Il Governo in cattedra

Massimo Luciani si occupa delle “cattedre Natta”, ovvero della possibilità di creare professori universitari in deroga alle norme sulla retribuzione, sulla mobilità e sul reclutamento e sottolinea come esse costituiscano una rottura dell’unità del ruolo della docenza. Luciani critica la modalità di reclutamento dei “super-professori”, che affida all’Esecutivo il compito di scegliere il presidente della commissione e conclude sostenendo che per ovviare agli attuali malfunzionamenti delle commissioni occorre reintrodurre il concorso nazionale.

1.- La storia che si racconta, in sintesi, in queste pagine comincia con l’art. 1 della l. 28 dicembre 2015, n. 208 (si tratta della legge di stabilità per il 2016).

In quell’articolo si istituisce un fondo “sperimentale”, dedicato alla memoria di Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963, per consentire le chiamate dirette di “studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico” (comma 207). Le chiamate sono esplicitamente previste “in deroga alle norme sul reclutamento dei professori universitari” (comma 208) e la relativa procedura deve essere regolata da un “decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della […] legge, di concerto con il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca e con il Ministro dell’economia e delle finanze […]” (comma 210).

I “super-professori” così reclutati (li chiamerò così, d’ora in avanti, per distinguerli dai modesti “normo-professori”, del tipo – per intenderci – di chi scrive queste righe) godono di significativi vantaggi: oltre a valersi di una procedura di selezione extra ordinem, infatti, ai sensi del comma 210, lett. c), sono inquadrati in una classe stipendiale non inferiore alla seconda (ovvero, se già inquadrati, sono collocati in una posizione più avanzata di almeno due classi rispetto a quella in godimento) e, ai sensi del comma 211, possono trasferirsi in qualunque sede universitaria italiana, senza che quella sede debba mettere a disposizione la risorsa corrispondente (comma 211), necessaria, invece, per i normo-professori.

2.- Alla legge ha fatto seguito, sia pure oltre il termine previsto, la bozza di d.P.C.M. attuativo. Vediamo cosa dice, limitandoci, per semplicità, alla disciplina della selezione dei candidati.

  1. i) Le procedure di valutazione “sono effettuate per ciascuna delle 25 aree definite dall’European Research Council (ERC), riportate nell’Allegato 1” (art. 1, comma 2).
  2. ii) Il presidente di ciascuna commissione, composta di tre membri, è nominato con decreto del Presidente del Consiglio, su proposta del Ministro dell’università, fra “studiosi” che, avendo “elevatissima qualificazione scientifica”, ricoprano “posizioni di vertice presso istituzioni universitarie o di ricerca estere o internazionali”.

iii) Il presidente, a sua volta, sceglie gli altri due componenti tra “studiosi di elevata [non più “elevatissima”] qualificazione scientifica e professionale [non più solo “scientifica”], entro una “lista composta di venti nominativi predisposta dall’ANVUR”.

3.- Terzo e – per ora – ultimo atto: il parere del Consiglio di Stato, cui, Deo gratias, gli schemi dei regolamenti governativi devono essere sottoposti. Tale parere (n. 2303 del 2016), reso il 4 novembre dalla Sezione consultiva per gli Atti Normativi, come risulta dal dispositivo, è “favorevole con condizioni e osservazioni della Sezione”, ma in realtà è gravemente critico e mette in luce una serie lunghissima di illegittimità.

Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con lo stile prudente dell’attività consultiva del Consiglio Stato non può non rimanere impressionato dalla nettezza con cui Palazzo Spada esprime le proprie critiche: non un buffetto, ma un vero e proprio schiaffo, per non dire un ceffone o un manrovescio. L’intero schema di regolamento ne esce demolito, ma anche la stessa legge (sulla quale il Consiglio di Stato non poteva pronunciarsi) finisce per palesarsi come implicito oggetto di dubbi di costituzionalità. E questo, si badi, non si deve certo a chissà quale occhiuta pignoleria del soggetto controllante, ma all’assoluta indecenza dell’atto controllato. E’ bene precisare: chi scrive non ama i toni forti e sa bene quanto le questioni giuridiche possano essere disputabili, ma ci sono segni che non possono essere oltrepassati. Mai. E stavolta, invece, si è andati al di là, molto al di là, dell’accettabile.

4.- Già molti studiosi sono intervenuti su questo tema (io stesso, se posso ricordarlo, ne ho discusso in un più ampio scritto sul reclutamento universitario pubblicato su costituzionalismo.it, n. 2/2016), sicché mi limito a qualche breve spunto, rinviando, pel resto, alla puntuale analisi compiuta dal parere del Consiglio di Stato.

La stessa legge, si accennava, dà adito a più di un dubbio. Anzitutto per la sua “filosofia”. In un bel saggio di prossima pubblicazione (“Modalità di selezione e reclutamento della docenza universitaria. Le (molteplici) chiamate dirette. Prime riflessioni sulle c.d. cattedre Natta”) Loredana Giani propone un’accurata ricostruzione delle molteplici forme di chiamata diretta e per chiara fama che, nel tempo, sono state previste dal nostro ordinamento e mette giustamente in luce le criticità da cui simili modalità di reclutamento, direi per definizione, sono afflitte. Stavolta, però, si è determinata una “evidente rottura della unità del ruolo della docenza”, con il collocamento dei super-professori su un piano completamente differenziato da quello dei normo-professori. Aggiungo che le risorse destinate ai primi sono palesemente sottratte all’ordinario funzionamento dell’università. E’ la stessa legge che, confessoriamente, lo riconosce all’art. 1, comma 212, quando dispone che le risorse eventualmente non utilizzate per i super-professori confluiscono “nel Fondo per il finanziamento ordinario delle università”. Il che, a contrario, significa che sono attinte da ciò che quel Fondo, senza tale nuovo canale di reclutamento, avrebbe potuto essere. Una scelta a dir poco inopportuna, ma anche di assai dubbia legittimità, alla luce del principio di eguaglianza, di quello di ragionevolezza e di quello del buon andamento della p.A.

Non basta. L’art. 1, comma 210, lett. d), contrasta frontalmente con il principio di legalità, perché affida al Governo il potere di disciplinare la procedura di selezione, ma senza stabilire alcun vero criterio direttivo. Questo, ovviamente, non legittimava il regolamento a violare i più elementari princìpi costituzionali, ma risulta già di per sé illegittimo.

I super-professori godono, poi, di vantaggi e privilegi ancor più specificamente incompatibili con i princìpi ora ricordati, anche perché non è prevista alcuna valutazione periodica che attesti il perdurare dei requisiti di asserita eccellenza. Ed è quasi inutile ricordare che i normo-professori, già penalizzati in senso assoluto da un ormai lunghissimo blocco dei loro scatti stipendiali, finiscono per esserlo anche in senso relativo, nella prospettiva del raffronto con i loro colleghi super.

Infine, è davvero arduo conciliare con il principio di ragionevolezza la previsione della categoria dei “super-professori” di seconda fascia, assunti all’empireo senza che la loro piena maturità scientifica sia stata ancora formalmente riconosciuta con l’attribuzione dell’idoneità di prima fascia e la vittoria del successivo concorso.

Ma è il regolamento che lascia a dir poco sconcertati.

La bozza di regolamento prevede un reclutamento interamente dominato dall’Esecutivo, che non solo sceglie il presidente di ciascuna commissione, ma sceglie anche i componenti di quell’ANVUR che è chiamata a comporre le rose entro le quali pescare i commissari non presidenti. Dire che in questo modo si violano sia il principio di imparzialità della pubblica Amministrazione che quello dell’autonomia universitaria è poco.

Che dire, poi, del fatto che il presidente (nominato dal Governo, insisto, sia pure entro una rosa precostituita), si sceglie gli altri componenti della commissione? Il grado di indipendenza dei due prescelti rispetto al presidente che li ha voluti è a dir poco opinabile.

I presidenti, a loro volta, sono scelti anche tra chi non è professore universitario (nuovo vulnus all’autonomia dell’università); devono avere una “elevatissima qualificazione scientifica” che non è meglio definita; sono selezionati tra coloro che occupano “posizioni di vertice” (quali?) in “istituzioni universitarie o di ricerca estere o internazionali” (ancora una volta: quali?), che possono avere i regimi giuridici più diversi e possono avere “al vertice” semplici manager o soggetti nominati (di bel nuovo) dagli Esecutivi. Infine (e non l’osservo certo per spirito di categoria) questi novelli Soloni difficilmente potrebbero essere professori a tempo definito, considerato che a costoro, almeno in Italia, è precluso occupare posizioni “di vertice” nell’università. Anche qui con violazione del principio di eguaglianza, visto che la procedura di selezione dei super-professori è esplicitamente sovrapposta a quella che concerne i normo-professori, come dimostra l’art. 4, comma 6, che rende la nomina a componente delle commissioni “straordinarie” incompatibile con quella a componente delle “ordinarie” commissioni per l’ASN.

E non è finita. I settori ERC, per ciascuno dei quali è componente la singola commissione, sono identificati dall’Allegato 1. Alla sua lettura la mente vacilla. A tacer d’altro, nell’Area Sh2 (mi permetto di citare quella in cui è compresa la mia materia, ma discorsi analoghi potrebbero farsi per molte altre), intitolata a “Institutions, values, environment and space: Political science, law, sustainability, science, geography, regional studies and planing” ci sono tutte le materie giuridiche, la filosofia politica, la scienza politica e materie come il design, il restauro, la progettazione urbanistica e territoriale, la geografia, etc. In quest’area, dunque, stanno fianco a fianco, ad esempio, il diritto privato e il diritto pubblico, il design e la progettazione urbanistica e territoriale. Il che significa che i tre componenti la commissione dovrebbero conoscere una fetta non irrilevante dello scibile umano per potersi pronunciare con cognizione di causa su materie così diverse. Notoriamente Bruno Munari, nello scrivere Fantasia, si era ispirato alle opere di Otto Mayer e di Vittorio Emanuele Orlando e André Le Nôtre, mentre disegnava i giardini di Versailles e di Chantilly, si dedicava all’apprendimento par cœur del Corpus iuris

Ma si obietterà: il regolamento impone alle commissioni di acquisire almeno un parere pro veritate di qualificati soggetti esterni (i cui nominativi non sono pubblicati), chiamati a dare elementi per la valutazione del profilo scientifico dei candidati. In effetti è quel che stabilisce l’art. 6, comma 4. Questo, tuttavia, invece di risolvere i problemi, li aggrava. Tralasciamo, per carità di patria, il piccolo problema di un concorso pubblico nel quale un elemento essenziale del risultato è imputabile a soggetti che rimangono anonimi (impedendo, fra l’altro, l’accertamento di eventuali incompatibilità) e riflettiamo solo su questo: se il parere fosse vincolante, la “vera” commissione sarebbe composta dai consulenti esterni, magari in numero di uno; se non lo fosse (come, in effetti, sembra di evincere dal testo), torneremmo alla casella di partenza, perché un autorevole penalista potrebbe ben discostarsi dal parere del collega “competente” e valutare discrezionalmente la qualità scientifica – che so – di un geografo che ha studiato l’alto corso dello Zambesi e la conformazione del territorio circostante. Con buona pace (almeno) degli artt. 3, 33, commi 1 e 6, e 97 Cost.

Mi fermo qui, perché sarebbe francamente imbarazzante insistere in ciò che è ovvio. Preferisco dire due parole sui possibili sviluppi futuri.

5.- Non sappiamo cosa faranno Governo e Parlamento (sul regolamento attuativo si devono pronunciare anche le commissioni parlamentari, ai sensi dell’art. 1, comma 210, della legge) dopo i rilievi critici del Consiglio di Stato. Un combattivo sito che si occupa di università ha dato notizia delle dichiarazioni di un autorevole esponente del Governo, dalle quali emerge che il Presidente del Consiglio e il Ministro, per scegliere i “super-presidenti”, si appoggeranno a comitati di personalità, comprendenti, ad esempio, il Presidente della CRUI e il Presidente del CNR (ROARS, 15 ottobre 2016). Se fosse confermato vorrebbe dire che, allora, la lezione di diritto impartita dal Consiglio di Stato non è stata bene intesa e – soprattutto – non è stato ben inteso il senso della nostra Costituzione.

L’autonomia universitaria ha molte sfaccettature (la dottrina ha scritto molto, sul punto, ma si può vedere, da ultimo, G. Grasso, Autonomia universitaria, senza responsabilità? Spunti dall’esperienza costituzionale italiana, in Consulta Online, n. 3/2016). Quel che è certo, però, è che essa è almeno autonomia dell’intera comunità scientifica, non certo autonomia dei suoi “vertici” (ammesso – e niente affatto concesso – che in una comunità di scienza possan darsi dei vertici). Coinvolgere alcune “personalità” nel processo di scelta (e perché mai, poi, quelle e non altre, di nuovo a discrezione dell’Esecutivo?) non risolve il problema, ma lo aggrava. Ed è anche contraddittorio con le premesse su cui giace la scelta per le cattedre Natta. Se si ritiene che nell’università la meritocrazia non sia promossa perché il corpo accademico è corrotto o comunque inefficiente non è certo logico dare fiducia proprio a quelle che ne sono le espressioni “apicali”, che – per chi muove da quella logica – dovrebbero essere addirittura le più sospette.

Ma l’essenziale è altrove. Nel contributo ricordato in precedenza osservavo che il problema della serietà del reclutamento è reale e che i professori universitari hanno gravi responsabilità per alcuni suoi malfunzionamenti. Ma un Parlamento e un Governo che davvero volessero risolvere il problema dovrebbero affrontarlo alla base, riformando l’assurdo sistema di selezione attuale (idoneità più concorso locale) e tornando, al più presto, al concorso nazionale. Le ragioni di questa indicazione ho cercato di argomentarle – appunto – altrove e non c’è spazio, qui, per ripeterle. Azzardi come le cattedre Natta non servono a nulla e, anzi, peggiorano la situazione. Certo, si potrebbe anche ritenere opportuna una maggiore apertura del reclutamento agli accessi dall’estero, ma l’eventuale previsione di un canale specifico dovrebbe pur sempre rispettare i princìpi costituzionali. Qui non lo si è fatto. Mi auguro che la politica rifletta bene e, rimeditando, prenda finalmente la decisione giusta. Faccio professione di ottimismo e spero che accada al più presto. Altrimenti vorrà dire che, effettivamente, quos deus perdere vult

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