Importanti passi avanti in Italia per la valutazione delle politiche per lo sviluppo sostenibile

Enrico Giovannini si occupa di due recenti novità in tema di valutazione delle politiche pubbliche per lo sviluppo sostenibile. La prima è l’obbligo di predisporre la Strategia Italiana di Sviluppo Sostenibile e l’istituzione del “Comitato Nazionale per il Capitale Naturale”. La seconda è l’inserimento degli “indicatori di benessere equo e sostenibile” nel DEFe nella Legge di Bilancio. Dopo averle illustrate, Giovannini valuta queste novità nella prospettiva del conseguimento degli obiettivi contenuti nelll’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

Grazie al processo negoziale svoltosi tra il 2012 e il 2015, a settembre dell’anno scorso i leader di tutti i paesi del mondo hanno sottoscritto l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, articolata in 17 Obiettivi (SDGs) e in 169 target, formalmente approvata con la risoluzione A/RES/70/1 della 70a Assemblea Generale dell’ONU. A differenza degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDGs), adottati nel 2000 e finalizzati a rimuovere gli ostacoli allo sviluppo in campo sociale, economico e ambientale nei paesi in via di sviluppo, gli SDGs  (su questo si veda www.asvis.it) sono universali e dunque si applicano a tutti i paesi, con misure e strumenti che tengano conto delle diverse condizioni a livello nazionale ma secondo il principio per cui “nessuno deve essere lasciato indietro” (no one will be left behind). Essi costituiscono un’agenda politica integrata per i prossimi 15 anni per risolvere le sfide interconnesse in campo sociale, economico e ambientale che l’umanità si trova oggi ad affrontare.

Ebbene, gli ultimi mesi hanno visto importanti novità che potrebbero consentire all’Italia di fare un vero e proprio salto di qualità nel disegno e nella valutazione delle politiche pubbliche per lo sviluppo sostenibile. Com’è noto, infatti, l’Italia non ha un robusto ed esteso sistema per la valutazione delle politiche pubbliche. Solo per ciò che concerne quelle economiche e finanziarie, anche alla luce dell’obbligo di pareggio strutturale del bilancio pubblico introdotto nella Costituzione, vi è un approccio abbastanza consolidato e in parte armonizzato a livello europeo: di conseguenza, gli impatti finanziari delle leggi, così come il prevedibile effetto di riforme strutturali sulla crescita potenziale del PIL e su altre variabili macroeconomiche, vengono regolarmente presentati nei documenti programmatici e, in particolare, nel Documento di Economia e Finanza (DEF). Diversi tipi di modelli analitici ed econometrici sono utilizzati a tal fine, sia dalle strutture governative sia da altri enti pubblici e privati.

Quasi assente è invece la valutazione ex-ante ed ex-post dell’impatto della legislazione su altre grandezze estremamente rilevanti per il benessere della popolazione e le condizioni dell’ecosistema, nonché per la sostenibilità di lungo termine del sistema economico-sociale-ambientale. Raramente le leggi impongono meccanismi trasparenti di valutazione e manca un serio investimento pubblico per lo sviluppo di strumenti analitici in grado di effettuare tali valutazioni, come invece avviene in molti altri paesi europei. L’Analisi di Impatto della Regolamentazione (AIR), che deve accompagnare ogni nuova proposta di legge, è considerato un puro adempimento burocratico e non contribuisce significativamente al dibattito sui testi normativi. Infine, a parte gli aspetti finanziari, non è prevista alcuna valutazione d’impatto degli emendamenti apportati dal Parlamento alla proposta di legge iniziale.

Questo stato di cose sta, finalmente, per cambiare, grazie a due novità legislative di grande portata, almeno in teoria.

 La valutazione delle politiche pubbliche sul capitale naturale e i servizi ecosistemici. La prima novità è stata rappresentata dalla legge 221 del 28 dicembre 2015(“Collegato Ambientale”), approvata dal Parlamento a fine dicembre, che ha previsto sia l’obbligo per il Governo di predisporre la Strategia Italiana di Sviluppo Sostenibile sia l’istituzione del “Comitato Nazionale per il Capitale Naturale”. La nuova “Strategia” darà seguito agli impegni assunti con l’adozione dell’Agenda 2030. Sulla base di un’attenta rassegna dei principali strumenti di programmazione strategica in campo sociale, economico e ambientale, nonché nel campo delle riforme istituzionali, la nuova Strategia nazionale di sviluppo sostenibile dovrà costituire il quadro di riferimento per far sì che gli SDGs e i relativi sotto-obiettivi (target), che in numerosi casi comportano impegni importanti anche per i Paesi industrializzati come l’Italia, vengano trasformati in un impegno cogente, pluriennale, a livello nazionale, verificato mediante gli indicatori statistici recentemente approvati dall’Onu.

Se la Strategia deve disegnare un insieme di interventi in grado di consentire al nostro Paese di raggiungere gli SDGs, il Comitato è investito di una notevole responsabilità rispetto alle politiche pubbliche, in quanto (art. 67):“trasmette, entro il 28 febbraio di ogni anno, al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro dell’economia e delle finanze un rapporto sullo stato del capitale naturale del Paese, corredato di informazioni e dati ambientali espressi in unità fisiche e monetarie, seguendo le metodologie definite dall’Organizzazione delle Nazioni Unite e dall’Unione europea, nonché di valutazioni ex ante ed ex post degli effetti delle politiche pubbliche sul capitale naturale e sui servizi ecosistemici”.Il Comitato è presieduto dal Ministro dell’ambiente e ne fanno parte, tra gli altri, i ministri dell’economia e delle finanze, dello sviluppo economico, del lavoro e delle politiche sociali, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali, per gli affari regionali e le autonomie, per la semplificazione e la pubblica amministrazione, dei beni e delle attività culturali e del turismo, rappresentanti della Conferenza delle regioni e dell’ANCI, il Governatore della Banca d’Italia, i presidenti dell’Istat, dell’ISPRA, del CNR, dell’ENEA ed esperti della materia.

Si tratta di una struttura che ha pochi omologhi nel mondo, tant’è vero che, quando, durante il Governo Letta, con Paolo Soprano e Gianfranco Bologna scrivemmo questo testo, ci ispirammo all’esperienza inglese, all’epoca l’unica così ben strutturata. Peraltro, indicammo la data di fine febbraio per la predisposizione del rapporto così da poterlo utilizzare nella fase di preparazione del DEF, e soprattutto del Piano nazionale di riforma (PNR), che il Governo deve presentare in Parlamento ad aprile di ogni anno.

Il Ministero dell’Ambiente ha organizzato a fine maggio la prima riunione degli esperti che fanno parte del Comitato, confermando l’impegno a realizzare il primo rapporto entro febbraio 2017.Certo, l’investimento in termini di ricerca non sarà banale, ma è pur vero che l’Italia è dotata di un buon sistema statistico di contabilità ambientale e ci sono diverse esperienze, anche internazionali, di valutazione del capitale naturale e dei servizi ecosistemici. Particolarmente importante dovrà essere anche l’investimento per realizzare il secondo mandato del Comitato, quello riguardante la valutazione degli effetti delle politiche pubbliche su queste grandezze. Ovviamente, questa è un’attività con enormi valenze politiche, ma riuscire a trasformare il dibatto in questo campo da un confronto di tipo ideologico ad uno basato sull’evidenza sarebbe un risultato di portata straordinaria: d’altra parte, non si vede perché l’Italia non possa essere al passo con ciò che avviene in altri paesi avanzati e a livello di Unione Europea.

Gli indicatori di benessere e di sostenibilità nella programmazione delle politiche economiche. La seconda novità riguarda la riforma della Legge di Bilancio in discussione alla Camera. La riforma prevede, tra le altre cose, l’inserimento degli “indicatori di benessere equo e sostenibile” nel ciclo di predisposizione del DEF (e del connesso PNR) e della Legge di Bilancio.

Gli indicatori del Benessere Equo e Sostenibile (BES) costituiscono, dal punto di vista statistico, uno dei casi di maggiore successo nel panorama internazionale per andare “oltre il PIL”. Il progetto per la costruzione del BES fu avviato dall’Istat nel 2010 e l’intenzione dichiarata era quella di fare del BES non solo uno strumento di misurazione delle diverse dimensioni de benessere, ma anche un riferimento culturale per l’intera società italiana e un’opportunità per cambiare il modo in cui la politica veniva disegnata e valutata. Non a caso, come presidente dell’Istat, proposi al CNEL di contribuire al progetto del BES coinvolgendo le diverse componenti della società civile, le quali avrebbero dovuto definire il “cosa” misurare, mentre agli statistici e agli esperti delle diverse tematiche spettava il compito di definire il “come”, era proprio finalizzata a raggiungere il primo obiettivo.

A oltre cinque anni dall’avvio del progetto, credo di poter dire che il BES sia diventato un punto di riferimento importante non solo per gli “addetti ai lavori”, ma per una fascia più ampia della società italiana, anche grazie all’attenzione prestata a questo strumento dai media. Diverso è il tema dell’uso del BES per la valutazione delle politiche. Se, finora, l’unico segnale di “attenzione” al BES nei documenti ufficiali di programmazione delle politiche era rappresentato da un box contenuto nel DEF presentato ad aprile del 2014, la discussione per la riforma della Legge di Bilancio ha reso il BES centrale nel disegno e nella valutazione delle politiche pubbliche per il benessere e lo sviluppo sostenibile.

Infatti, viene previsto che “In apposito allegato al DEF, è riportato l’andamento nell’ultimo triennio degli indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale nonché le previsioni riguardo alla evoluzione degli stessi nel periodo di riferimento, anche sulla base delle misure previste per il raggiungimento degli obiettivi di politica economica…” e che “Con apposita relazione, da presentare alle competenti Commissioni parlamentari entro il 15 febbraio di ciascun anno, è evidenziata l’evoluzione dell’andamento degli indicatori di benessere equo e sostenibile adottati a livello internazionale sulla base degli effetti determinati dalla legge di bilancio per il triennio in corso.”

Le modifiche normative hanno ottenuto l’approvazione della Camera il 22 giugno scorso e entro luglio dovrebbero avere  anche quella del  Senato.  Si potrebbe  così determinare un cambio di passo nelle modalità di utilizzo degli indicatori di benessere e di sostenibilità, anche se per realizzare un sistema adeguato bisognerebbe fare un investimento di ricerca non trascurabile. Infatti, come sottolineato anche in una recente audizione dell’Istat, alcuni dati inseriti nel BES non sono disponibili con la stessa tempestività delle variabili economiche. Inoltre, sarebbe necessaria la predisposizione di una modellistica capace di produrre previsioni e valutare l’impatto delle politiche adottate sugli indicatori di benessere. Si tratta di sfide complesse da un punto di vista metodologico e di analisi, ma comunque non impossibili, considerate anche la qualità e le competenze specifiche acquisite su queste tematiche dal nostro sistema statistico e di ricerca. Spero quindi che queste problematiche non vengano utilizzate come una scusa per modificare significativamente il testo predisposto, il quale non solo posizionerebbe l’Italia all’avanguardia internazionale in questo campo, ma porrebbe le basi per orientare nei fatti le politiche pubbliche al conseguimento degli impegni per lo sviluppo sostenibile su cui l’Italia si è impegnata in sede ONU.

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