La concentrazione della popolazione e dell’occupazione nelle aree urbane: il ruolo del capitale umano

Francesco Giffoni presenta i dati sul processo di concentrazione della popolazione e dell’occupazione nelle città e si interroga sul ruolo che può avere avuto il grado di istruzione della popolazione.

Nella gran parte dei paesi sviluppati, la popolazione e l’occupazione si sono andate sempre più concentrando nelle aree urbane. Il fenomeno ha numerose e importanti implicazioni per le caratteristiche dello sviluppo e per la sua uniformità territoriale. In questa scheda si presentano alcuni dati su questo processo di concentrazione e si illustra il ruolo che può avere avuto il grado di istruzione (capitale umano) dei residenti nel favorire questo processo.

Nei 90 anni compresi tra il 1920 e il 2010 la popolazione presente nelle aree metropolitane degli Stati Uniti è cresciuta al tasso medio del 17,9% ogni 10 anni mentre la popolazione complessiva si è accresciuta al ritmo del 5,3%. Nello stesso arco di tempo, in Spagna, la popolazione urbana è cresciuta ogni decennio del 18,1%, quasi il doppio di quella complessiva (9,2%). Una situazione simile, anche se meno pronunciata, si è avuta in Francia dove, tra il 1937 e il 2007 la popolazione delle città è aumentata mediamente del 7,7% ogni 10 anni e quella complessiva del 5,7%.

Per quello che riguarda l’Italia, da un’elaborazione dei dati ISTAT risulta che la popolazione delle città, tra il 1921 e il 2001, è cresciuta mediamente dell’8.7% per decennio, ben al di sopra del 3,5% medio di crescita della complessiva popolazione.

Nel 1971 l’estensione territoriale delle prime 30 città italiane per numero di residenti (la cui popolazione complessiva era superiore al 25% di quella nazionale) era pari al 2% del territorio complessivo del nostro paese. Anche al netto delle aree di montagna (che rappresentavano il 35,2% del totale) il dato resta impressionante: oltre 1/4 della popolazione era concentrata nel 3,8% del territorio pianeggiante e collinare.
La crescita delle città italiane non è stata, però, uniforme. Lo prova il fatto che la deviazione standard del tasso di crescita della popolazione nelle città italiane, nel periodo 1921-2001, è stata dell’ 11,5%, superiore, quindi, alla corrispondente media. Se guardiamo alle città più grandi (con almeno 50.000 residenti nel 2001), media e deviazione standard sono di entità simile (12,1% e 11,8%, rispettivamente).

Un fenomeno simile si è avuto rispetto alla crescita dell’occupazione. Tra il 1951 e il 2001, il tasso di crescita decennale medio del numero di occupati in 230 città italiane è stato del 39% con una deviazione standard del 25% (40% e 22% , rispettivamente, per le città più grandi).
Sebbene le città siano cresciute nel tempo, esse non sono dunque cresciute allo stesso tasso: alcune aree urbane hanno prosperato altre hanno sperimentato un accentuato declino. Perché le città crescono in popolazione e occupazione? Quali sono le città che crescono più velocemente e perché? E’ plausibile che cambiamenti nella tecnologia e nelle preferenze degli individui guidino la dinamica della popolazione e dell’occupazione nello spazio? Perché individui e imprese sono attratti (o respinti) da un contesto urbano?

Un ruolo centrale nelle dinamiche di sviluppo dell’occupazione e della popolazione delle città è svolto dal capitale umano (ovvero dal livello di istruzione e competenze dei cittadini). Un elevato capitale umano può alimentare la crescita producendo nuova conoscenza sia attraverso meccanismi di learning by doing, sia attraverso la diffusione della conoscenza nell’economia (i cosiddetti knowledge spillovers). Seguendo una linea di pensiero tracciata da Jacobs, il premio Nobel Robert Lucas è stato fra i primi a enfatizzare la stretta connessione tra capitale umano e dimensione urbana: la città è il luogo ideale dove avviene la diffusione delle idee e delle competenze attraverso interazioni ripetute tra agenti economici. Questo meccanismo funziona attraverso il cosiddetto canale “imprese”: dove il capitale umano è più elevato si registrano maggiore produttività, dinamiche occupazionali più sostenute e più alti salari e questi fattori, a loro volta, possono attrarre nuovo capitale umano.

Recentemente è stato però sottolineato come la relazione tra capitale umano e crescita a livello di città sarebbe spiegata principalmente dalle economie di scala nel consumo, piuttosto che nella produzione, soprattutto in seguito alla delocalizzazione delle imprese all’esterno dei confini urbani o addirittura nazionali, causata dal calo dei costi di trasporto.

Appartengono a questo filone di pensiero la “Consumer City view” che attribuisce alla città un ruolo di facilitatore del consumo di servizi e di caratteristiche connesse alla città stessa come, ad esempio, cultura e svago e la “Reinvention City view”, in base alla quale il capitale umano offre un contributo decisivo alla rinascita di città in ritardo strutturale o colpite da shock economici avversi. Nel caso italiano è stato enfatizzato da Dalmazzo e de Blasio il ruolo del capitale umano nel migliorare la qualità della vita (condizione e organizzazione dell’ambiente di lavoro, possibilità di shopping, presenza di musei e teatri, sicurezza e controllo della criminalità) nei luoghi dove esso si concentra; viene, così, affermata l’idea che le città siano centri di consumo e di amenità culturali.

Una nostra analisi empirica sembra corroborare quanto si è detto, anche se i risultati hanno valore puramente descrittivo e non di individuazione di nessi causali.
La nostra analisi si basa su un campione formato da 230 città italiane distribuite in modo casuale sul territorio nazionale. L’obiettivo è indagare le interazioni tra crescita del numero di occupati e dotazioni di capitale umano iniziali mettendo in luce le differenze tra città situate nel Sud e nel Nord del paese (dedicando attenzione anche al caso del Nord Ovest che ha rappresentato la spina dorsale dell’economia italiana sin dall’unificazione) e tra città grandi e piccole. Il periodo di analisi è il trentennio 1971-2001.
La Figura 1 mostra l’esistenza di una relazione positiva tra crescita dell’occupazione e capitale umano iniziale. Tra il 1971 e il 2001 un aumento del 10% della quota di laureati risulta associato con una crescita dell’occupazione dello 0,6% e tale associazione è statisticamente significativa.

Figura 1 - Capitale umano e crescita economica
Figura 1 – Capitale umano e crescita economica

La letteratura economica suggerisce che l’impatto degli individui più istruiti è più elevato nelle città più popolose perché sarebbero più facili le connessioni tra persone in grado di scambiarsi conoscenze. La Figura 2 illustra la correlazione tra capitale umano e dinamica occupazionale nelle 116 città che contavano almeno 50.000 residenti nel 2001. Risulta che il coefficiente di correlazione stimato non è statisticamente diverso da quello dell’intero campione.

Figura 2 - Capitale umano e crescita economica (città con almeno 50.000 abitanti in nero)
Figura 2 – Capitale umano e crescita economica (città con almeno 50.000 abitanti in nero)

La Figura 3 illustra la correlazione tra istruzione e tasso di crescita del numero di occupati distinguendo le città del Centro-Nord (in nero) da quelle del Sud.

Figura 3 - Capitale umano e crescita economica (Centro e Nord in nero)
Figura 3 – Capitale umano e crescita economica (Centro e Nord in nero)

L’analisi rappresenta un passo necessario dal momento che, come noto, l’Italia è caratterizzata da un forte dualismo. Tra il 1971 e il 2001, nella ripartizione centro-settentrionale un aumento del 10% della dotazione di capitale umano iniziale è associato a un aumento del numero di occupati dello 0,7%; la correlazione è, invece, nulla nel Mezzogiorno. La maggiore crescita occupazionale delle città del Sud rispetto a quelle settentrionali è stata dunque, molto probabilmente, trainata da interventi massicci di politica regionale e locale, piuttosto che da caratteristiche proprie del tessuto urbano.

Figura 4- Capitale umano e crescita economica (Nord-Ovest in nero)
Figura 4- Capitale umano e crescita economica (Nord-Ovest in nero)

La Figura 4 si focalizza sul Nord Ovest. Sin dall’unificazione, il Nord Ovest ha rappresentato per l’Italia un laboratorio, un’area all’avanguardia i cui cambiamenti strutturali (rapida industrializzazione all’inizio del XX secolo e repentina de-industrializzazione a fine secolo) hanno spesso anticipato quelli del resto del Paese. Le città del Nord Ovest si collocano nella parte inferiore del grafico mostrando una più debole associazione tra dotazioni iniziali di capitale umano e crescita successiva dell’occupazione. Questo puzzle è facilmente spiegabile se ci poniamo nell’ottica della teoria della “Reinvention city” e consideriamo che quest’area è stata a forte vocazione manifatturiera sino agli anni settanta.

Il settore manifatturiero può generare crescita in molti modi: può attrarre produttori di beni intermedi e di servizi, può beneficiare di alte economie di agglomerazione, può essere in alcuni casi motore dell’innovazione. Tuttavia, spesso il ciclo di vita tipico dell’industria manifatturiera segue una dinamica precisa: crescita iniziale sostenuta, seguita da un rallentamento e da un successivo declino.

Molto spesso le città seguono il destino delle industrie. La riconversione delle aree urbane nelle quali sono stati realizzati forti investimenti in settori ad alta intensità di capitale (industria automobilistica, industria cantieristica, industria metallurgica) può essere ardua poiché gli investimenti hanno tipicamente connotati di difficile reversibilità’ e il capitale esistente può spiazzare il nuovo (le risorse scarse, come i terreni, sono state impiegate per allocare il vecchio capitale). Inoltre alcuni autori rilevano come le attività non manifatturiere non si spostano in città dove la manifattura è in declino: è piuttosto la popolazione che emigra e l’occupazione diminuisce. Queste tesi avvalorano l’idea che il Nord Ovest abbia attraversato un periodo di ristrutturazione che ha penalizzato la crescita occupazionale.

Le evidenze descrittive qui mostrate sono quindi coerenti con un modello generale di sviluppo urbano in cui città con dotazioni di capitale umano iniziali più elevate registrano nel corso del tempo una crescita più sostenuta. Tale associazione è più marcata per le aree urbane del Centro-Nord. Tuttavia, i vantaggi comparativi di cui il Nord Ovest ha usufruito durante il XX secolo sembrano essere svaniti negli ultimi decenni, quando si è resa necessaria una ristrutturazione dell’economia locale.

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