La compressione dei salari reali nel Regno Unito e cosa fare per fermarla

Paul Gregg e Marina Fernandez-Salgado analizzano il mercato del lavoro nel Regno Unito illustrandone aspetti che contrastano con l’idea, piuttosto diffusa in Italia, che l’economia britannica attraversi una fase di prosperità. In particolare, nell’attuale recessione, diversamente dalle precedenti, l’occupazione è caduta poco ma più diffusa è stata la riduzione dei salari reali – e talvolta anche di quelli nominali. Gli autori auspicano una ripresa della produttività che, invertendo le tendenze degli ultimi anni, permetta di accrescere i salari medi e bassi.

La reazione del mercato del lavoro britannico alla profonda recessione e al prolungato periodo di stagnazione economica manifestatosi in risposta alla crisi finanziaria del 2008 è del tutto anomala rispetto alle recessioni precedenti. La risposta normale a una recessione è quella che gli economisti chiamano “Legge di Okun”: grandi cadute dell’occupazione associate a modeste variazione dei salari reali, cioè i salari al netto dell’inflazione. Possiamo, infatti, aspettarci un congelamento dei salari nominali ma non una loro caduta in termini assoluti. Questo è quanto si è verificato in passato nel Regno Unito ed è anche la risposta all’attuale recessione degli Stati Uniti, ma non del Regno Unito. Qui le cose sono andate molto diversamente.

La contrazione dell’occupazione è stata molto contenuta – circa il 2% – in rapporto alla considerevole caduta del PIL, pari al 7%. Alla fine del 2013 l’occupazione ha iniziato a riprendersi, superando di mezzo milione il suo livello degli anni precedenti la recessione, pur non essendo la produzione ancora tornata ai livelli pre-crisi. I giovani al di sotto dei 25 anni rappresentano un’eccezione. Per loro, infatti, il calo dell’occupazione è stato particolarmente forte e solo di recente si sono manifestati i segni di una lieve ripresa. Questa deludente performance della produzione, associata con l’elevato livello di occupazione, segnala un andamento negativo della produttività, cioè del prodotto medio per lavoratore. A questo ci si riferisce quando si parla di productivity puzzle (l’enigma della produttività).

Nel Regno Unito sono anche diminuiti i salari reali ed il loro calo è stato di entità tale da non avere precedenti storici negli ultimi 50 anni, da quando si dispone di dati confrontabili. I salari settimanali reali del lavoratore tipico (colui che guadagna un salario mediano) sono caduti di circa l’8% a partire dall’inizio del 2008. Ciò equivale a una perdita salariale annua di circa 2.000 sterline.

La Figura 1 mostra gli andamenti dei salari reali nel Regno Unito dal 1988 utilizzando i dati più affidabili di cui disponiamo, che derivano dai libri contabili delle imprese, e riferendosi a un lavoratore “povero” (10° percentile), al lavoratore mediano (50° percentile) e a un lavoratore ricco (90° percentile). Si nota che i salari reali del lavoratore mediano sono cresciuti in modo abbastanza costante fino al 2003. Inoltre, durante la seria recessione dei primi anni ‘90, i salari non si sono ridotti, ma hanno stagnato. Tra il 2003 e il 2008 i salari sono cresciuti, anche se più lentamente del passato, mentre negli anni successivi si è registrata una netta caduta. Se consideriamo i salari orari, invece di quelli settimanali, la caduta è confermata, anche se di entità lievemente meno marcata.

Fig. 1: Tasso di crescita dei salari reali settimanali nel 10°, 50°  90° percentile nel periodo 1988-2013

Fonte: Elaborazioni da dati New Earnings Survey/Annual Survey of Hours and Earnings.
Fonte: Elaborazioni da dati New Earnings Survey/Annual Survey of Hours and Earnings.

I dati più recenti inducono a pensare che non ci sia un’inversione di tendenza; i salari reali restano, infatti, fermi o sono in lieve diminuzione. Naturalmente l’andamento non negativo dell’occupazione e la preoccupante dinamica dei salari sono tra loro connessi. La caduta dei salari reali, combinata alla difficoltà di ottenere dalle banche prestiti per finanziare gli investimenti, ha incoraggiato le imprese a scegliere di soddisfare la domanda con una maggiore utilizzazione del lavoro piuttosto che con nuovi investimenti in capitale. Questo spiega il prolungato periodo di produttività stagnante e di andamento (relativamente) positivo dell’occupazione a cui abbiamo assistito. Inoltre, a completare il quadro, va sottolineato che la debole performance della produttività non lascia troppi margini per aumentare i salari reali.

La caduta dei salari reali ha interessato sia i lavoratori meno pagati sia quelli più pagati. Questo emerge chiaramente dalla Figura 1 la quale, come si è detto, mostra l’andamento dei salari reali per tre gruppi di lavoratori. Le cadute salariali sono abbastanza simili tra i tre gruppi, ma alcuni gruppi hanno sofferto di più. Nelle regioni caratterizzate da un forte aumento della disoccupazione, le cadute dei salari sono state molto più ampie; inoltre, gli uomini sono stati più penalizzati delle donne. La caduta più forte, però, è stata subita dai giovani al disotto dei trent’anni, i cui salari sono scesi ai livelli registrati intorno al 1998.

Analizzando con più attenzione le situazioni individuali, emergono differenze considerevoli nella grandezza della caduta dei salari. La Figura 2 la variazione dei salari reali registrata fra il 2009 e il 2012 da chi è risultato occupato in entrambi gli anni. Circa un terzo di questi lavoratori ha subito una caduta dei salari superiore al 10% e circa 1/6 ha visto i propri salari contrarsi di più del 20%. Si nota, inoltre, un consistente taglio anche dei salari nominali. Un’anomala concentrazione di individui si osserva in corrispondenza di una caduta pari all’11% del salario reale; dato che fra il 2009 e il 2012 i prezzi sono cresciuti dell’11%, si tratta dei lavoratori il cui salario nominale è rimasto congelato nel corso del periodo. Chi ha subito perdite di salario reale superiori all’11% ha, quindi, sofferto anche una riduzione del salario nominale. La causa potrebbe essere una diminuzione delle ore lavorate o una perdita di premi e bonus o il passaggio a un lavoro a minore salario. Tuttavia, concentrandosi su coloro che non hanno cambiato impresa nel corso del periodo, si osserva circa 1/3 ha subito un taglio della retribuzione nominale oraria (in cui non sono inclusi straordinari e premi). Inoltre, un lavoratore su 5 ha subito una riduzione del salario nominale orario superiore al 5% in almeno un anno fra il 2009 e il 2012.

Fig. 2: Distribuzione del tasso di crescita dei salari reali settimanali fra il 2009 e il 2012

Fonte: Elaborazioni da dati New Earnings Survey/Annual Survey of Hours and Earnings.
Fonte: Elaborazioni da dati New Earnings Survey/Annual Survey of Hours and Earnings.

Come si può spiegare una caduta dei salari così forte? L’evidenza empirica suggerisce che queste cadute dei salari reali, mai viste prima, sono da attribuirsi a tre fattori. Anzitutto, la disoccupazione ha esercitato una spinta alla riduzione dei salari molto più forte di quanto avvenuto nelle precedenti recessioni. A conferma di ciò, si osserva che le regioni caratterizzate dal maggior aumento della disoccupazione sono anche quelle caratterizzate dalla più intensa caduta dei salari.

In secondo luogo, l’andamento dei salari mediani è storicamente legato alla crescita della produttività attraverso una relazione che si rinforza reciprocamente. Aumenti della produttività creano spazio per aumenti dei salari reali e, a loro volta, l’aumento dei salari reali incentiva le imprese a investire di più in tecnologie “labour saving”. Salari bassi hanno, a loro volta, creato incentivi per le imprese a far fronte alla domanda assumendo più lavoratori a discapito degli investimenti, con conseguente indebolimento della produttività. Se questa sembra essere una buona notizia per l’occupazione, non lo è di certo per la crescita dei salari reali.

Infine, sin da prima della recessione, nel Regnp Unito il salario del lavoratore tipico non ha seguito l’andamento della produttività. E’ questo il fenomeno del “de-coupling” che ha caratterizzato fortemente gli Stati Uniti negli ultimi 30 anni e ha iniziato a manifestarsi nel Regno Unito a partire dal 2002. Questo fenomeno dipende in parte dal fatto che una quota crescente della retribuzione totale viene ormai destinata a sostenere le pensioni, non soltanto dei lavoratori (sotto forma di contributi) ma anche dei pensionati e, in parte, dal fatto che una grossa quota degli incrementi di produttività viene assorbita da coloro che ricevono i salari più alti (il top 2%), così impedendo ai lavoratori a basso salario di ottenerne un vantaggio.

Questa situazione impone di interrogarsi sulle condizioni che possono consentire ai salari reali di tornare a crescere. La recente rapida riduzione della disoccupazione, a cui si è assistito nel Regno Unito già a partire dall’estate del 2013, dovrebbe essere sufficiente a generare un aumento dei salari reali nella seconda parte del 2014, dato che, in generale, i salari rispondono a cambiamenti nelle condizioni del mercato del lavoro con un anno di ritardo. Una protratta diminuzione della disoccupazione dovrebbe stimolare una ripresa dei salari nominali, ma questo processo è destinato a interrompersi nel giro di due o tre anni, una volta che la disoccupazione si sarà stabilizzata.

Affinché si avvii una ripresa sostenuta dei salari, è necessario che la produttività riprenda a crescere ai ritmi normali, dopo il deludente andamento degli ultimi 6 anni. Con il lavoro che diventa più scarso e più costoso, dovremmo aspettarci che le imprese intensifichino gli investimenti con conseguenze positive sulla produttività. Ma questo potrebbe non essere sufficiente a sostenere gli aumenti dei salari reali a meno che della crescita della produttività non tornino a beneficiare anche i lavoratori ordinari. Questa è stata storicamente la norma, che si è, però, interrotta all’inizio del nuovo secolo – ben prima, quindi, della recessione – da quando una quota sproporzionatamente grande degli incrementi di produttività è andata sia a finanziare la spesa per i fondi pensione gestiti dai datori, sia ad aumentare i salari, già crescenti, dei lavoratori meglio pagati.

Schede e storico autori