La corruzione e il dovere di ognuno di noi

Debora Cecconi, studentessa al secondo anno di una laurea magistrale in Economia, torna sui risultati del sondaggio condotto presso gli studenti della Facoltà di Economia della Sapienza e, riprendendo alcune affermazioni contenute nel commento di Maurizio De Giovanni, spiega, perché i valori culturali oggi prevalenti non consentano di sorprendersi di fronte alla tolleranza che molti studenti hanno mostrato nei confronti della corruzione e invoca un rinnovamento di quei valori.

 “A freddo e razionalmente non mi sento di gridare all’orrore o anche di scandalizzarmi più di tanto: si tratta di ragazzi che hanno già piena cognizione di come tristemente funziona il mondo” così ha scritto Maurizio De Giovanni su questa rivista commentando i risultati del sondaggio condotto tra gli studenti della Facoltà di Economia della Sapienza. Ed ha ragione. Per quanto non piacevole, non è forse quella la nuda e cruda realtà? Noi ragazzi siamo stati abituati sin da piccoli a leggere criticamente la realtà che ci circonda, a osservarla senza paraocchi, nella consapevolezza delle difficoltà presenti. Questa concretezza, che qualcuno forse ritiene che sia al limite del cinismo, è anche frutto del contesto di recessione in cui siamo cresciuti. Per questo non dovrebbe sorprendere che il 25% degli studenti intervistati giustifichi la corruzione nel caso in cui un soggetto si trovi in stato di difficoltà economica. E’ un risultato che purtroppo mostra come la disperazione causata da una crisi economica e finanziaria possa spingere a mettere in secondo piano i principi morali e come questi ultimi abbiano un prezzo, una soglia, al di sopra ed al di sotto della quale, cessano di essere fondanti per l’etica comportamentale di un individuo.

Il questionario mi ha fatto sorgere una domanda: perché ricorrere alla corruzione? Per la facilità con cui si può operare in modo fraudolento? Forse, ma secondo me la ragione prima che porta a percorrere la via dell’illegalità è l’abitudine a ritenere che senza “aiuto” non ce la faremmo. Questa mancanza di fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità mette i singoli davanti a un dilemma: rinunciare al fine a cui si tende, rimanendo moralmente retti ed integri oppure realizzarlo violando, però, i valori morali. E’ facile per chi è cresciuto in ambienti e relazioni sane, con forti principi morali, essere meno corruttibile di chi è inserito in un mondo dove i favori e le tangenti non hanno connotazione negativa, ma sono vissuti con quotidiana naturalità. In poche parole per essere corrotto o corruttibile non serve nascere a Scampia o vivere ai Parioli, perché l’odierna corruzione ha azzerato le distanze sociali e culturali. A fare la differenza secondo me non è il luogo o il ceto di nascita, ma la forza con cui i valori morali sono testimoniati e difesi dalla famiglia e dagli altri agenti educativi che formano l’individuo. Risulta difficile pensare che un soggetto che abbia ricevuto cattivi insegnamenti possa creare un mondo più sano di quello nel quale si è formato.

L’opposizione alla corruzione non può nascere dal silenzio-assenso e dall’omertà, ma dal germogliare della consapevolezza che l’illecito è un delitto e quel delitto esiste e bisogna essere determinati ad eliminarlo. Il contrasto all’illegalità non è un dovere delle sole forze dell’ordine e dei magistrati; è un dovere di tutti i cittadini, in modo particolare di quelli che vivono nelle aree dove l’illegalità è più diffusa e la criminalità domina che per primi dovrebbero cambiare la propria mentalità, così da spezzare quella ragnatela di complicità e corruzione da cui la criminalità trae forza e potere.

E’ avvilente vedere come si sia consolidata l’opinione (43% nel sondaggio) secondo cui, essendo la corruzione quasi di routine, allora tutti dovrebbero abbassarsi a tale compromesso, come se fosse l’unica strada disponibile. Nel mondo ci sono tante persone che testimoniano il contrario; sono persone che ricoprono anche cariche di un certo prestigio, non per favoritismo o in attesa di una contropartita, ma per merito, perché si sono rimboccate le maniche e si sono impegnate per realizzare i loro sogni, muovendosi nel lecito e nel giusto. Purtroppo queste persone non fanno notizia, non sono mai in prima pagina, ma vengono messi in secondo piano, e questo rinforza il messaggio che l’unico modo per farcela sia ricorrere all’illiceità.

L’opinione pubblica viene a conoscenza dei comportamenti illeciti e illegali nell’ordinario di una scaletta televisiva, in uno dei tanti talk show che, nella loro banalità e mediocrità, finiscono per rappresentarli come normali e non come qualcosa di scandaloso ed inaccettabile. Questa spettacolarizzazione dei media, mentre rende popolari personaggi ed eventi, ottiene l’effetto perverso di far sottovalutare la corruzione che non viene avvertita come un delitto, ma come un semplice ed innocuo strappo alla regola.

La chiave del problema sta proprio in questo oblìo della capacità critica: se si pensasse al corrotto come ad un ladro o ad un assassino ci si renderebbe realmente conto della gravità di questo reato e dei suoi devastanti effetti sul tessuto culturale e relazionale di una società. De Giovanni scrive che “la corruzione (è), a ben guardare, il delitto peggiore; quello contro la fiducia, contro il futuro”. Io aggiungerei che il corrotto è, senza eufemismi, un assassino perchè uccide i sogni di quelle persone che ogni giorno si impegnano per raggiungere traguardi e per realizzare progetti ambiziosi. Egli è anche un ladro perché ruba il futuro e le speranze, mandando in fumo anni di trasformazioni e sviluppo. Come disse il magistrato Borsellino “perché una società vada bene, si muova nel progresso, perché prosperi senza contrasti, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, è necessario che ognuno faccia onestamente il suo dovere”.

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