetto alla possibile comune origine dei due fenomeni è molto originale l’analisi di A,Tangian in Flexicurity and Political Philosophy (Nova Science Publishers, 2011).

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La deregolamentazione del lavoro nei contesti comunitari si è attuata essenzialmente mediante l’introduzione di politiche di riforma orientate all’aumento della flessibilità e alla flexicurity. Se quest’ultimo concetto inizialmente è apparso innovativo e in grado di assicurare processi tendenzialmente orientati verso una piena e più giusta occupazione, nel corso degli anni esso si è trasformato in una politica necessaria per limitare gli effetti drammatici della disoccupazione e per contrastare la perdita di competitività delle economie europee. Dalla fine degli anni ’90 la maggiore flessibilità del lavoro salariato appare, quindi, come l’unica strada da perseguire per quei paesi che esibiscono cattive performance del proprio sistema economico e lavoristico [OCSE 1994].

Il concetto di «rigidità» del mercato del lavoro diviene un target prioritario su cui intervenire essenzialmente modificando: a) il grado di protezione dell’occupazione (EPL); b) la percentuale di lavoro temporaneo sul totale dell’occupazione dipendente; c) il tasso di transizione dal lavoro temporaneo verso altre condizioni di occupazione (o inoccupazione).

Considerando complessivamente le variazioni di questi tre indicatori nei paesi considerati possiamo verificare l’ipotesi di correlazione tra flessibilità del lavoro e indebitamento privato delle famiglie.

Il primo indicatore (v. Figura 2) mostra situazioni diversificate.

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In generale la modifica di questo indice complessivo, incrementata negli anni novanta, è da ascrivere principalmente alla forte deregolamentazione relativa ai rapporti di lavoro di natura temporanea in una prima fase, e alla diminuzione della protezione per i lavoratori con forme contrattuali permanenti in una fase successiva. Alcuni paesi tra quelli considerati tendono però a mantenere per il lavoro temporaneo un livello di protezione costante (Francia, Danimarca, Austria) o ad aumentarlo (Finlandia, Repubblica Ceca, Irlanda). Accanto agli interventi di tipo normativo, l’altra variabile che ha determinato diverse forme di deregolamentazione del mercato del lavoro è rappresentata dalla variazione del lavoro temporaneo (che, peraltro, può essere diversamente definito) sul totale dell’occupazione dipendente. Analizzando la sua modificazione in alcuni contesti europei si noteranno anche qui delle differenziazioni soprattutto se focalizzata sull’occupazione giovanile. Quelle riferibili al lavoro permanente, infatti, sono in generale variazioni costanti nella maggioranza dei paesi comunitari ma non paragonabili a quello che accade nel mondo giovanile negli stessi anni.

In alcuni paesi, tra i quali l’Italia, l’Olanda e l’Irlanda, la quota del lavoro temporaneo sull’occupazione totale è notevolmente cresciuta (v. Figura 3. Nel nostro paese, tra il 1996 e il 2013 ha raggiunto livelli dell’ordine del 35%. Stesse dinamiche con aumenti diversificati si possono registrare in Olanda con il 23% e in Irlanda con il 18%, mentre la Spagna già nel 1996 presentava valori molto alti. In paesi, invece, come la Germania, la Finlandia, la Danimarca si è verificata una sua diminuzione.

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Il terzo fattore ci aiuta a comprendere la dinamica qualitativa del lavoro flessibile nell’Unione europea, ed è rappresentata delle transizioni dello status contrattuale dell’occupato temporaneo nel corso degli anni. In generale dalle analisi di Eurostat emergono andamenti differenziati nelle transizioni da lavoratore temporaneo a disoccupato e in quelle verso altri impieghi, sia con meno tutele sia con più sicurezze contrattuali. In Italia, Spagna e Francia le transizioni sono spesso sfavorevoli per il lavoratori, mentre in Germania e in Austria sono frequenti transizioni caratterizzate da positiva evoluzione per l’occupato temporaneo.

Queste considerazioni mettono, dunque, in luce differenti dinamiche di sviluppo della deregolamentazione del lavoro dipendente nei paesi dell’Unione europea. In alcuni, in particolare, il processo è stato omogeneo, e la deregolamentazione del lavoro è stata attuata in forma più intensa e con dinamiche transizionali qualitativamente negative.

Rispetto all’ipotesi che è stata enunciata in precedenza è interessante osservare che in questi paesi (Italia, Spagna, Irlanda e Olanda) l’indebitamento privato è aumentato costantemente mentre nei paesi che hanno sperimentato dinamiche di precarizzazione lavorativa meno intense, come la Germania e l’ Austria, la tendenza del debito privato non è stata all’aumento e anzi, almeno in alcuni casi, si è avuta una diminuzione. Le Figura 4 e 5 portano sostegno a questa ipotesi.

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In particolare la Figura 5 mostra una lieve tendenza del valore dell’indebitamento ad aumentare quando diminuisce il grado di protezione dell’occupazione (temporanea) anche se con modalità e tendenze diversificate che devono tenere in considerazione le dinamiche interne di ciascun paese considerato, in particolare rispetto all’incidenza del lavoro temporaneo e alle transizioni verso altra occupazione. Proprio la considerazione di questi fattori potrebbe rendere maggiormente comprensibile il posizionamento di paesi come la Germania, L’Austria, la Finlandia, l’Ungheria, la Repubblica Ceca.

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Naturalmente queste considerazioni non sono sufficienti per provare l’esistenza di una relazione causale tra precarietà del lavoro e indebitamento privato in Europa. Il loro scopo è soprattutto quello di avviare una prima riflessione al riguardo.

E’, comunque, presumibile, che accentuando la discontinuità di reddito dei lavoratori dipendenti la precarietà abbia alterato la dinamica classica del rapporto tra reddito e indebitamento. Questo prevedeva, infatti, che nella prima fase della vita lavorativa di un individuo, l’indebitamento fosse più alto per poi diminuire con il passare del tempo grazie anche alla transizione verso posizioni lavorative sempre più stabili, come sostenuto anche da Piketty nel suo notissimo Capitale nel XXI secolo. L’alterazione di questo rapporto, determinato anche dalle forme assunte dalla flessibilità del lavoro, può aver incoraggiato comportamenti finanziari meno ponderati e più rischiosi, generando una maggiore dipendenza degli individui dalle banche e dal credito al consumo (cfr. L’indebitamento delle famiglie italiane dopo la crisi del 2008, Occasional Paper, Banca d’Italia, 2012). Ma per dare basi più solide a questa ipotesi occorrono approfondimenti in varie direzioni.

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