Il liberismo e lo sviluppo economico cinese

Stefania Jaconis legge ‘Liberalism and Chinese Economic Development’ curato da Gilles Campagnolo e si chiede: come definire la Cina oggi? Quali sono le caratteristiche salienti di un modello di sviluppo che può essere compreso solo tenendo conto di un contesto il più ampio possibile, che è quello della civiltà dell’Asia Orientale? Jaconis sottolinea che per rispondere a queste domande è necessario tenere conto in modo integrato di molti aspetti - economici, socioculturali e giuridici -e che il merito principale del volume è di riuscire a farlo.

Ci sono libri che rispondono a domande correnti, libri che rispondono a domande che non ci siamo ancora posti, libri che rispondono a domande che, ex post, ci meravigliamo di non esserci mai fatte. Liberalism and Chinese Economic Development, a cura di Gilles Campagnolo (Routledge 2016) rientra decisamente in quest’ultima categoria. Frutto di un progetto internazionale e multidisciplinare finanziato dalla Comunità Europea e diretto da Gilles Campagnolo, il volume accoglie lavori di studiosi i cui campi di ricerca spaziano dall’orientalistica all’economia dello sviluppo, dalla teoria economica della giustizia alla filosofia politica, dalla filosofia economica alla sociologia.

Dopo la lettura dei vari contributi ci si rende conto che la sinergia di tutti questi approcci era necessaria per rispondere in modo esaustivo agli interrogativi propri di uno studio di lungo periodo, à la Braudel, che voglia indagare sul destino prossimo dell’attuale transizione cinese, vedendola nel contesto della matrice storico-culturale dell’Asia Orientale. Per rendere giustizia alla complessità concettuale dell’analisi bisogna affrontarla attraverso un iter logico-mentale che hacome punto di partenza (forse) la risposta cinese alla recente crisi economica e come punto di arrivo l’evoluzione possibile di una modernizzazione che rappresenta un episodio unico nella storia economica e culturale degli ultimi decenni.

Lungo questo tragitto, il libro non consente scorciatoie, ma anzi si giova di excursus categoriali di sicuro interesse perun pubblico, come quellooccidentale, che fino a poco tempo fa si baloccava con concetti come la fine della storia e il trionfo della democrazia liberale. Non solo, ci rendiamo conto leggendo questi saggi, la storia non finisce mai, ma è anche difficile stabilirne l’esatto punto di inizioper l’indagine scientifica: nel fluire dei fenomenigli antecedenti non sono solo temporali ma anche logici, e in quanto tali pregni di un valore euristico cheuna chiave di lettura monodisciplinaree schiacciata sul presente non permetterebbe di raggiungere. Così, apprendiamo che è importante capire l’attuale revival del confucianesimo in Cina, e arricchirne l’analisi sulla modernizzazione, in quanto, nella parole di uno degli autori del libro, ‘Sul piano fattuale, qualunque possibilità che la Cina diventi democratica va riportata all’etica sociale cinese e al retaggio confuciano’ (p.97). Sistema di pensiero che si caratterizza per una sorta di disprezzo per il profitto individuale, a vantaggio di un’etica basata sulla norma del dovere e sul rispetto profondo dei legami di parentela, il confucianesimo pone al centro dell’attività sociale e di assistenza la famiglia, quindi la comunità e solo ultimo lo stato: va da sé che la comprensione di certi tratti di questa tradizione religiosarisulta basilare per capire le peculiarità del welfare cinese, e il ruolo limitato da esso ricoperto nello sviluppo economico del paese. Un simile valore esplicativo lo troviamo nell’impiego del concetto di individualismo, e nel carattere particolare che esso assume nell’oriente asiatico: legato ai principi di autonomia e di indipendenza (anche in senso giuridico e politico), l’individualismo in Asia si differenzia notevolmente da quello della tradizione illuministica dell’occidente; ciò emergedallo studio di autori giapponesi della fine dell’Ottocento, dato che a partire dalla metà di quel secolo proprio il Giappone fece da battistrada nella via del confronto tra le due culture. Oggi, per capire quanto l’individualismo asiatico – orientato verso la comunità – si discosti da quello occidentale (che quindi può essere mutuato solo in parte) uno degli autori del volume ricorre alla cosiddetta ‘teoria dell’individualizzazione’, che analizza il rapporto fra l’agire delle persone e quelle che ne sono le determinanti sociali.

In generale, quello del confronto tra Oriente e Occidente è un po’ il fil rouge del libro, e in questa dialettica il tema dell’accettazione del pensiero economico ‘liberale’ (da intendersi come liberismo economico) è il punto focale, lo svincolo, dei vari pezzi di indagine.Lungo questo percorso, sia oggettivo che di riflessione, come dicevamosiamo portati a porci questioni inattese. Infatti, presi come siamo dalla ‘nostra’ risposta ai nuovi valori portati avanti dalla modernizzazione asiatica – cinese in particolare -, raramente ci soffermiamo ad analizzare il modo in cui questi paesi hanno inglobato non solo i tratti economici, ma anche quelli culturali del nostro mondo.Ecco dunque una risposta non prevista a una domanda che probabilmente non ci siamo mai posti: il conflitto tra etica e gnoseologiapresente nella riflessione kantiana, che riesce a comporlo, non trova lo stesso tipo di soluzione nella Cina contemporanea, dove proprio sul rapporto difficile tra scienza moderna e moralità si costruì un certo rifiuto della ‘Westernization’, e l’adesione a istanze nazionalistichecome quelle che emersero negli anni ’20 con la protesta contro le risoluzioni del Trattato di Versailles.

Quanto di tutto questo si può riproporre oggigiorno, e segnare un ostacolo ulteriore nel percorso accidentato della ‘deglobalizzazione’ in atto?E’, questo, uno dei grandi interrogativi che ruotano attorno all’accettazione asiatica del liberismo economico, il cui iter articolatonon può che riflettersi nella complessità delle indagini che lo riguardano. Allo studioso che volesse affrontare questi argomenti (quante analisiimprovvisate abbiamo visto sul ‘modello di crescita cinese’, e sulla sua possibile traiettoria futura?…) il progetto diretto da Campagnolo fornisce un arricchimento inestimabile di prospettive e angolazioni, permesso dalla multidisciplinarietà e dalla multinazionalitàdei lavori che compongono il volume. Così, se le diverse teorie della modernizzazione, anche di matrice orientale,ci permettonodi avanzare ipotesi (provvisorie) sul futuro sviluppo socioeconomico della Cina e sulla sua possibile adozione dei valori propri della democrazia, la rivisitazione delle istanze di laissez-faire cinesi degli anni ’30 ci consente di valutare con maggiore consapevolezza le susseguentiproposte di una ‘terza via’, ampiamente tributarie del socialismo marxista occidentale: basate su tesi egualitarie e politiche redistributive, esse aprirono di fatto la via culturale alla presa del potere maoista. Come scrive uno degli autori, “Dopo la rivoluzione del 1949 il liberismo economico è scomparso dalla scena intellettuale cinese per più di tre decenni. Le idee economiche liberali hanno riguadagnato importanza alla fine del ventesimo secolo, quando i riformatori cinesi iniziarono a proclamare obiettivi come ‘apertura’ e ’economia socialista di mercato’” (p.81).

In conclusione, ci sembra di poter terminare queste righe con un’osservazione sintetica che emerge a seguito della lettura di ‘Liberalism and ChineseEconomic Development’: se non è corretto vedere semplicisticamente l’evoluzione del modello cinese come un’adesione supina al dictum del ‘liberalism’ (non dimentichiamo che la correlazione positiva tra crescita e liberismo economico è lungi dall’essere dimostrata), qualunque analisi che aspiri a ipotizzare un futuro possibile per l’Asia Orientale, proprio per le varie specificità socioculturali coinvolte, non può che tener conto di indagini basate su un approccio pluridisciplinare.

Schede e storico autori